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Reale e’ virtuale o virtuale è reale?
Eccoci qua, siamo entrati ufficialmente nell’estate e la voglia di lasciarci alle spalle le fasi 1,2,3 della pandemia si fa sentire in tutto il nostro quotidiano.
Abitiamo in un villaggio globale, facciamo uso del mondo digitale come spazio nel quale la realtà si riproduce attraverso strumenti che raccolgono, elaborano e conservano dati. Per quanto possiamo essere positivi, proprio su quei dati che corrono veloci in rete si basano le imprese, le istituzioni, le aziende pubblicitarie, influenzando nel bene e nel male il nostro inconscio individuale e collettivo e l’economia che produciamo.
Quando vi è un’estensione del nostro modo di pensare abituale, come si sta verificando dopo il periodo affrontato, si modifica anche il modo nel quale percepiamo il mondo che ci circonda. Forse non dovremmo più usare la parola “realtà virtuale”, ma ambiente virtuale. Questo ambiente si sta espandendo in modo vertiginoso, trovando la sua forza nella non appartenenza a nessun Governo, a nessuna Istituzione e neppure a un servizio commerciale. È un’indipendenza assoluta che rende la “rete” da un lato un potente linguaggio globale, dall’altro un fattore di anarchia comportamentale.
Ho sempre pensato che non esistono cattivi strumenti, ma cattivi suonatori.
Di tutto, di più
La paura, insieme a una impulsiva banalità del pensiero, ha permesso, durante la crescita del Covid, un imbarazzante dilagare di informazioni talvolta false, tal altra contraddittorie, propinate come verità assolute, per diventare fonti di polemiche, rettifiche, precisazioni, io intendevo o non intendevo dire.
Ricordate quando nel mese di marzo, grazie a canali digitali e social, un appassionato di videogame, in collegamento dal Giappone dava per certa la soluzione al virus? Raccontava che in Giappone, paese nel quale si trovava, i casi erano pochissimi, grazie all’uso di un semplice farmaco di nome Avigan. Il subdolo messaggio era: “tu cittadino italiano impaurito, perché non chiedi al governo italiano la motivazione per la quale non ti viene somministrato il farmaco; quel medicinale che può bloccare le morti che ogni giorno il telegiornale ti elenca?
Ed ecco arrivare le orde dei complottisti, quelli che con la “competenza” della rete, ti fanno sentire un perfetto imbecille che non è informato sul farmaco miracoloso, il quale si scopre poi, che ha alle spalle una sperimentazione a livello mondiale, ma che non convince nessuno scienziato.
Abbiamo contestato le influencer di Instagram, (che, ad onor del vero, si sono attivate nel giro di poche ore per usare la loro popolarità al fine di raccogliere donazioni dirette, per la creazione di posti letto in rianimazione) per ritrovarci sullo stesso piano, virologi, infettivologi, epidemiologi che, balzando di trasmissione in trasmissione, hanno hanno detto di tutto e il contrario di tutto. O così è apparso ai cittadini comuni, creando confusione sui rischi effettivi.
Anche la scienza è alla disperata ricerca di visibilità dei media? Siamo arrivati a tralasciare il buon senso, il senso comune per mettere in discussione tutto e tutti?
…e l’Economia?
È un momento estremamente complesso per l’Economia: ma non dobbiamo mai perdere di vista il fatto che questa materia non è solo un calcolo matematico, che non può essere affrontata con il pensiero lineare che conduce da A a B e non può nemmeno essere orchestrata dalle parole e dai comportamenti poco responsabili, di “professionisti”che scelgono di divenire personaggi pubblici, facendo leva sulla presunzione e su poche competenze.
Non può essere tralasciata la sua complessità, quella che la rende una scienza sociale, che in quanto tale si deve occupare degli individui e delle loro necessità’.
Chi sono dunque gli economisti?
In questo caso, premetterei le parole del grande scienziato Stephen Hawking: “non esiste qualcosa di assoluto, ma ogni singolo individuo ha una propria personale percezione che dipende da dove si trova e da come si sta muovendo.”
Sarei approssimativa e sopratutto riduttiva se accostassi la figura dell’economista al denaro, alle tasse, alle banche, alle imprese (grandi e piccole), alla disoccupazione, alla chiusura delle fabbriche e a tutti i problemi che scaturiscono dal denaro.
Preferisco vedere l’economia come quella scienza che prende in considerazione l’essere umano e i suoi bisogni biologici e psicologici, riuscendo a mantenere certi equilibri tra singoli individui e gruppi sociali.
L’economia, come fu definita dal filosofo Mario Rodriguez Cobos, è lo studio del rapporto che intercorre tra le varie unità economiche basandosi su un valore imprescindibile: l’Essere Umano e le sue necessità, tra opzioni, opportunità, scelte, rinunce, condizionamenti, errori.
Carlo M. Cipolla, insigne studioso di storia economica, pubblicò negli anni settanta del ventesimo secolo, due piccoli saggi in inglese. L’attenzione era rivolta ai repentini cambiamenti economici, dietro ai quali si nascondono gli uomini, che a loro volta sono mossi dal continuo fluttuare della loro mentalità.
I due saggi, sono stati tradotti in molte lingue, solo per ultima in italiano, per essere riuniti nel 1988 in unico libro dal titolo “Allegro ma non troppo”.
Cipolla racconta con grande ironia la scarsità del pepe in Europa, dopo la caduta dell’Impero Romano e la fine dei grandi commerci con l’oriente. Il pepe non era una spezia comune, era un potente afrodisiaco. La perdita di questo stimolante e l’abuso del piombo nelle stoviglie e nelle tubazioni dell’acqua portarono all’aumento dell’indice di sterilità nella popolazione romana. L’indebolimento nella riproduzione aprì le porte alle orde barbariche.
Anche a causa della mancanza del pepe, Pietro l’Eremita organizzò nel 1096 la prima crociata, per ripristinare i vantaggiosi commerci con l’Oriente. L’idea “ringalluzzì” gli europei e fece da traino all’economia e quindi alla ripopolazione dell’Occidente.
Cipolla continua a raccontare con ironica maestria i collegamenti tra il controllo dei vigneti in Francia, una delle maggiori ricchezze reali dell’epoca, la guerra dei cento anni tra Inghilterra e Francia, l’economia della lana, fino la peste del 1348 e la nascita del Rinascimento italiano quale prima rivoluzione dell’età moderna.
Un libro ironico di un economista che racconta la storia? Eh no! È qui che arriva la parte divertente delle sue riflessioni.
Cipolla, con intelligente leggerezza, elabora una teoria generale della stupidità umana. Gli stupidi ci dice sono un gruppo molto più folto e potente delle maggiori lobby di potere e delle mafie. Questo gruppo non ha un ordinamento, un vertice o statuto, ma riesce ad operare con incredibile efficacia.
Egli descrive perfettamente cinque leggi fondamentali della dannosità di questo potente gruppo, al quale tutti di volta in volta apparteniamo:
1. sempre ed inevitabilmente ognuno sottovaluta il numero di individui stupidi in circolazione,
2. la probabilità che una certa persona sia stupida è indipendente da qualsiasi altra caratteristica della persona stessa,
3. una persona stupida è una persona che causa un danno ad un’altra persona o a un gruppo di persone senza realizzare alcun vantaggio per sé od addirittura subendo una perdita,
La psicologia e l’effetto Dunning/Kruger.
I due psicologi hanno dimostrato che quanto più qualcuno è incompetente su un certo tema o in una certa attività, tanto più crede di essere più bravo di quello che è. Invece i più competenti tendono a “fare i modesti”, sottostimandosi. L’effetto praticamente è che se sei scarso su un certo tema non sai neanche di esserlo.
Ed è ancora una volta un economista a spiegare bene l’incapacità che ci contorna, e diciamolo, spesso ci spiazza. Riccardo Puglisi, professore di Economia Politica presso il dipartimento di Scienze Politiche e sociale dell’Università di Pavia, si è occupato spesso di competenze, portando l’attenzione sul dimenticato effetto Dunning/Kruger.
“La stupidità è al quadrato”, in quanto sei stupido sempre su un certo tema, beninteso, e lo sei talmente da non capire di esserlo.
Dall’altro lato, il fatto che quelli competenti siano modesti si può spiegare in questo modo: costoro ritengono che la bravura degli altri sia paragonabile alla loro e dunque non pensano di essere i migliori.
Duning e Kruger mostrano anche che, se ai più bravi fai vedere qualcuno dei compiti fatti dagli altri, quelli bravi capiscono di più e diventano meno modesti, in quanto si rendono conto con chi hanno a che fare.
Invece l’incompetenza è una specie di buco nero: se in un esperimento fai vedere ai somari i compiti fatti dai più bravi, i somari continuano a pensare di essere meno somari di quel che sono, perché non riescono a vedere la differenza tra compiti fatti bene e compiti fatti male.
Noi vediamo sempre più di frequente queste manifestazioni, sollecitate anche dal rifiuto dei costi per conseguire una vera conoscenza. La condizione della scuola italiana ce lo ricorda spesso e impietosamente. Quindi la domanda da fare è: cosa ci sta succedendo?
“Non sappiamo che cosa ci stia succedendo e questo permette ciò che ci sta succedendo”. Non è un gioco di parole, perché se realmente non sappiamo che cosa ci stia succedendo, non potremo mai trovare la soluzione, continueremo a morderci la coda e a ripetere gli stessi errori, dimenticando la regola aurea che “preservare è diabolico”. Trovare una sintesi adeguata tra opposti è una scelta d’intelligenza, per capire meglio ciò che ci potrà succedere, quale conseguenza del Covid.
Nella nostra società, tutto è messo in discussione. Stiamo dimenticando che ciò che viene studiato, ideato e costruito dagli uomini, dovrà avere una struttura coerente all’essere umano. Altrimenti la stupidità continuerà ad essere la nostra ombra, i nostri successori troveranno normale manipolare i fatti per adeguarli alle proprie teorie, piuttosto che imparare a comprendere e adattare le teorie ai fatti osservati e vissuti.
Con i loro argomentare, questi specialisti naturali della comunicazione, tendono ad allontanare sempre dall’essenza delle questioni specifiche non gradite, distraendo possibilmente lo spettatore dai veri contenuti che emergono o tendono ad affiorare, indirizzando – all’occorrenza – anche allo spettacolo becero.
In tutto questo la vera colpa non è comunque dei personaggi in questione che oggi calcano, padroneggiando, le tavole del “teatrino perenne” e che sono sempre esistiti pure in assenza dei media, ma degli spettatori “ebeti”, ormai assuefatti e condizionati da queste dosi di droghe sempre più pesanti che inducono a una progressiva “dipendenza”. (tratto da un articolo scritto nel gennaio 2019 che avevo intitolato ‘Arti e mestieri: “L’Opinionista”‘ https://laquartadimensionescritti.blogspot.com/2019/01/arti-e-mestieri-lopinionista.html).
Hai un buon blog. Bel lavoro
Grazie