Ancora una volta la sollecitazione ricevuta da Pippo a partecipare all’inaugurazione di una mostra al Centro Internazionale di Fotografia, curato da Letizia Battaglia, si è rivelata felice e mi ha pure fornito l’opportunità di fare la conoscenza diretta con l’autore.
L’evento costituiva la prima iniziativa espositiva messa in opera dal Centro dopo il blocco delle attività culturali causato dal Covid.
Le oltre duecento persone intervenute al vernissage testimoniavano, oltre all’interesse per la mostra, già ampiamente pubblicizzata, la voglia dei tanti a voler intervenire.
Tra i molti partecipanti, oltre a Mario Zito, assessore alla cultura del Comune di Palermo fresco di nomina, c’era anche Melo Minnella e tanti fotografi e fotoamatori appassionati.
L’evento presentato dal catanese Carmelo Bongiorno, intitolato “Tagli”, si articolava in una serie di opere nell’ambito dei due ambienti espositivi principali del Centro ubicato nel complesso dei Cantieri Culturali alla Zisa di Palermo.
Le immagini andavano a costituire principalmente un insieme di dittici in bianco e nero, pienamente conformi con la più ampia concettualizzazione del titolo che l’autore aveva assegnato al progetto.
I diversi racconti proposti, in qualche caso chiaramente allusivi o in altri meno, concedevano comunque ad ogni osservatore ampi margini per poter contemplare le storie, personalizzandole – o nel caso completandole – secondo il proprio vissuto e le esperienze maturate.
Per la lettura complessiva delle fotografie, il libro realizzato dalla casa editrice “Postcart”, contestualmente in vendita, ha aiutato a meglio focalizzare in un unicum le tante concettualizzazioni – evidenti o metafisiche – che, apparentemente confuse in diversi tasselli assemblati rappresentativi di storie personali, costituivano inequivocabilmente pagine di un diario che l’autore aveva sentito di scrivere attraverso immagini.
In qualche modo, per gli appassionati di letture di portfolio fotografici, la mostra costituiva un insieme di lavori appartenenti al genere.
Bongiorno, con i suoi dittici, ha voluto mostrare molto del suo modo di essere e raccontare sue esperienze sedimentate nel tempo, presentando esempi sia di tagli definitivi che di altri che, forse, gli apparirebbero ancora sanabili. Per questi particolari aspetti, la visione di ciascun dittico o di parte di essi accosterebbe l’intera operazione a un prodotto prossimo alla “fotografia partecipativa”.
L’autore invia, infatti, messaggi a tanti destinatari, in qualche caso non più raggiungibili o ad altri che potrebbero ancora ricucire i tagli denunciati.
Del resto in tutte le immagini, le separazioni o divaricazioni, si appalesano con ogni evidenza, mostrando anche consistenze, materie, volumi, ombre, luci che alimentano l’esistenza di margini per una possibile ricomposizione, in taluni casi, ancora possibile.
Fratture, forse recuperabili, sono mostrate chiaramente in una foto radiografica che documenta una ricostruzione di un tallone attraverso una protesi metallica e che, consciamente nel dittico, l’autore associa alla striscia di negativi che rappresentano immagini di un gruppo di famiglia.
In altri dittici c’è la voglia impossibile di fermare il tempo o quella di tornare indietro, in qualche caso fino a ripercorrere la stagione più verde dell’essere bambini.
Tante pagine di desideri, memorie e esperienze si confondono, lasciando tangibili le molteplici storie e i tanti desideri, raggiungibili forse o ormai destinati all’utopia.
Le foto in verticale colorate allocate poi in certi punti, appaiono come vere e proprie sottolineature, volutamente apposte dall’autore per evidenziare il pessimismo latente presente in tanti tagli.
Chi si trova a contemplare i puzzle esposti non può di certo rimanere indifferente, perché le separazioni proposte, anche se in forma diversa, costituiscono una raccolta analoga che ciascuno osservatore conserva nel proprio intimo. Con ferite spesso completamente rimarginate, ma ancora estremamente sensibili e non soltanto al tatto.
In conclusione, il risultato del progetto appare coerente con le soluzioni prefissate e, direi pure, che il messaggio – al di là delle apparenze – non risulta pessimista o tantomeno negativo, poiché tende a mostrare essenzialmente in maniera oggettiva stati delle umani cose.
Non ci sarebbe, a mio modo di vedere, altro da aggiungere. Dissertarne ancora potrebbe risultare solo ridondante.
Non sfugge comunque la linea che distingue le due immagini e che in ogni dittico costituisce la sintesi della profonda sofferenza rappresentata in ogni pagina. Il suo colore rosso, del resto, non pone dubbi sul significato attribuito sistematicamente dal fotografo a ciascuna separazione.
La mostra, perfettamente curata in ogni dettaglio dall’Arvis di Palermo e principalmente nelle persone di Pippo Consoli e Giovanni Nastasi, appare gradevolissima nell’estetica espositiva che pure intriga e induce a soffermarsi lungamente sulle opere.
Il Centro Internazionale di Fotografia dei Cantieri Culturali alla Zisa si è dimostrata la location più appropriata e l’autorevole presenza all’inaugurazione di Letizia Battaglia ha rappresentato la classica ciliegina che viene apposta su una torta ben riuscita.
Buona luce a tutti!
Complimenti per l’articolo!