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Il Sessantotto del professor Ciccio Callari

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Professore di matematica e fisica, portava capelli cortissimi – diceva lui tagliati all’Umberto – e ostentava con fierezza la insita peculiarità di quella scelta: “così al mattino in un colpo solo posso procedere al lavaggio non solo del viso, ma anche della testa”.

Il professor Francesco Callari fu il terrore di noi giovani alunni nei primi due anni di ragioneria. Severo al limite dell’autoritarismo, non tollerava trasgressioni e – nei casi in cui vi incorrevamo – affibbiava a più non posso note, sospensioni, convocazioni di genitori.

Col senno di poi, nella sua severità non aveva tutti i torti e non avrebbe potuto fare altrimenti per cercare di modellare quel branco di ragazzini immaturi e vocianti, che si accingeva ad un nuovo ciclo scolastico.

Il solo avvistarlo da lontano incuteva terrore.

Nel secondo anno, fu lui a sostenere l’accusa contro Eugenio T. che, durante una interrogazione che volgeva male, aveva – con inaspettata violenza verbale – dato della puttana alla professoressa di chimica. Restammo tutti inebetiti da quella reazione, ma in cuor nostro prevalse la solidarietà per il compagno.

Era arrivato anche nel nostro territorio scolastico un po’ ai margini il Sessantotto.

Eugenio venne prima sospeso, poi definitivamente espulso da tutte le scuole statali d’Italia.

A noi piccoli sessantottini il professor Callari apparve come uno spietato despota da abbattere e Eugenio un impavido Che Guevara. In realtà si era semplicemente manifestato per il ragazzino maleducato che era. Ma si sa l’ideologia vince sempre sul buon senso. Solo che i danni si vedono dopo e non sono mai lievi.

Fino ad allora la classe insegnante godeva di indiscusso ascendente su di noi e riceveva il massimo rispetto dai genitori, qualsiasi fosse il loro ceto sociale.

In tutto e per tutto quella volta il terribile prof. Callari fu il sergente di ferro intransigente che gestì senza mezzi termini la situazione, senza tema di contestazioni. Non capimmo sul momento il conflitto interiore che lo accompagnò nella scelta terribile per ogni insegnante di allontanare definitivamente un allievo dalla scuola. Il singolo non poteva danneggiare la moltitudine, però!

Negli istituti tecnici, e non solo, la selezione nelle prime classi e in quelle maschili in particolare, era una vera e propria carneficina. Una caporetto! In genere, non più del cinquanta per cento riusciva a passare al primo colpo alla seconda classe. Alla fine, col “percorso netto” fummo in pochi.

Anche se nel biennio aveva avuto modo di conoscere perfettamente ognuno di noi, ricordo bene che la vera metamorfosi del “terribile” prof. Callari ebbe inizio a partire dal terzo anno. Fu inaspettata e sorprendente.

Per inciso, per me il bengodi con lui culminò al quarto anno, quando, grazie alla mia predisposizione per la matematica finanziaria, venivo isolato in cattedra per svolgere i compiti in classe, cosicché non li potessi passare agli altri. La facilità nello svolgimento dei problemi mi portava a ultimare i compiti in pochi minuti, cosa che mi faceva diventare il pivot che passava la palla agli altri. Scoperta questa virtù da regista, il prof decretò il mio isolamento e l’espulsione vigilata dalla classe, non appena consegnato il compito. Che gli altri avessero il tempo per trovare da soli le soluzioni! E io la smettessi di fare il buon samaritano!

Comunque, l’approccio con noi alunni dal terzo anno cominciò ad assomigliare a quello del “buon padre di famiglia”, attento e presente nella nostra formazione; protettore e partecipe dei nostri bisogni. Seguire le sue lezioni ed essere interrogati scorreva in modo fluido e con il coinvolgimento di tutti. Eravamo finalmente una classe, non un accolita sconclusionata di scolari.

L’eccezione, comunque, confermò la regola del rigore, come in quell’anno in cui, a seguito di precedenti bocciature, la classe si era ridotta a una dozzina di unità. Le distrazioni dell’adolescenza che allontanano da una applicazione costante e l’essere in pochi ci sottoponevano inevitabilmente a interrogazioni quotidiane e pure in più materie dagli esiti facilmente immaginabili. I giudizi di impreparazione cominciarono a fioccare per tutti. Ci parve di essere passati dalla ingiustizia applicata alle ribellioni dei singoli alla ingiustizia sociale.

Stufi, uniti e certi del successo, decidemmo all’unanimità una forma di ammutinamento. Rifiutammo di essere interrogati e ci astenemmo dalle lezioni delle ultime settimane del trimestre, in una protesta a metà tra lo sciopero e il bigiare la scuola. Il mare si aggiungeva come fomentatore irresistibile della rivolta.

Al momento degli scrutini di fine anno,  il Consiglio di classe, guidato dal nostro, optò per azioni esemplari! La dozzina fu rimandata tutta a settembre, in media in tre materie ciascuno, con un record di cinque, applicato al nostro amico che si era messo più in luce nella protesta.

Ma non fu tutto. Cesare B., il primo della classe, fu rimandato con cinque in educazione fisica, perché nessuno potesse avere dubbi sulla decisione di politica educativa, dovendo il provvedimento essere d’esempio per tutti.

Non si facevano sconti a nessuno! E che nessuno si nascondesse dietro qualche pietosa espressione di compatimento. Giudizio inappellabile! Le famiglie rimasero in silenzio, prime a capire il senso della decisione, per quanto avesse costi anche per loro. E il loro “ben vi sta” completò la classificazione del più autolesionista dei reati.

Come prevedibile, gli esami di riparazione furono per tutti pura formalità, ma intanto le ferie erano state in buona parte sacrificate.

Anche qui non cogliemmo probabilmente il conflitto interno dei professori, che non provarono nessun sadico piacere nel prendere la decisione.  A distanza di tempo viene anche da pensare che in cuor loro fossero addirittura un pizzico ammirati per quella nostra presa di posizione coraggiosa, costasse quel che costasse.

In noi l’occasione maturò spirito di coesione ed appartenenza alla combriccola.

Come sappiamo, nella scuola italiana il severo paternalismo a’ la Callari lasciò di lì a poco il posto ai diritti, ai garantismi, ai pluralismi degli attori, in primis le famiglie, da conciliare in equilibri sempre più fragili, di poco senso comune e di grande confusione di ruoli. La storia della scuola italiana prese un’altra strada e perse tanti valorosi insegnanti che non ressero allo shock del cambiamento. Molti di essi uscirono di scena perché non capirono più che cosa la società volesse da loro, fino a indicarli come nemici sociali da combattere.

Oggi sono tutti a lamentarsi che l’educazione scolastica è uno dei grandi problemi che affliggono la nazione. In ritardo di conoscenze e di competenze, la scuola è sempre più lontana dai bisogni della società. Non è certo questo il luogo per affrontare questioni di siffatto livello, volendo mantenere la leggerezza del racconto.

Al nostro professor Francesco Callari andò meglio, avendo intanto assunto il ruolo vice preside. Per noi diplomandi era anche diventato “Ciccio”, per poter sopravvivere affettuosamente nei nostri ricordi.

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