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Giovani e Vecchi.
Cosa avrà pensato il giovane runner che sulla spiaggia di Pescara si è visto improvvisamente inseguito da un carabiniere come se avesse commesso chissà quale reato o il solitario signore rilassato in riva al mare di Rimini improvvisamente circondato da droni e poliziotti in sella a robusti e roboanti quad? I media non hanno perso l’occasione per mostrarci e censurare questi “pericolosi” comportamenti da parte di “irresponsabili e potenziali untori”.
Gli stessi media sono quelli che quotidianamente inseguono trepidanti i vari esperti virologi, oramai a loro agio nel ruolo di novelle star televisive, che continuano ad esprimere autorevoli pareri invero privi di certezze, candidamente dimentichi di avere più volte rassicurato, nel mese di febbraio inoltrato, che il Covid-19 in Italia non circolava (forse perché la Cina era così lontana!) e che, dopo la scoperta dei primi focolai, si trattava tutto sommato solo di un’influenza un po’ più pesante.
Le fonti ufficiali ci raccontano anche, con un certo cinismo, che il tasso di mortalità più alto riguarda la fascia di popolazione più anziana e già malandata, inviando implicitamente un messaggio rassicurante per tutti gli altri (i meno giovani hanno dovuto rassegnarsi e consolarsi unicamente con i bei versi del poeta “non sempre il tempo la beltà cancella… ha sessanta anni…”).
iPhone e francobolli
Eppure la narrazione non è nuova. Chi non ricorda la crisi finanziaria del 2008 che sorta nei “lontani” Stati Uniti è stata accompagnata da rassicuranti dichiarazione degli esperti (“il nostro sistema produttivo e finanziario è solido”) e successivamente quando si verificavano i focolai di crisi in Europa erano pronti ad imputare la causa prima della recessione economica alla suddetta crisi finanziaria nata oltreoceano, vista come l’untore “zero” di carattere mondiale. Tale narrazione è durata a lungo nel Belpaese, anche se diffusa nel resto d’Europa (la Cancelliera Angela Merkel, ad esempio, ebbe ad affermare che “se i banchieri americani avessero consultato una casalinga sveva avrebbero potuto imparare qualcosa su come gestire le loro finanze”). Noi abbiamo avuto la saggia casalinga di Voghera, figura emblematica creata del grande Arbasino, che abbiamo spesso tirato in ballo e mai ascoltato.
Pochi ricordano che gli Stati Uniti, dopo gli interventi di politica economica e monetaria, sono tornati in breve tempo a crescere senza incertezze, a differenza di quello che avvenuto nel Vecchio Continente (per non parlare dell’Italia).
Ancora meno sono quelli che rammentano alcuni eventi di quel periodo che hanno avuto riflessi importanti sulla vita economica e quotidiana di tutti noi: nel 2007 Steve Jobs lanciava sul mercato l’iPhone, ovvero lo strumento che ha contribuito non poco a rendere digitale la nostra vita, nel 2008 facebook si diffondeva velocemente in Europa, nello stesso periodo nasceva a opera di Amazon il kindle per la lettura dei libri in versione elettronica edopo qualche tempo Amazon avrebbe aperto una sede Italia facendo subito sentire, eccome, la sua presenza sull’assetto commerciale e distributivo del Paese. Insomma il mondo stava cambiando, evelocemente.
E noi abitanti del (non a caso) Vecchio Continente? “…e io contavo i denti ai francobolli” avrebbe detto De Andrè in una sua canzone per evidenziare la scarsa consapevolezza del giovane impiegato in un mondo esterno in pieno fermento. Nelle terre italiche si continuava (lo si fa ancora oggi) a tessere le lodi di una struttura produttiva e finanziaria fatta di medie e piccole imprese, piene di fiducia nel made in Italy nonostante la scarsa attitudine alla ricerca e all’innovazione, tantomeno digitale.
Eppure qualche economista illuminato ci aveva avvertito da tempo sulle “illusioni sull’eterna ‘terza via’ degli italiani», all’insegna del ‘piccolo e bello’ evidenziando che “senza imprese che tendano al massimo dimensionamento possibile non c’è ricerca di alto profilo, simbiosi fra università, scienza e sistemi aziendali dinamici, non ci sono insomma le condizioni per partecipare al mondo del capitalismo contemporaneo” (De Cecco 2000). Sappiamo infatti com’è andata a finire: aumento della concorrenza internazionale che, sfruttando anche la digitalizzazione, è arrivata a farsi sentire con forza direttamente a casa nostra, conseguente difficoltà degli operatori, impossibilità di onorare i debiti assunti, crescita delle sofferenze bancarie…il resto della storia è ben noto.
L’arco di Ulisse e la tecnologia
Invero, in Eurolandia un’iniziativa importante l’ha assunta la Banca Centrale Europea di Mario Draghi, con forti iniezioni di liquidità nei mercati, ma con scarsi effetti sull’economia, soprattutto nella nostra penisola. L’effetto più duraturo di quegli interventi è la stima quasi plebiscitaria di cui gode l’ex Presidente della Bce, il cui nome viene unanimemente invocato come ultima possibilità di guidare il Paese fuori dalla crisi conseguente all’emergenza sanitaria, novello Ulisse, in quanto unico a saper piegare l’arco al ritorno nella natia terra.
Le analogie narrative delle due crisi sono evidenti, con la differenza che in quella del 2008 nessuno aveva messo in evidenza che il contagio non fosse pericoloso in sé, ma soprattutto per i soggetti più fragili. In realtà, molto elevato è stato il tasso di mortalità delle imprese italiane nell’ultimo decennio che hanno reso necessario molteplici interventi di “terapia intensiva” messi in campo con utilizzi, sempre emergenziali, delle risorse pubbliche.
L’importanza degli investimenti in innovazione, in cui l’Italia non ha mai particolarmente brillato, era importante ed è diventato eclatante in tempi di Coronavirus. Gli operatori che riescono a sfruttare meglio le possibilità offerte dalla tecnologia hanno moltiplicato le proprie opportunità (ad esempio, il canale digitale degli acquisti ha fatto registrare un vero boom).
Più in generale possiamo affermare, in questo periodo di emergenza sanitaria e economia, che le aziende e i Paesi che hanno investito in infrastrutture tecnologiche sono avvantaggiati rispetto ad altri.
Italia sì, Italia no, pardon distanza sì, distanza no
Ed è questa la lontananza che rileva. In epoca in cui si auspica il rispetto rigoroso del distanziamento sociale, quello che invece può essere penalizzante per la terra italica è il distanziamento tecnologico rispetto agli altri Paesi, siano essi europei o no. E noi di questo distanziamento, dobbiamo avere paura.
Vorremmo capire al più presto come i nuovi mezzi finanziari a disposizione verranno impiegati per farci colmare questo gap. Ma ci sembra che, tra un effetto annuncio e un altro e le polemiche infinite, si faccia di tutto per non farcelo capire.
Un quarto di secolo fa a Sanremo, Elio e le storie tese cantavano in abiti surreali la Terra dei Cachi. A riascoltarne i versi un po’ sconclusionati, ma amari, viene da pensare che manchi una strofa, per aggiornarla ad oggi. Distanza sì, distanza no. Ma forse anche no. Italia sì, Italia no. Italia perfetta, ué, uè, uè. Perché la terra dei cachi è sempre la terra dei cachi!
Il nervosismo imperversa fra i poteri. Passaggi di proprietà nella carta stampata e correlate cooptazioni di direttori asserviti e non solo. L’andazzo politico sta facendo impazzire questa certa italietta che conta; questa classe padrona, che impunemente ne ha sempre fatte di cotte e di di crude, quella che intravede opportunità ma è costretta all’impotenza, che fiuta affari possibili, diretti o indiretti, attraverso l’imprenditoria “affaristica” (tipo quella del terremoto de L’Aquila per intenderci, di quei due che ridevano al telefono di notte nel parlare delle opportunità che sarebbero piovute come manna dal cielo) o avallo di politici compiacenti. Altro che terra di cachi ……. userei l’accento per accostarlo al motto siciliano “andare a cachì”, che corrisponde al rischio che potrebbe correre la nazione intera. Segnalo al riguardo: https://laquartadimensionescritti.blogspot.com/2020/04/nel-duecento-una-fortuna-per-il.html