Home Mondo La pandemia culturale ai tempi del Coronavirus

La pandemia culturale ai tempi del Coronavirus

2798
2

Da oggi inizia a collaborare con noi Isabella Estense. Benvenuta.

Digital divide e Global ignorance

In questi giorni si parla tanto di impatti della Pandemia sulla salute dei cittadini, sull’economia, sulla finanza, sugli equilibri geopolitici. Ma non si parla, o non si parla abbastanza, delle conseguenze che questa emergenza avrà sulla scolarizzazione.

La pandemia arriva in un mondo dove l’emergenza apprendimento già esiste: a livello mondiale, il 53% dei bambini sotto i 10 anni non è in grado di leggere e comprendere un testo. Il virus provoca la chiusura dell’80% delle scuole mondiali e la sospensione delle lezioni per 1,6 miliardi di studenti (dati World Bank). Nell’emisfero boreale, l’anno scolastico si chiuderà in netto anticipo. Nell’emisfero australe, molto probabilmente l’anno scolastico non inizierà nemmeno.

Interruzioni dell’insegnamento sono state sperimentate in precedenza in singoli paesi colpiti da disastri naturali, quali terremoti, alluvioni oppure guerre. Ma il fenomeno non si è mai espresso a questo livello di magnitudine, contemporaneamente, in tutto il globo terrestre.

Si può certamente dire che stiamo vivendo una crisi mondiale dell’apprendimento.

Quali ne sono le cause ?

La portata della povertà culturale da Covid-19 è profondamente legata a quello che potremo chiamare il Digital divide. Nelle aree a più elevato reddito, le scuole dispongono di maggiore tecnologia e quindi possono più facilmente ricorrere a lezioni on line oppure a strumenti di e-learning; parimenti, è elevato il livello di tecnologia degli alunni, che hanno a disposizione strumenti personali quali computer, tablet, smart phone e reti per traffico dati. Ben diversa è la realtà nelle economie emergenti, dove solo limitate frazioni della popolazione di studenti (variabile dal 20% al 40%) ha accesso a cellulari, connessione internet e social network per scambio di materiale e informazioni.

Quindi, le differenze nel grado di avanzamento tecnologico tra paesi risultano cruciali. Ma la povertà culturale da Covid-19 non risparmia nessuno. Come la malattia, è trasversale e non fa differenza di età, classe, razza.

La povertà culturale da Covid-19 è anche legata alla durata della pandemia e al conseguente incremento del tasso di abbandono da parte degli studenti. A tutti i livelli di insegnamento, dalle elementari all’università, e attraverso tutti i paesi, è possibile immaginare che gli studenti indecisi sul proseguimento del loro percorso di studi, si determineranno ad abbandonare a causa della prolungata chiusura degli istituti. Il tasso di abbandono sarà più elevato laddove il sistema scolastico pubblico gratuito è poco diffuso. La crisi economica in cui verseranno le famiglie a seguito del blocco delle attività produttive e commerciali renderà più difficile, se non impossibile, affrontare i salati conti da pagare per la frequenza di corsi di insegnamento privato. L’istruzione superiore e universitaria saranno le più colpite.

Bisogna allora rassegnarsi a generazioni future globalmente ignoranti? E quindi meno consapevoli e più manovrabili? Dobbiamo accettare un ulteriore distanziamento culturale tra paesi ricchi e paesi poveri? Oppure ci sono strumenti attivabili per reagire e contenere questo incalzante e subdolo fenomeno?

I possibili rimedi

Secondo la Banca Mondiale, esistono alcune risorse sulle quali fare leva per ridurre il rischio di un generalizzato abbassamento del livello culturale.

Prima di tutto le famiglie. I genitori non possono e non devono delegare al sistema scolastico la crescita culturale dei propri figli ma attivarsi in prima persona per supportare, seguire e incentivare l’apprendimento della prole. Come si faceva in passato, madri, padri, figli maggiori e altri famigliari si devono impegnare per coadiuvare i più piccoli nello studio e sollecitare la lettura. In sostanza, si torna ai rimedi “della nonna”, soluzioni fatte in casa per far fronte all’emergenza.

Un’altra importante risorsa sono i mass media. Televisione e radio devono implementare e avviare programmi culturali di vario livello di complessità al fine di raggiungere la maggior parte di studenti possibile, di ogni grado e genere. Soprattutto nei paesi dove la tecnologia a disposizione e le connessioni internet sono carenti, i governi devono intervenire per assicurare che i media si impegnino a mantenere e sviluppare un adeguato livello culturale

Sarà possibile, una volta terminata l’emergenza, semplicemente ritornare alla situazione quo ante? Tutti a scuola allegramente? Pare difficile crederlo. Rimbocchiamoci occhi e orecchie e cominciamo a studiare !

Previous articleL’arcitaliano
Next articleAmaro olandese
Laureata con massimi voti in Economia all’Università di Bologna e poi in Psicologia Evolutiva presso La Sapienza di Roma, svolgo attività di consulente in materia di business model bancario e innovazione finanziaria. Beneficio inoltre di una consolidata esperienza di lavoro presso organismi internazionali. Attualmente collaboro con una prominente università di Roma per la pianificazione di corsi e master in materie giuridiche e gestionali e partecipo come relatore a numerosi seminari presso le maggiori università italiane. Ho lasciato nel cassetto le abilitazioni a commercialista e revisore dei conti. Appassionata di psicodinamica, sono molto sensibile agli aspetti psico-socio-culturali di ogni evento e fenomeno, anche oltre i confini nazionali. Vivo il mio tempo con un approccio critico al mondo e un costruttivo spirito di cambiamento. Figlia di 3 figlie adolescenti, che mi hanno insegnato tutto della vita, risiedo a Roma da oltre 20 anni mal sopportando la noncuranza che l’avvolge. La mia capacità predittiva sugli eventi mi ha fatto guadagnare il soprannome (e il trattamento) di Cassandra 2.0

2 COMMENTS

  1. Problemi seri che la nostra società deve affrontare. Il nostro Paese alla fine degli anni 50 del secolo scorso ha già sperimentato con successo l’educazione a distanza con Telescuola per tutti i ragazzi residenti in zone disagiate o poco raggiungibili, al Nord come al Sud. I programmi erano quelli della scuola media opportunamente riadattati dalla RAI e dal Ministero della Pubblica Istruzione e trasmessi in televisione che i ragazzi potevano vedere in sale messe a disposizioni dal Comune, da patronati, ecc.Telescuola fu seguita poi da Non è mai troppo tardi, altra fortunata esperienza. Era un’altra Italia, quella che usciva dalla guerra, falcidiata dall’analfabetismo, dalla migrazione e dalla povertà.Eppure fu una lezione di grande civiltà che riscattò molti ragazzi di allora dalla miseria più marcata, l’ignoranza. Irrinunciabile, dunque, tenere a mente queste lezioni anche per le presenti e future generazioni. Chissà se le varie task force che spuntano come funghi se ne ricorderanno.

  2. La questione sollevata nell’articolo è molto ampia. Pensiamo, quanto ai soggetti destinatari, a tutto il mondo dei migranti e delle loro famiglie. Spesso sono esclusi perché soggetti invisibili. Il coraggio di investire nel settore della formazione e della cultura è necessario e può farlo principalmente lo Stato perché i rendimenti dell’istruzione, del capitale umano sono di lungo periodo. Forse perché sono una persona anziana ma avendo insegnato per 40 anni potrebbe essere utile su base volontaria coinvolgere chi tra i pensionati ha ancora voglia di impegnarsi in iniziative di formazione. Con i nuovi mezzi di comunicazione gli spostamenti sarebbero ridotti al minimo a beneficio del costo complessivo dell’intervento.

LEAVE A REPLY

Please enter your comment!
Please enter your name here