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Tre decisioni che ci riguardano.
Tre decisioni prese da due organismi europei e uno tedesco di rango costituzionale riguardano da vicino Roma e l’Italia anche se provengono da Francoforte, Bruxelles e Berlino.
Dispiace e sorprende che il Ministro Gualtieri abbia liquidato il tutto con un “per noi non cambia nulla”.
Mettendo insieme le fonti istituzionali (BCE, Corte di giustizia europea e Corte Costituzionale tedesca) a nostra disposizione, possiamo prendere posto in sala ed assistere virtualmente ad una lezione sul significato dell’Europa e dell’euro.
Per evitare le sintesi giornalistiche, spesso frettolose e di parte, e di ammalarci di analfabetismo di ritorno ora che abbiamo tempo da spendere. Si parla di Europa, dei principi di sussidiarietà e proporzionalità, dei limiti e dei rischi della Politica Monetaria fin qui seguita dalla BCE. La decisione di Berlino inoltre pone in termini più generali un quesito costituzionale antico relativo ai limiti che incontra un qualsiasi potere, di natura pubblica o privata.
Chiunque può farsi una idea precisa dei temi in gioco e di come, grazie alla finanza e alla politica monetaria, è cambiata la nostra vita e la nostra economia.
Ci sarà pure un giudice a Berlino, si chiedeva il mugnaio di Postdam, mentre lottava con forza contro l’imperatore Federico II di Prussia che voleva espropriare il suo mulino per abbatterlo.
E così è stato. Quale significato attribuire alla decisione dei giudici?
La piena sconfessione della politica monetaria di Mario Draghi nella seconda parte del suo mandato che è durato dal 2011 al 2019. L’acquisto di titoli di Stato da parte della BCE per quasi tre trilioni di euro non è ordinarietà della politica monetaria, ma è una misura non convenzionale. Ha senso per brevi periodi e soprattutto quando si affiancano misure dello Stato nazionale per mettere in ordine le finanze, cosa che l’Italia non ha mai fatto. L’avventurarsi in queste acque tempestose senza tener conto delle conseguenze significa solo prendere/perdere tempo rispetto a piani di rientro dal debito scritti sulla carta e mai divenuti effettivi. Ed infatti, la nostra situazione è peggiorata e non di poco, economia che è si alternata tra la recessione e la stasi dal 2008 e paese pieno di debiti. A che è servito il Prof. Draghi?
In questo breve articolo, vorremmo richiamare due aspetti, tra i tanti che meritano considerazione.
Ultra vires in punto di diritto
La locuzione ultra vires significa “al di là dei poteri”. In diritto, se un atto richiede autorità legale, ed è istruito attraverso tale autorità, è caratterizzato dalle legge come intra vires, ossia “nell’ambito dei poteri”. Se invece viene istruito senza tale autorità, viene considerato un eccesso di potere. Gli atti intra vires sono considerati legalmente validi, al contrario di quelli ultra vires. Ne discende il principio nec ultra vires (“non oltre i poteri”). Digressione giuridica utile perché i giudici tedeschi hanno più volte fatto ricorso a questa espressione apparentemente erudita, ma dal significato terribile di abuso di poteri.
Francesco Saitto ha così commentato il significato più profondo della sentenza tedesca, avvalendosi del concetto di Controdemocrazia elaborato dallo studioso francese Rosanvallon. “Ecco perché nella benevolenza della Corte di Giustizia sembra possibile individuare il vero bersaglio di questa decisione, per ora seria ma non ancora grave nelle sue implicazioni attuali. In tal modo, ancora una volta, il Tribunale si pone a baluardo della legalità e, in particolare, della legalità costituzionale, facendosi acceleratore delle “istanze controdemocratiche” che, a livello nazionale, rivendicano il loro diritto a partecipare affinché la responsabilità per l’integrazione, nel bene e nel male, venga realmente espletata da parte dei vari organi costituzionali coinvolti, garantendo, al di là della loro capacità di incidere in sede parlamentare, alle forze societarie e di minoranza di agire comunque in modo efficace (per un approfondimento, sul concetto di Controdemocrazia così come applicato in questi tornanti, se si vuole, qui).”
Ultra vires in punto di economia
Dopo questa premessa di tipo istituzionale quale è il punto fondamentale sollevato e fortemente avversato sia dalla BCE che dalla Corte di Giustizia Europea?
E’ sostanzialmente il risultato della tabella in alto pari a circa 3 trilioni di euro di titoli, prevalentemente di Stato, acquistati in varie occasioni e periodi dalla BCE senza che fosse raggiunto il target dell’inflazione al 2 per cento, obiettivo primario ed incondizionato della politica monetaria, secondo Maastricht. Questo è il punto centrale che viola il principio di proporzionalità. Il raggiungimento di un obiettivo richiede che i mezzi siano proporzionati, adeguati, allo stesso.
Analogamente al principio di sussidiarietà, il principio di proporzionalità regola l’esercizio delle competenze esercitate dall’Unione europea. Esso mira a inquadrare le azioni delle istituzioni dell’UE entro certi limiti. In virtù di tale regola, l’azione dell’UE deve limitarsi a quanto è necessario per raggiungere gli obiettivi fissati dai trattati. In altre parole, il contenuto e la forma dell’azione devono essere in rapporto con la finalità perseguita.
Il principio di proporzionalità è illustrato nell’articolo 3 ter del trattato di Lisbona sull’Unione europea del 2007. Dati lo sforzo profuso i rapporto ai risultati ottenuti la situazione è evidentemente sproporzionata, se non starata ed inadeguata.
Lasciamo ai lettori più attenti la curiosità di scoprire gli altri aspetti della diatriba, innumerevoli e interessantissimi a partire dalla critica di aver alterato le condizioni di funzionamento dei mercati finanziari (tassi di interesse negativi sui titoli di stato per la Germania), modificando le coordinate rischio/rendimento, dati gli ingenti acquisti effettuati.
Altra conseguenza è rappresentata dai tassi di interesse sulla raccolta bancaria e postale in molti paesi dell’Eurozona, ormai negativi da molti mesi. Ciò pone il problema, allo stato irrisolto, di come valorizzare il risparmio dei depositanti, estremamente cauti a sottoscrivere titoli di debito, pubblici o privati.
Vorremmo concludere con quel che cambia per noi. Dovremmo imparare a riscrivere la nostra storia che non è solo quella del manuale di storia patria, ma anche quella finanziaria a causa di un debito pubblico monstre che non potremmo mai ripagare.
Dietro questa montagna si dipana la nostra storia che conosciamo in parte perchè ci è precluso sapere come questo enorme flusso di denaro è stato spostato e dove si è diretto. E in tale contesto rivedere per il futuro la nostra spiccata attitudine a ragionare a debito, nelle ordinarietà come nelle emergenze.
Ragionamenti come quelli della Corte tedesca, che abbiano o meno seguito ed implicazioni concrete, ci dicono quanto sia in salita la nostra strada per raggiungere obiettivi che pure sono alla nostra portata.
Il principio di proporzionalità per noi italiani è proprio questo: pagare interessi su un debito pubblico altissimo e in proporzione sottrarre risorse a tutto il resto, innanzitutto all’economia e ai servizi alle famiglie, come amaramente abbiamo appreso dalla disgraziata gestione della pandemia. Spendere in modo improduttivo facendo deficit non farebbe che peggiorare la nostra storia, costellata di simili esempi. Ma la politica ha difficoltà ad apprendere questa lezione. E questa è stata per troppo tempo la nostra storia.
Gent.mi Daniele e Gerardo,
grazie per l’analisi precisa e puntuale, di politica monetaria dell’Eurosistema.
Ogni analisi politica monetaria perseguita dalla BCE, tende inevitabilmente a trasformarsi nella discussione di una grande “occasione mancata” al fine di raggiungere gli obbiettivi prefissati di politica economica e a porre al centro una sfasatura rilevante. L’opprimente e pericolosa politica economica che è stata portata al suo limite estremo dai nostri governi che si sono succeduti e la sostanziale pochezza della politica concreta dei governi dei paesi membri, è infatti un contrasto stridente con la riflessione di notevole respiro che ne avevano accompagnato la nascita dell’Europa, e al tempo stesso con le attese e le aspirazioni che si erano diffuse in un’economia profondamente trasformata.
Una prima ragione del fallimento di quel tentativo riformatore sta indubbiamente nella corposa presenza di resistenze e di opposizioni efficaci: in parte esplicite e dichiarate, in parte più sotterranee e carsiche. Esse accomunano settori ampi della Commissione Europea e degli apparati “governance”, nascono da interessi consolidati di gruppi e al tempo stesso da culture e orizzonti mentali radicati. Veti e vincoli “esterni” (FMI, la Banca Mondiale, l’Organizzazione Mondiale del Commercio, i club di riflessione World Economic Forum, le influenti Agenzie di Rating), in primo luogo non sono irrilevanti, e non cessano automaticamente come si è detto. Per capire appieno l’efficacia e la lunga durata delle resistenze è necessario ricordare in pieno gli elementi che avete evocato più volte nei vostri editoriali di politica monetaria.
Anche rischiando di apparire populista, la cosa che più preoccupa è l’atteggiamento della classe politica che si dimostra sempre più irresponsabile e, oserei dire, immatura. Di fronte alla possibilità di ottenere liquidità a debito, non si pone mai la necessità di mettere a punto un “piano industriale Italia” prima ancora di chiedere. Molti fanno come quei bambini che tendono le mani e dicono sempre lo voglio, lo voglio, senza avere idea di sapere per cosa. L’idea è sempre la stessa, spendere in maniera inconsulta, distribuire a pioggia a categorie e lobbies di riferimento che devono foraggiare per mantenere il consenso.
Fosse magari per gli interessi della gente comune potrebbe anche andare bene, o la salute primaria dei cittadini, la CIG di lavoratori bloccati per attività ferme, un reddito minimo di sostentamento pro-capite per gli indigenti. Ma qui i soldoni sembrano ancora una volta destinati ad altro. Perfino la FCA pretende sovvenzioni dallo stato, come sempre, mentre intanto compra giornali per polemizzare a discapito di chi si impegna e pilotare il dissenso.