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Discutiamo, o meglio, continuiamo a polemizzare su tutto, ma ammettiamolo, ci sentiamo un po’ smarriti in questa fase di ripresa di una quotidianità, che sarà inevitabilmente diversa. Un momento precario che richiede calma, umiltà e buon senso.
Mi domando se questo periodo di quarantena possa aver generato una capacità di maggiore introspezione, oppure intensificato una percezione di frustrazione.
Spesso, inconsciamente cerchiamo vie di fuga da noi stessi, ci creiamo un diversivo di pensiero, che sia il più semplicistico possibile. Partoriamo un giudizio, che impulsivamente usiamo per cercare di risolvere ciò che non possiamo o non sappiamo spiegare; quello che in realtà ci appare troppo complesso.
La complicatezza
E se usiamo il termine complesso, lo associamo immediatamente a un pensiero complicato.
L’etimologia della parola complicato deriva dal latino complicare, che vuol dire piegare insieme, avvolgere. Personalmente, se dovessi fare un paragone per spiegare cosa sia complicato, dopo le lunghe file per la spesa affrontate in questi giorni di quarantena, visualizzerei la nostra burocrazia, quella quotidiana, quella che ti fa andare fuori dai gangheri per le assurdità che spesso richiede. Chi non si è trovato almeno una volta in qualche ufficio bancario, postale o comunale, a immedesimarsi nel Ragionier Fantozzi?
Cumuli di fogli, richieste di firme da apporre, il più delle volte senza leggere, e note da interpretare alla lettera, che si sono momentaneamente complicate con i distanziamenti, i vetri di plexiglas e le mascherine che purtroppo non aiutano la comunicazione. Sono sensazioni che percepiamo come nodi talmente serrati che definendoli complicati ci fanno sentire anche degli incapaci.
Quindi, risolvere qualcosa di complicato richiede una notevole fatica mentale, uno sforzo a volte inutile, uno spreco di tempo e di energie per risolvere ciò che potrebbe essere reso più semplice.
La complessità
Al contrario, la complessità, dal latino complexus, è l’unione, l’intreccio di più parti o di più elementi, la visione più ampia possibile di una data situazione o di una immagine che osserviamo. Complesso è comprendere che ognuno è responsabile della propria vita, nella quale si intersecano elementi sia positivi che negativi. Un problema complesso non richiede un pensiero immediato di soluzione, perché deve essere compreso nella sua globalità.
Se pensiamo a questo preciso momento di fine-quarantena e di progressiva riapertura alla vita comune, direi che il problema non è complicato, non ha una soluzione unica e semplicistica, è una situazione estremamente complessa da osservare e risolvere.
Nessuno conosce la soluzione al virus del Covid 19, dobbiamo avere grandi cautele, dobbiamo proteggerci dalla moltitudine e da un nemico invisibile, ma al tempo stesso non possiamo nemmeno alienarci dalla società, dal lavoro e dalle nostre paure.
Complicato non morire per una malattia pandemica, ma complesso sopravviverle economicamente.
Avevamo creato un mondo globalizzato, apparentemente efficiente e velocizzato, che all’improvviso si è fermato, disorientando anche le menti più argute e brillanti. Quando nel 2008 la crisi economica e finanziaria ebbe impatto sull’economia reale delle grandi potenze occidentali, iniziò una fase di recessione, che dette la possibilità ad altre economie emergenti, quali Cina, India, Brasile, Sudafrica e Russia, comprese alcune regioni dell’Africa, di migliorare la propria crescita economica. In quel momento si stava creando non solo una maggiore richiesta di consumi, ma un vero e proprio cambio di vita e di conseguenza di alimentazione.
Da un’alimentazione prevalentemente a base di cereali, stavano aumentando le richieste per una alimentazione proteica a base di carne, pesce, uova e derivati del latte. E se per aumentare in modo esponenziale la coltivazione di cereali servono immense distese di territorio, per la produzione di carne ne servono almeno il doppio se non il triplo, per non parlare della coltivazione della soia, che serve per nutrire gli animali da allevamento e che sta superando l’estensione della coltivazione del grano.
La grande sfida della complessità
La grande sfida della complessità si sta già palesando sul fronte geopolitico, con inversioni di esportazione e importazione, dove la Cina sta divenendo il più grande magazzino di cibo del mondo per realizzare la propria indipendenza alimentare.
Ma la domanda è: saremo in grado di generare una sicurezza alimentare per tutti i paesi senza alterare la natura e l’ambiente?
Non è facile abbattere tutte le nostre abitudini per riprogrammare totalmente un nuovo mondo, assicurandosi che abbia basi sulla solidarietà, la responsabilità e l’etica. Si, sono loro i fili del tessuto della nostra società umana mondiale. La nostra cultura si è abituata a vedere la vita composta di cause ed effetti in modo lineare, anziché in modo circolare per una trasformazione continua.
La storia forse non insegna, ma per chi ha buona memoria aiuta parecchio.
La parola si forma solo dopo che abbiamo il pensiero e l’immagine mentale. Quindi il testo, le parole che descriveranno le nostre idee, lo scriveremo solo dopo aver avuto la visione e l’immagine completa di una data situazione, ed è la capacità di vedere la complessità di ciò che sarebbe utile fare la vera sfida.
Il passato ha già subito e sperimentato le molteplicità della realtà, che sono riconoscibili in tutti i livelli dell’essere umano, ma si manifestano per primo e in modo esplicito nella natura.
È una complessità di sfide che devono essere ancora comprese, in quanto totalmente nuove, ma potrebbero rivelarsi il terreno fertile per una fase evolutiva ed innovativa. E per sua natura, l’innovazione, questa parola così misteriosa e complessa, spesso abusata, ha un rapporto molto stretto con l’evoluzione, la quale avviene nella società, in base alla conoscenza acquisita. Complicato? No, solo la comprensione che viviamo in un’epoca complessa, nella quale l’intera umanità è strettamente intrecciata con l’ambiente può aiutarci. Se per innovarci ci vogliono nuove idee, per evolverci dobbiamo non ripetere i comportamenti sbagliati del passato.