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Allegro, ma non troppo: appunti di governance bancaria

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Tempo di lettura: 5’. Leggibilità ***.

Prologo.

Tempo di assemblee per approvazione di bilanci e rinnovi di organi sociali. La marcia è inarrestabile anche durante la pandemia. Ci capita di essere azionisti di una banchina popolare romana e abbiamo deciso di seguire i lavori assembleari in streaming. Lo abbiamo fatto perché si trattava dell’ultimo atto della Consiliatura che doveva essere rinnovata.
Si giudicava insomma la politica degli ultimi tre anni degli organi sociali. Essendo una cooperativa, grande era l’interesse dei sindacati che ne hanno in mano la gestione, e a tal fine avevano proposto ai soci tre liste per il rinnovo di amministratori e sindaci. Il nostro interesse era, invece, di capire qualcosa in termini di future strategie della banca.

Un po’ di folklore

Innumerevoli libri, dotte dissertazioni, spirali mentali in punto di diritto e di economia ci hanno ammoniti sulla sana e prudente gestione di una banca, da sempre e per sempre. Con questo in mente abbiamo seguito i lavori insieme a coloro, invero pochi, che con mascherina e guanti erano presenti fisicamente alla riunione.

Tre aspetti ci hanno colpito e vorremmo raccontarli per trarne qualche ammonimento.

La questione del microfono, il timore che la banca raggiunga la dimensione di 8 miliardi di euro e, infine, quella, che ha richiesto più tempo, relativa all’utilizzo degli indirizzi delle migliaia di soci cui è stata diretta la propaganda elettorale.

La procedura di votazione è stata singolare, poiché la maggior parte dei votanti si era avvalsa del voto elettronico, consentito fino a tre giorni prima, cioè prima che emergessero in assemblea eventuali elementi rilevanti per decidere il voto. Chi ha dato ha dato ha dato e chi ha avuto ha avuto ha avuto, era il messaggio non tanto implicito insito in tale poco rituale procedura?

L’uso dei microfoni è stato oggetto di alcune rimostranze, perché il Presidente ne aveva uno tutto per sé e quindi poteva parlarci dentro senza mascherina. I pochi intervenuti dovevano invece alternarsi ad un microfono comune, tenendo legato al volto l’indispensabile presidio sanitario, perché altrimenti lo strumento avrebbe dovuto essere sanificato dopo ogni intervento. Esilarante disquisizione se l’imposizione della mascherina, diversamente a quanto consentito al Presidente, configurasse una qualche violazione della par condicio sociorum.

Abbiamo poi capito il perché di tanta prudenza. Essendo avanti con gli anni (quella di cui parliamo non è una banca per giovani, nonostante tutti si riempiano la bocca con tale edificante obiettivo), i presenti appartenevano alla categoria generazionale più esposta al rischio Covid. Siccome, come avrebbero sentenziato i nostri avi, Maxima debetur senectuti reverentia, alla vecchiaia è dovuto il massimo rispetto, è stato giusto proporre questa disparità di trattamento microfonico.

Un po’ di governance

Ma veniamo a questioni di governance. Negli ultimi anni la banca è cresciuta a velocità molto elevata, mettendo in evidenza, a fianco di positivi risultati dovuti al favorevole andamento dei mercati finanziari e ad altri benefici, alcuni squilibri della gestione. Nessuno che su di essi abbia sollevato perplessità.

Anzi no. Un socio si è detto preoccupato non di tali disequilibri, quanto del rischio che, tenendo quella velocità, la Banca possa infrangere presto la soglia dimensionale degli 8 miliardi di euro di attivo, limite che, a seguito della riforma delle banche popolari del 2015, comporterebbe il passaggio alla forma della società per azioni e l’abbandono della mutualità cooperativa. Non era questione da poco, ma nessuno ha replicato a questo dubbio sostanziale ed esistenziale.

Forse un brivido è però corso lungo la schiena di molti, pensando alla possibilità di dover rinunciare alle cospicue risorse elargite in assistenza e beneficenza a soci e loro familiari. Lo stesso brivido ha forse sfiorato i sindacati che, pur lottando aspramente tra di loro per assicurarsi il prossimo mandato, non fanno mistero di avere una sostanziale unità di intenti, per mantenere il controllo della banca. Vale a dire l’intenzione di distribuire, cooperativisticamente e nella misura massima possibile, benefici sotto forma di tassi attivi (quasi azzerati), tassi passivi (assai più alti di quelli del mercato), commissioni sui servizi (quasi nulle), dividendi (al massimo possibile), contributi a titolo di beneficenza e assistenza (di tutto, e milionario, rispetto).

Insomma in questo bengodi bancario, le regole e le tendenze di mercato che valgono per gli altri non sembrano applicarsi. Con qualche incidente di percorso, peraltro, quando si ascolta il Presidente ammettere che la Banca ha commesso un errore sesquipedale, per aver infranto una delle regole più importanti della vigilanza prudenziale. Alle timide richieste di come ciò sia potuto avvenire, il Presidente, senza muovere un muscolo, ha elegantemente glissato, facendosi scivolare addosso le (im)pertinenti domande.

Sempre i nostri antenati avrebbero osservato Quaesivi, sed non inveni, ho chiesto, ma non ho ottenuto risposta. Ma va bene così! Meglio per tutti non insistere. Notizie al minimo sindacale. La vicenda potrebbe imbarazzare molti.

C’era però un ultimo argomento, un fantasma che, marxianamente parlando, si aggirava per la sala, tra i banchi distanziati dei presenti in mascherina, pronto a mostrarsi in tutto il suo fragore. Nulla a che vedere con la gestione tecnica, beninteso.

Il fatto che non poteva essere digerito da parte degli esponenti di due delle tre liste che si confrontavano con quella del Presidente era che il Presidente medesimo avesse usato l’archivio anagrafico dei soci della banca per fare campagna elettorale a favore della propria lista. L’accusa non era da poco, dato che senza mezzi termini si prefigurava la sottrazione di elenchi protetti dalle più rigorose norme sulla privacy. Il Presidente ha negato che la cosa potesse configurare la sua benché minima responsabilità. In verità, non è stato del tutto convincente, perché nessuno ha capito alla fine come lo sconcertante episodio sia potuto accadere. Lo capiremo in seguito.

La lista più importante che si contrapponeva a quella del Presidente ha aperto intanto tre contenziosi: due giudiziari davanti al tribunale civile per presunte irregolarità nella composizione della lista di maggioranza e nelle modalità di votazione in assemblea e uno amministrativo presso l’autorità garante dei dati personali per asserito illecito uso di dati sensibili dei soci. Corre anche voce che qualcuno abbia portato all’attenzione della vigilanza creditizia alcune anomalie della gestione.

La nuova governance si apre quindi con contenziosi non proprio leggeri tra le componenti che, tra maggioranza e minoranza, dovranno gestire la banca e noi, che ogni tanto immaginiamo culture di impresa basate su criteri di democrazia economica, ci ritroviamo con un modello renano, in salsa tiberina.
Esso potrebbe fornire occasione di studio per i più raffinati cultori di governance bancaria, materia sulla quale il Paese offre invero esempi numerosi e peculiari.

Inappagato è rimasto, tra querelle e argomenti minori, il nostro appetito per le strategie future della Banca. Nessun programma preciso, salvo promesse di assecondare i bisogni dei soci, senza indicazioni sulla sostenibilità economica delle tante scelte possibili.

Si vedrà alla fine dell’anno come saranno andate le cose. Inutile ora perdere tempo con le previsioni. E poi il Covid ha aperto la stagione dell’incertezza, che giustifica molti esiti. Una cosa è tuttavia certa. Che non avremo le vacche grasse del 2019. Ma già! Lo scorso anno precedeva il rinnovo delle cariche e in ogni luogo della terra le campagne elettorali debbono essere anticipate da risultati eccezionali.

Conclusione

I lettori saranno curiosi di conoscere la conclusione di questa storia. Li accontentiamo subito.

Il Presidente ce l’ha fatta a farsi rieleggere, insieme alla propria lista. Ma dalla espressione del volto non sembrava particolarmente soddisfatto. Forse si sarebbe aspettato un’apoteosi in nome dei risultati ottenuti e raccontati con orgoglio in interviste alla stampa prima dell’assemblea. Ha distribuito agli azionisti quasi dieci milioni di dividendi e ha devoluto quasi sei milioni in ogni forma di beneficenza e assistenza ai soci! Eppure è stato rieletto con un contenuto 24 per cento degli aventi diritto al voto, meno della volta precedente. Analoga considerazione vale per le altre due liste che non hanno superato il 15 per cento.

Sembrava il nostro non riuscire a capacitarsi del perché i soci non fossero stati adeguatamente riconoscenti nei suoi confronti.

In generale nelle cooperative bancarie la scarsa partecipazione non è cosa rara. In questo caso però il segnale di disaffezione della base sociale è doppia, in quanto espressa verso la banca e verso i sindacati. Non è confortante, perché non è detto che sia manifestazione di fiducia incondizionata, a meno che nella platea sociale non vi sia l’assoluta certezza che ogni tipo di richiesta possa essere soddisfatta, qualsiasi sia il Consiglio di amministrazione in carica.
La litigiosità con la quale è cominciato il nuovo mandato potrebbe inoltre costituire un rischio non secondario.

Noi auspichiamo che prevalgano manifestazioni di buon senso, onde evitare che gruppi in contrapposizione si sfidino sul terreno delicato della gestione della banca a loro affidata, finendo per allontanarsi da scelte ispirate a razionalità economica. Ai soci deve essere ben chiaro, che affidarsi a gruppi in grado di coalizzare consenso non esclude dai rischi a loro diretto carico e che l’agire da azionisti partecipi e informati costituisce la vera garanzia di ogni buona condotta aziendale. Essi debbono pretendere dalle comunicazioni sociali chiarezza ed esaustività e qualche correzione di rotta non sarebbe un male.

Non è il caso di ricordare le dolorose vicende di banche popolari colpite da forti stravolgimenti della governance ad opera di gruppi che concentravano un esorbitante potere di comando. “Ah se fossimo stati più informati!”, hanno detto ex post tutti, ad iniziare da chi aveva compiti di controllo.

C’e’ al momento una parte del settore bancario che soffre di criticità. E’ il comparto delle banche popolari minori. Chi fra di loro gode di una migliore condizione, come la nostra, non deve mai rinunciare a criteri di sana e prudente gestione, anche per dimostrare che nell’ordinamento italiano c’è ancora spazio per entità bancarie di questa natura.

Altrimenti la trasformazione in società per azioni può essere veramente la temuta prospettiva, affinché chi detiene il potere azionario lo eserciti in base alla quota di capitale effettivamente posseduta e senza intermediari. E ovviamente senza più nulla dovere a spirito solidaristico e mutualità.

D’altro canto il valore delle azioni della nostra popolare, tutt’altro che simbolico, deve far riflettere sull’esercizio consapevole di diritti di voto che contemplano assunzione di rischi e sfruttamento di opportunità di investimento di una mole non indifferente di risparmi.

P.S. Per conoscere il nome della banca clicca qui.

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