Chi mi conosce sa che da qualche tempo la mia passione per la fotografia si è indirizzata alla street art, la forma artistica moderna nata negli USA che lentamente si è diffusa, invadendo il mondo.
Il termine inglese “street art” e il suo omologo italiano “arte urbana” rimangono però tuttora oggetto di dibattito come disciplina, anche all’interno dello stesso mondo dell’arte.
Uno dei pionieri, l’americano John Fekner, descrive la street art come “tutto quello che sta in strada che non siano graffiti“.
Anche in Italia, le opere dei graffitari/writers sono molto comuni, te le ritrovi in ogni dove e le realizzazioni hanno, in larga parte, superato gli ostracismi dell’illegalità. Nelle grandi città hanno invaso spazi spesso standardizzati, quali scuole, cavalcavia, sottopassaggi, strutture e edifici pubblici e privati abbandonati.
Basta passare periodicamente per taluni luoghi e potrai sempre ammirare opere nuove, unitamente al decadimento di lavori preesistenti dipinti o affissi che, come dice il mio amico Antonio, è del tutto naturale – e anzi devono – autodistruggersi, secondo la logica del decorrere del tempo, palesando così anch’essi i segni della vecchiaia, per lasciare alla fine solo eventuali loro tracce nella memoria. Questo è anche uno dei motivi che mi spinge a rifotografare stesse realizzazioni nel tempo.
Come fosse intervenuto un tacito accordo sociale, alcuni siti e interi quartieri urbani hanno, di fatto, riservato specifici spazi ai tanti creativi, spesso costituiti da giovani, che realizzano opere che hanno già generato tendenze e correnti.
Tipico l’esempio di quanto realizzato a Roma, a Tor Marancia, o le tante opere che nascono continuamente nel quartiere Trullo – cui si riferiscono le immagini a corredo del presente articolo – e nelle altre periferie degradate.
Per meglio esplicitare quella che per me è l’essenza di questi artisti di strada, mi piace riproporre un mio vecchio breve pezzo scritto sull’argomento che avevo intitolato semplicemente Graffiti.
“In una società distratta e disinteressata dagli avvenimenti sociali che pure ci riguardano, i graffitari appaiono fra i pochi che irridono i fatti, richiamano le coscienze, attenzionano i rischi. Con le loro tecniche e tematiche, sviluppano forme d’arte variegate. Un tempo erano solo accusati di deturpare l’arredo urbano, concentrandosi in frasi o scritte irripetibili, ma oggi, nei contesti trascurati, con i loro disegni riescono ad abbellire strutture urbane decadenti, a portare raggi di luce in contesti degradati. Con le loro attrezzature semplici e con il beneplacito dei residenti, i graffitari danno sfogo alla loro voglia di esprimersi e spesso disegnano allegorie che ravvivano il territorio. Girando per la città, nelle tante opere riconosci i tratti. Taluni vengono da lontano e si ritrovano nel darsi appuntamento in spazi urbani abbandonati, per raccontare le loro visioni, per denigrare a loro modo la società che li ignora, per mostrare con allusioni le verità nascoste. In tutto questo si inseriscono anche le nuove mode che cavalcano l’onda, fatte di artisti e mercanti che adocchiano l’occasione: ma quella è un’altra storia; come pure la propaganda. Ma la street art che vuole raccontare è quella dei giovani, degli indipendenti, degli esuberanti non violenti che, con le loro rappresentazioni esagerate o minimaliste, attirano l’attenzione, inducono ad osservare e …a riflettere.”
Banksy (Bristol, 1974), la cui vera identità rimane sconosciuta, è un artista e writer considerato fra i maggiori esponenti della street art. La moltitudine delle sue opere sono a sfondo satirico e riguardano argomenti politici, la cultura e l’etica.
In Italia sono tantissimi coloro che praticano questa forma d’arte. Non cito nessuno per evitare di dimenticarne qualcuno.
Per alcuni è stato un passaggio giovanile nel percorso verso forme di creatività più consone ai canoni classici della pittura e dell’arte contemporanea.
Dal mio diletto a ricercare nel web approfondimenti, mi è stato possibile scaricare un ricco materiale reso pubblico da uno degli artisti di strada italiani fra i miei preferiti e che mi ha permesso di realizzare uno slide show che, ancora oggi, ad ogni visione, continua a procurarmi emozioni.
L’artista è Nemo’s. Le sue opere si trovano dislocate in tutto il territorio italiano e non solo. Su Wikipedia è citato come “lo street artist che denuncia le apparenze” ed è vero. Ne avrete la prova dalla visione dello slide show.
Oggi che le immagini dicono molto più delle parole, l’ironia e la satira graffiante di Nemo‘S risultano di grande spessore.
Una intervista, rilasciata nell’ottobre del 2015 a Giampiero Cicciò de “Eco del Sud” di Messina, consente di cogliere l’aspetto concettuale delle sue creazioni.
Sono diversi gli artisti nostrani che ormai seguono il suo percorso e il suo stile unico.
Come per Banksy, le opere di Nemo’s non sono mai banali, raccontano molto e inducono a soffermarsi a riflettere.
Per chi avesse tempo e volesse completare la lettura, invito a soffermarsi sugli “ipertesti” evidenziati in celeste nel corpo dell’articolo.
Buona luce a tutti!
Bellissimo e interessante articolo! Bravissimo Toti.
Grazie Toti per questo articolo celebrativo di una passione che ho vissuto negli anni della mia adolescenza, arricchendomi di esperienze irripetibili e indimenticabili, come gli amici e i personaggi con cui l’ho condivisa. Mi hai regalato l’occasione per dei preziosi ricordi che mi emozionano ancora. Un saluto, Grafo! 🙂
Questo articolo e’ inserito nel volume “Dissertazioni su Street Art. Ne vogliamo parlare?”
https://susiledizioni.com/libri-ed-ebook/libri-pubblicati/anno-2022/dissertazioni_su_street_art–984.html