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Il rito con gli invitati distanti.
In collegamento da remoto con il Salone delle Assemblee di Palazzo Koch in Roma, abbiamo seguito la lettura delle Considerazioni Finali del Governatore della Banca d’Italia, riecheggiante nel silenzio dei distanziati presenti. Silenzio più che reverenziale, fisico per l’assenza degli astanti, un pò come il silenzio fuori ordinanza dei militari. E mai come oggi il silenzio vale più di mille parole per sintetizzare lo stato dell’economia e della finanza. L’impatto mediatico sarà meno risonante. Come sapere se gli eminenti partecipanti degli scorsi anni sono ancora vicini tra loro, elite del paese che si ritrova, si saluta, si confronta e pensa generosamente al nostro futuro.
“ The best way to avoid disappointment…is not to expect anything from anyone”. Così recita un vecchio adagio del mondo anglosassone. E, nella circostanza, noi in esso ci siamo pienamente riconosciuti.
Il nostro paese può permettersi ancora queste dotte dissertazioni, che si levano da pulpiti che l’opinione pubblica stenta sempre più a capire e critica oramai apertamente? La credibilità della classe dirigente alimenta la fiducia nel domani e nelle istituzioni che ci guidano. Da quanti anni sentiamo parlare con pacata autorevolezza dei tanti, troppi ritardi accumulati prima e dopo la nascita dell’euro, avvenuta ventuno anni fa. Della scarsa produttività di importanti settori produttivi e di mercati del lavoro centrati sulla precarietà. Einaudi avrebbe parlato di prediche inutili, il cittadino di prediche irritanti.
Possiamo sopravvivere ai guasti della pandemia, partendo dalle debolezze accumulate, per nutrire qualche speranza? Al momento le variabili in gioco sono troppe.
Tanta incertezza
L’incertezza sulle ripercussioni economiche della pandemia è molto di più della crisi finanziaria del 2008. Si possono esplorare scenari sull’andamento dell’attività economica in Italia nel biennio 2020-21 sotto diverse ipotesi alternative. In uno, le cui ipotesi sottostanti sono sostanzialmente in linea con quelle considerate dai principali previsori istituzionali, il PIL potrebbe ridursi del 9 per cento quest’anno per poi espandersi del 5 per cento nel 2021. Restano rilevanti i rischi per un ulteriore ribasso, anche per l’affacciarsi di fenomeni speculativi e delinquenziali.
I tempi e l’intensità della ripresa dipendono dall’evoluzione della pandemia, dall’andamento dell’economia globale, da eventuali ripercussioni finanziarie e in misura rilevante dall’efficacia delle politiche economiche. È tutto e niente.
Questo è il punto di tutta l’analisi che termina con un grande punto interrogativo. Si entra, direbbe Keynes, tirato in ballo spesso e non sempre a proposito, nel regno dell’incertezza (la parola ricorre spesso nelle Considerazioni) uscendo da quello della misurazione dei rischi (arduo, ma pur sempre rispondente a logiche economiche). La cosa rende inutili molte previsioni e di estrema difficoltà la modulazione delle azioni di politica economica e monetaria.
Il quadro prosegue come l’almanacco del giorno dopo, con l’indicazione puntuale di tutte le misure decise a livello europeo, della BCE e del governo italiano. Centinaia e centinaia di miliardi di euro, in parte sulla carta e in parte in denaro sonante. Gli effetti non sono per ora quantificabili sulle imprese e sulle famiglie. Di sicuro, una enorme quantità di denaro immessa in poco tempo nell’economia di un paese genera effetti redistributivi tra classi sociali che andranno ad aumentare le già non trascurabili distanze. Come si governano questi scompensi socio-economici che si sommano a quelli già ben noti?
Banche e vigilanza, punctum dolens
Le banche arrancano alla ricerca di condizioni economiche patrimoniali rese ardue dagli effetti della pandemia e dai nodi irrisolti di sempre, ivi compresi i più recenti dissesti. Le migliorate condizioni complessive faranno presto il conto con gli scenari avversi di cui si è fatta menzione prima.
Vi è inoltre una nuova funzione della Banca d’Italia che viene in luce che potremmo definire di catalyst: il monitoraggio pressante delle banche sulle domande della clientela per le moratorie dei prestiti per le PMI e per i mutui alle famiglie previste dal Decreto Legge Cura Italia (art. 54 e 56). Il numero di richiese ricevute dalle banche è di 2,5 milioni, in prevalenza accolte, per un controvalore di 250 miliardi di euro. La sineddoche insita in queste statistiche ridimensiona l’enormità dei volumi: 250 miliardi è l’intero controvalore dei prestiti i cui titolari hanno avuto accesso alla sospensione di alcune rate. Lo sforzo delle banche sulle quali è intervenuto il governo appare più che sostenibile.
Conclusioni
In definitiva, è una Relazione in linea con le altre degli anni scorsi, quanto a contenuti, resi ovviamente esacerbati dai tempi che stiamo vivendo.
La sola elencazione delle criticità infrastrutturali fa capire l’enormità del peso sulle nostre spalle e la bassa probabilità di affrontarle con prospettive di successo. La scuola, la sanità, la previdenza, le telecomunicazioni, l’ambiente, la burocrazia, il passaggio al digitale. E potremo continuare, perché fa sempre presa ricordare che l’Italia è il malato più serio d’Europa. Esso non può confidare solo in aiuti esterni, per quanto importanti e necessari.
La consapevolezza di quello che c’è da fare non basta più. Bisogna capire come farlo (programmazione, progettualità, controlli nell’avanzamento delle iniziative, misurazioni puntuale di miglioramenti del benessere generale, interventi dirigistici, patti di coesione sociale, accettazione di controlli europei).
E non si dica che essendo questi argomenti il campo di elezione della politica, una Banca Centrale non possa entrarci. Si tratta di proporre modalità su come coniugare la mano visibile dell’intervento pubblico nell’economia con la mano invisibile del mercato, in un contesto nel quale tutti ripetono che nulla sarà più come prima. Vorremmo che questo fosse il tema portante di ogni dibattito, per capire come l’economia politica e la politica economica dovranno convivere.
Ci sono altri temi socialmente ed economicamente rilevanti come la tutela del consumatore in uno scenario nel quale posizioni di rendita, piccole e grandi, indeboliranno le difese della parte più fragile della popolazione.
Il paese ha terribilmente bisogno di un’autorità di tutela dei consumatori, che a tutto campo si occupi della concorrenza e della difesa dei diritti.
Nella relazione del Governatore si da’ l’annuncio di due riforme organizzative della Banca, il controllo dei servizi di pagamento che si unisce alla circolazione monetaria e un nuovo dipartimento preposto alla tutela del consumatore e all’educazione finanziaria. Le due nuove configurazioni sembrano rispondere a logiche di gestione interna, piuttosto che al rafforzamento delle funzioni istituzionali.
D’altro canto, come abbiamo più volte scritto, oltre alla difficoltà di rendere compatibile i pagamenti digitali con la funzione di circolazione delle banconote, si deve anno dopo anno prendere atto della inefficacia delle azioni fin qui promosse, considerato che il paese è tuttora ultimo nei pagamenti elettronici.
La tutela del consumatore è competenza che la Banca d’Italia rivendica da anni, anche se essa in effetti è incardinata presso l’AGCM, in quanto ne costituiscono essenza imprescindibile la tutela della concorrenza e il contrasto delle pratiche scorrette.
Ricordiamo che la funzione di antitrust nel sistema bancario le fu tolta, tra mille polemiche. La Banca d’Italia ha esercitato la funzione di tutela della concorrenza nel credito dal 1990 fino a gennaio del 2006, in virtù della legge 287/1990. A partire da allora le competenze sono state trasferite all’AGCM con legge 262/2005. A lume di logica le funzioni potrebbero essere unificate in un unico soggetto, anche perché la cooperazione tra autorità non si è mai consolidata, come più volte emerso al momento dell’insorgere di criticità nelle banche.
Non affrontare questi problemi, che riteniamo essenziali, può sembrare che si tiri a campare, facendo tornare alla mente il verso di Trilussa tratto dal sonetto Er bijetto da mille: “ma qui che conto? Gnente, nun lavoro e perdo tempo come un dipromatico”.
Ci sia consentito riportare una notazione di stile che ci hanno fatto osservare alcuni ascoltatori.
Se stiamo in difficoltà serie legate alla povertà, alla perdita del lavoro, ai tanti lutti, alle prospettive di disgregazione sociale, può dare fastidio sentire un banchiere centrale che ripete che andrà tutto bene e che ci è vicino.
È messaggio che suona distante e retorico, sembrando un auspicio che non riguarda chi lo pronuncia, intento come è a svolgere le sue lezioni.
Non ci si dovrebbe mai scordare di un altro verso del sonetto di Trilussa sopra citato. “So’ forte finché è forte la Nazzione, m’indebbolisco se s’indebbolisce”.
Nessuna istituzione deve mai rischiare di apparire al di fuori dei problemi che descrive agli altri.
Il fatto che i telegiornali non aprano più con la relazione di fine maggio del Governatore della Banca d’Italia come prima notizia vorrà pur significare qualcosa.
Se poi il rituale non riesce a indicare chiaramente le linee socio-economiche da perseguire e non sappia indicare chiaramente alla politica i rimedi non fa neanche questo restare fiduciosi.
Che la situazione generale è difficile e non prospetti un futuro roseo è cosa scontata, che capiscono tutti.
Forse occorrerebbe che le diverse parti in causa manifestassero un maggiore coraggio, per cercare di rendere evidenti i rimedi necessari e magari tentare di giocare a carte scoperte, piuttosto che continuare con l’oratoria politichese, quasi che la platea non potesse essere all’altezza di capire la gravità e la complessità del momento.