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Sono in ferie per qualche giorno, in montagna tra i DoloMitici, come si definiscono oggi coloro che vivono qui. Che Italia è oggi, dopo il Covid? Lavora o è in ferie come capitava in questo periodo? Non sono sicuro che si capisca molto di quello che sta accadendo.
Di certo, mi colpiscono due aspetti.
Privatizzare all’italiana
Il primo è l’incessante parlare della nostra classe politica, un dibattito senza fine su tutto: da Autostrade, al MES, al fisco, ai migranti. Ciascun esponente politico cerca di capitalizzare un consenso che nella migliore delle ipotesi si rileverà fragile e poco duraturo. Prendiamo la lite con i Benetton che prosegue tra minacce, retromarce, invettive reciproche e prese di posizione. Ma chi fu ad orchestrare la privatizzazione?
La privatizzazione di Autostrade, il trasferimento di un monopolio naturale in mani private fu realizzato nel 2000 dalla maggioranza di centro-sinistra. Il capolavoro, perchè tale si tratta, fu di Romano Prodi, Carlo Azeglio Ciampi, Mario Draghi e Massimo D’Alema. Il processo di privatizzazione maturò durante il primo governo Prodi e proseguì e si concluse senza soluzione di continuità con il governo D’Alema, con Ciampi ministro del Tesoro di entrambi gli esecutivi, Draghi direttore generale del Tesoro e Gian Maria Gros-Pietro presidente dell’Iri.
In sostanza, evitando di entrare in tutti i passaggi, i Benetton operarono a debito con i finanziamenti bancari, poi sono rientrati dal debito, hanno recuperato i mezzi propri investiti, e fino a poco tempo fa la loro partecipazione nella società valeva svariati miliardi. Uno schema non nuovo e ricorrente per scaricare debiti e spremere le società operative per appropriarsi di lauti dividendi.
Fare impresa con pochi capitali fu quindi il vezzo dei nostri capitani coraggiosi, e purtroppo di sventura per noi, che si occuparono delle privatizzazioni delle principali infrastrutture del Paese: Telecom, Alitalia, Autostrade, Banche.
Si disse che questi pastrocchi erano necessari per risanare il debito pubblico. Così non è stato.
Ritornando ad ASPI, oggi come allora mi chiedo quali siano le sinergie tra chi produce maglioni colorati e chi costruisce e gestisce autostrade.
A parte Ciampi, gli altri protagonisti sono ancora vivi e, chi più chi meno, al centro del dibattito su come risanare il paese. Nessuno che osi intervistarli sul papocchio che fecero e soprattutto perchè consentirono clausole che, in caso di recesso, ci sarebbero costate miliardi di euro. O forse su come smontare il contratto Di Maio lo ha chiesto a Draghi nel recente incontro emerso da alcune fonti stampa?
Come è finita la vicenda e cosa si comprende dal comunicato del CDM del 15 luglio. In caso di revoca della concessione lo Stato avrebbe dovuto pagare 7 miliardi di euro ai Benetton invece ora per azzerare la partecipazione di Atlantia in ASPI ce ne vogliono più di 8, al presumibile valore di mercato. Contenti di sicuro i capitani coraggiosi, Allianz e forse anche la Merkel. E i cinesi del Silk Road Fund che ne hanno il 5%. Tutte le palle in buca? Un capolavoro?
Viviamo di momenti umorali, difficile immaginare il domani. Per le autostrade, lo Stato in una notte si riprende qualcosa che già aveva 20 anni fa con l’Iri. Quanto ci è costato? A cominciare dalle vite umane del ponte Morandi e della tragedia di Avellino? Lo Stato si ricompra anche i debiti di ASPI e sono tanti. Altro che esproprio proletario come lo vuol far passare qualcuno.
Quanto ai Benetton, ci vedo il fallimento di una certa imprenditoria del nostro paese, la tanto celebrata razza padano/veneta. Non è un grande affare per nessuno, tranne che per la famiglia di Ponzano Veneto, e tutta la vicenda è espressione dell’italico capitalismo dei soliti furbi. Autostrade è stata per i privati la classica gallina dalle uova d’ora che ora viene rimessa alle cure dello Stato che si dovrà occupare delle malandate condizioni della nostra rete autostradale.
I rumors delle Autorità
L’altro aspetto che in questa strana estate emerge è il roboante rumore delle Autorità che sparano numeri a getto continuo. E’ un rincorrersi a vicenda, si cerca il titolone sulle prime pagine anche se il più delle volte i giornali si limitano a un semplice trafiletto. E’ una corsa che durerà ancora per molto, perchè solo così è possibile assicurarsi una certa visibilità. Al centro, ovviamente vi è lo sboom delle banche, presenti dappertutto dalle operazioni di concentrazione, tipo Intesa – UBI, alle crisi ancora aperte, dalle operazioni di moratoria che secondo i dati ABI – Bankitalia assommano a centinaia di miliardi, alla lotta contro il riciclaggio di denaro che pure ogni anno butta bene per decine se non centinaia di miliardi. È notizia di questi giorni che le mafie sono entrate nel florido mercato degli NPL, di cui in Europa siamo ancora campioni. C’e’ da credere che sapranno trasformare rischi in opportunità.
Dobbiamo crederci? Certo che sì, tanto che cambia. Certo che no, tanto perchè dobbiamo essere presi in giro.
Una buona sintesi delle scarne riflessioni che propongo mi è venuta alla mente, ascoltando un giornalista in TV che chiedeva a un viceministro del governo come pensasse di risanare le nostre scassate finanze pubbliche. Con sicumera e prontezza ha assicurato che ci sarà recupero evasione fiscale, tagli alla spesa, finanziamenti europei e sostenuta crescita del PIL. C’è effettivamente ogni possibile misura, nessuna esclusa. Senza nessun progetto, ovviamente. A prescindere da altre considerazioni, è culturalmente insano fissare una telecamera con uno sguardo tagliente e annunciare che il mondo in cui viviamo è sotto controllo di qualcuno.
Conclusioni di prospettiva
Di sicuro, il nostro paese così facendo va a rotoli e anche velocemente. Forse l’urgenza più impellente è saperci raccontare, qualcuno che ci racconti davvero chi siamo. Un pò come in passato fecero Sciascia e Pasolini, sperando che chi trova il coraggio per emularli non sia vittima dell’ostracismo che i due personaggi subirono nella loro vita. Di certo, siamo stufi dei racconti della nostra classe dirigente.
Sembra passato tanto tempo eppure quando due anni fa iniziammo a creare la piattaforma Economia&FinanzaVerde e a collaborare con alcune testate giornalistiche l’obiettivo che ci mosse fu quello di poterci raccontare. Almeno ogni tanto ci proviamo.
Grazie, per questa testimonianza trasparente e fedele.