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Allarme coronavirus: nei campi manca davvero la manodopera?
Immaginate possibile una soluzione per far fronte alla asserita mancanza di manodopera, che rischierebbe di compromettere i raccolti primaverili, «arrivati in anticipo per effetto di un inverno troppo caldo», come ci raccontano alcune associazioni professionali di categoria?
In particolare, affermano che è a rischio più di un quarto del made in Italy!
L’affermazione è impropria, visto che stiamo parlando di prodotti ortofrutticoli, mentre il made in Italy “è l’insieme dei prodotti dell’industria nazionale in genere indirizzati all’esportazione, con particolare riferimento al mondo della moda”.
I prodotti agricoli vengono raccolti nelle campagne da 370 mila lavoratori stagionali regolari che arrivano ogni anno dall’estero, soprattutto Est Europa come Romania, Albania, Bulgaria e Polonia, cui si aggiungono le decine e decine di migliaia di extra comunitari irregolari presenti e quelli provenienti dagli sbarchi clandestini dall’Africa subsahariana, nonché gli indiani e i pakistani, di solito regolari.
Ci spiegano, che si tratta di lavoratori essenziali per «non pregiudicare le fornitura di generi alimentari a negozi e supermercati rimasti aperti” (preciso che il Dpcm 22 marzo 2020, non ha posto limitazioni alla filiera di produzione dell’ortofrutta, né tantomeno alla distribuzione ai supermercati e agli altri esercizi commerciali), questo è il grido di allarme. Per questo occorre prorogare i permessi di lavoro stagionali in scadenza al fine di evitare il rientro dei lavoratori stranieri nel Paese di origine».
Per le associazioni di categoria è anche necessaria una radicale semplificazione del voucher agricolo che potrebbe consentire a cassaintegrati, studenti e pensionati italiani lo svolgimento di lavori agricoli in un momento in cui scuole, università attività economiche ed aziende sono chiuse e molti lavoratori sono in cassa integrazione. Si sollecitano meccanismi di utilizzo dei voucher per studenti e cassaintegrati diversi da quelli normalmente in uso.
In argomento va precisato che non sussiste impedimento alcuno per le assunzioni “regolari”. Basta copia documento di identità e della tessera sanitaria, dichiarando quali saranno le mansioni per l’attribuzione della qualifica, consegnando il tutto all’associazione professionale di categoria per il disbrigo della pratica presso INPS/INAIL. Il giorno dopo il neo assunto può iniziare il lavoro.
Forse mi sfugge qualcosa. Altrimenti cosa c’entra chiedere ai sindacati flessibilità? Su che cosa? I voucher sono anonimi, il datore di lavoro li gestisce come vuole. Ecco perché tanta insistenza per i voucher semplificati in agricoltura.
La flessibilità della manodopera
Innescano, al tempo stesso, problemi che attengono al territorio, all’ambiente, al più generale rapporto fra uomo, produzione, consumo e natura; problemi destinati a diventare drammatici, ma nascosti da visioni del futuro segnate (quasi inevitabilmente) da un trionfante ottimismo.
Riporto una dichiarazione del 22/04/2020 dell’Assessore regionale all’Agricoltura della Toscana Marco Remaschi: “Agricoltura, troveremo la manodopera, ma i sindacati consentano la flessibilità”. Cosa intende l’Assessore per flessibilità? Non dare il giusto salario agli operai agricoli? Questa è la flessibilità? Non assumerli regolarmente, con la loro qualifica, rilascio di regolare busta paga e contributi previdenziali regolarmente versati.
Quali sono i diversificati e non omogenei tratti di questi nuovi “attori”, e che cosa cambia, in questo processo? Esso viene a sostituire e distruggere forme precedenti di identità o a integrarsi con esse? Che cosa introduce, quali tratti sostituisce, che cosa conserva (e per certi aspetti potenzia), senza la dovuta consapevolezza delle conseguenze.
Con domande di questo tipo è possibile misurarsi, a mio avviso, solo differenziando le risposte, scomponendo i tratti diversi del paese, ricercando dinamiche conflittuali più che sconvolgimenti lineari. Un solo esempio, forse il principale, è possibile evocare, e riguarda proprio il modello di sviluppo della globalizzazione, così come essa può essere ricostruita a tratti sommari.
Su questo aspetto vi sono naturalmente opinioni e giudizi consolidati. Essi delineano un modello largamente fondato su strategie di promozione sociale e su “modelli acquisitivi” individuali e associativi e sottolineano il contrasto fra la complessità di questi incertezze e la carenza degli interventi pubblici nel dare risposte adeguate ai bisogni delle imprese agricole che esercitano attività essenziali.
Esperienze dirette
Per deformazione professionale, e a parte questo periodo di lockdown, sono sempre in giro per la campagna, tra cielo e terra, prati e vigneti, pievi e borghi che emergono come isole in tutto il loro splendore. Tante sono le strade antiche da percorrere in paesaggi che ancora oggi raccontano la storia del territorio. Spesso incontro vecchie conoscenze, operai specializzati, vignaioli, trattoristi che conducono macchine operatrici, che a vario titolo ho formato 20-30 anni fa.
Di recente incontro un imprenditore agricolo a me ben noto. Mi pone domande sulla lotta ad alcuni parassiti, sul metodo delle potature e delle legature, sulle lavorazioni interfilari della vigna, il diradamento dei grappoli, la falciatura del fieno, la trebbiatura. Mi chiede anche dove trovare informazioni per la coltivazione della canapa a scopi terapeutici. Rispondo che è di esclusiva competenza dello Stabilimento Chimico Farmaceutico di Firenze.
Da lì a poco, mi invita a visitare un vasto appezzamento di vigneto (circa 20 Ha) dove scorgo 8-10 lavoratori di colore, una delle grandi suddivisioni antropologiche dell’umanità, intenti ad eseguire la stralciatura in vigna per eliminare i tralci in eccesso.
E questi? Chiedo questa volta io. Mi risponde che come datore di lavoro preferisce questi lavoratori ai nostri toscani, anche se questi ultimi sanno eseguire meglio la potatura verde. Nonostante gli abbia fatto dare indicazioni di massima da un tecnico, come lei può constatare, i coloured sbagliano spesso, buttando via anche tralci che possono produrre uve.
E perché mai li fai lavorare allora? Perché tutto sommato mi conviene, li posso far lavorare “da sole a sole” (dall’alba al tramonto, ndr), più o meno 12 ore a 20 € al giorno, oltre vitto e alloggio, che consiste in 1 kg. di pane, 2 uova sode e una bottiglia di acqua da un litro e mezzo e possono dormire nel ricovero macchine aziendale.
Dopo un po’ di tempo mi trovo a percorrere una strada statale nel periodo di raccolta delle “nettarine”. Sono le 18 e 30. Ad una fermata dell’autobus di linea, scorgo un signore che conosco e mi soffermo, chiedendo se vuole un passaggio. Si grazie, risponde. Sale, vedo che è abbrunato dal sole e ha un vestito consunto e gli chiedo che cosa fa di bello. Mi risponde che sta facendo la raccolta delle pesche nettarine. Mi spiega che per ottener il lavoro ha dovuto mentire, dicendo che era pensionato. Così il datore di lavoro gli ha detto che la paga oraria era 4 € e che, se non era pensionato, non lo avrebbe preso.
Questo è quello che succede in Toscana, non in Puglia o nel Casertano.
Ora che la crisi da Covid pone sul terreno la questione della regolarizzazione degli operai agricoli sfruttati ci accorgiamo più in generale che sono mancate politiche agricole di respiro, anche per rinnovare i valori culturali, sociali e ambientali del rapporto con la terra.
Non vogliamo nemmeno apparire inguaribili nostalgici richiamandoci a realtà costruite, in una lunga storia, con valori diversi, collettivi e solidaristici sia in grandi aree della Toscana “rossa” che in altre più piccole della Toscana “bianca”.
Non servirebbe a nulla. Ciò che serve è ridisegnare il paradigma dell’impresa agricola. Così come ci si presenta oggi, non sembra che possa dare risposta al bisogno di futuro necessario al Paese.
Ottima rappresentazione del settore. La proposta di una politica agricola che ridisegni l’impresa agricola ha al primo posto l’aumento della Sua dimensione media. E’ lo stesso problema che troviamo nella manifattura e nei servizi. L’impresa è troppo dispersa e frazionata e la sua ridotta capacità di competere gioca a svantaggio delle ragioni economiche e di quelle sociali.
Grazie Daniele,
ho cercato di unire il mio pensiero liberale e della proprietà privata, in una visione politica etica, improntata con la socialdemocrazia e il liberalismo.
Cito una battuta di un grande statista Liberale Italiano (di cui non rivelerò il nome, che è stato anche mio maestro di vita): il socialdemocratico è un socialista che è sceso a compromessi con la realtà, il liberale è un libertario sceso agli stessi compromessi con la realtà.
Tuttavia sarebbe giusto dire che i progressisti più che ai conservatori si oppongono ai retrogradi (reazionari); frequenti i casi di esponenti progressisti rispettosi della tradizione e di esponenti conservatori liberali portatori di progresso. Il progressismo si contrappone pure alle politiche comuniste, e in parte a quelle socialiste. Tuttavia vale la pena ricordare che nel corso della storia del ‘900 a seguito di processi politici, economici e scientifici in nome del progresso o di una nuova umanità, terminati con gravi conseguenze, si è preferito sostituire il termine progresso e progressista con termini quali modernizzazione, rinnovamento e innovazione.
Ulderico scusa ma se lo sfruttamento e’ vero anche nella rossa Toscana mi spieghi che li paghiamo a fare gli ispettori del lavoro?
Gent.mo Paolo,
lei mi pone una bella domanda!
Le istituzione preposte al controllo, che non sono solo l’Ispettorato del Lavoro ma anche INPS e INAIL, presumibilmente non leggono gli articoli pubblicati su questa multipiattaforma editoriale”Economia & Finanza Verde®”, che lo scopo divulgativo viene per lo più perseguito utilizzando basi dati di istituzioni europee e italiane della massima affidabilità sulle quali vengono innestate riflessioni a contenuto critico affidate a esperti delle diverse materie. Questa scelta di metodo ci rende sicuri di ancorare la nostra informazione a solidi fondamenti di obbiettività e competenza, ma anche a spirito critico.