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I piaceri della carne

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Pieter Aertsen, 1551 Piccola macelleria
Tem di lettura: 5’. Leggibilità 

Prologo opportuno.


Tradizionali o alternative, preparate in mille modi diversi rappresentano il piatto forte al quale molti di noi sono affezionati. Vediamo pregi e difetti e facciamo un raffronto tra i diversi tipi. Sta di fatto che una buona educazione alimentare che non escluda a priori dalle diete dell’uomo nessun alimento commestibile deve essere curata con aspetti conoscitivi che forse sempre più di frequente sfuggono al consumatore medio.

Va da sé che la libertà alimentare è una forma di libertà di espressione, che scaturisce dall’imprescindibile esigenza di alimentarsi.  La scelta etica individuale non è in discussione.

Negli ultimi trent’anni si è detto tutto e il contrario di tutto. Che fa bene, anzi benissimo e che più se ne mangia e meglio è. E al contrario che si dovrebbe tornare al regime dietetico dei nonni, quando la carne arrivava sulla tavola poche volte all’anno.

Certo, fino agli anni sessanta del secolo scorso la carne era per molti un lusso, una spesa che ci si poteva permettere raramente. E mettere ogni giorno la bistecca nel piatto della famiglia, quando finalmente lo si è potuto fare, è diventato uno dei segni tangibili del benessere. Non solo una rivoluzione in cucina.

E’ capitato quindi, qualche volta, che ci sia dimenticati delle regole necessarie a una corretta alimentazione. La carne, due volte al giorno ha tolto spazi ad altri alimenti. Non solo. I consumi si sono concentrati spesso su pochi tagli, sempre quelli.

Con un pizzico di fantasia, lasciandosi tentare da tagli e animali, considerati spesso, chissà perché, di serie B si può, invece, rinnovare il piacere di un piatto nutriente e riscoprire, proprietà e virtù dimenticate, arricchendo gli equilibri nutritivi, secondo le regole della varietà e della sobrietà. La moderazione deve preservare da accertati effetti sulla salute.

Conoscere le varietà 

Le varietà di carne sono così tante da non poter fare ordine definitivo. Ci si deve servire di qualche classificazione. La più comune è quella che distingue tra carni bianche, rosse e nere (il colore è dato dalla mioglobina la cui concentrazione dipende dalla razza,dall’età e dal sesso, gli animali giovani hanno quindi una quantità inferiore di mioglobina rispetto agli adulti e, di conseguenza carni più bianche), facendo riferimento al colore assunto dalla carne dopo l’abbattimento degli animali destinati all’alimentazione umana.

Le carni bianche, sono quelle degli animali più giovani (per i bovini, caprini, ovini ed equini prima dello svezzamento): vitelli, capretti, agnelli, puledri, polli, tacchini, conigli e magroni (giovani suini, per lo più castrati, nella fase di ingrasso): sono quelle più tenere, perché animali non hanno muscoli induriti e poco grassi.

Sono anche considerate le più digeribili e vengono perciò consigliate a tutti in particolare a bambini e anziani. Vitellone, maiale, montone, caprone e cavallo (animali che hanno raggiunto la maturità sessuale) sono raggruppati invece nella categoria carni rosse, ricche di sangue e dunque di ferro, di proteine nobili fondamentali all’organismo, particolarmente energetiche per il loro alto contenuto di fibre e utili per la formazione di ormoni, enzimi e anticorpi.

La bottega della carne, Annibale Carracci, 1582

Le loro masse muscolari acquistano maggiore morbidezza dopo la frollatura e solo a questo punto la carne rossa viene immessa sul mercato. In fine le carni nere, cioè la selvaggina in genere: sia di pelo, come lepre, cinghiale e cervidi, sia di penna, come fagiani, acquatici e altri volatili.

Come i buongustai sanno, la selvaggina viene considerata tanto più prelibata, perché più tenera e saporita, quanto più lunga è stata la frollatura. E da questo deriva il caratteristico colore delle carni.

Ferro e proteine 

Come scegliere? Mangiando nei limiti del possibile un po’ di tutto. Da tutte queste carni, infatti, si ricavano due elementi essenziali della dieta, il ferro e le proteine. Sono due sostanze già presenti nei vegetali, ma è importante che arrivino all’organismo anche attraverso la carne.

Per il nostro fisico, infatti, il ferro contenuto nei vegetali e nella frutta (spinaci, fagiolini e albicocche) è più difficile da assimilare di quello presente nella carne (2-3 mg/100 g). Sono consigliabili perciò fegato (12 mg/100g nel vitellone, 5,4 mg/100g vitello) e rognoni soprattutto a chi accusa un periodo di stanchezza e nelle donne in gravidanza e durante l’allattamento.

Ma il valore nutritivo della carne sta soprattutto nella sua riserva di proteine nobili e sali minerali. Le proteine sono in media circa il 20% del peso totale dell’animale, distribuite equamente tra le cellule e quindi senza differenza percentuale tra animali giovani o adulti. Con questa sostanza la carne fornisce i mattoni per la costruzione dell’organismo.

Le proteine animali contengono infatti aminoacidi essenziali per costruire e ricostruire i tessuti. Non vi sono invece nella carne glucidi, perché i pochi presenti (l’1%) decadono con la mattazione. Per quello si è soliti dire che la carne, soprattutto la bistecca o la fettina magra, “fa dimagrire”.

Vucciria, Renato Guttuso, 1974

Non è esatto: ogni alimento porta qualcosa all’organismo e anche la carne fornisce un certo carico di calorie. E’ vero però che l’apporto di proteine serve a dare un maggior senso di sazietà allo stomaco e quindi riduce il desiderio di magiare altro cibo.

Anche se la percentuale di proteine più o meno la stessa in tutte le qualità di carne è consigliabile alternare più tipi e tagli nella dieta non solo per amore di varietà. Noti a tutti sono i pregi della carne di vitello: tenera, perché di animale giovane e quindi più ricco di acqua e sali minerali, per questo stesso motivo meno grassa.

Grassi e calorie

Ma i grassi presenti nel vitello, come nella restante carne bovina, sono grassi saturi, che vengono considerati tra i responsabili dei disturbi cardiaci e circolatori, infarto compreso. Meglio dunque non mangiar solo carne bovina, ma scegliere tra gli altri animali i cui grassi sono insaturi. Per esempio il tacchino, che ha il contenuto proteico più alto in assoluto (27%), pochi grassi (2-5%) ed è tra le carni più digeribili. Oppure perché non riammettere nella dieta il maiale?

Ambrogio Lorenzetti, particolare dal Mito del Buon Governo, 1338, La cinta senese

Da molti anni ormai, i suini sono stati migliorati attraverso incroci intrarazziali (riproduzione fra due animali con diverso patrimonio ereditario appartenenti a linee diverse della stessa razza) per ottenere carni più magre. La carne di maiale fornisce 247 calorie/100g, contro le 102 del vitello e le 129 del manzo, ma in compenso non ha più colesterolo di quest’ultimo, 70mg/100g e contiene vitamina B1 in forti dosi. Anche il coniglio avrebbe tutte le carte in regola per apparire più frequente in tavola. Ha anche esso carni bianche e magre, (solo il 10% di grassi) molto delicate e saporite. Come la maggior parte delle carni è consigliabile solo a chi soffre di uricemia e gotta.

I tagli

A influenzare le scelte talvolta limitate dei consumatori vi può essere probabilmente anche una divisione della carne in categorie, che è stata fraintesa. Si parla infatti per ogni animale di una certa massa di carne di prima seconda e terza categoria. Ciò suona all’orecchio di molti come prima seconda e terza scelta. Non è affatto così.

Sano di Pietro (1405-81). La macellazione del maiale

Le tre categorie servono ad identificare i vari tagli, che per le loro caratteristiche meglio si associano ad una certa cottura. La carne di prima categoria, meno ricca di tessuto connettivo, è la più morbida: tessuto connettivo e compattezza delle masse muscolari aumentano in progressione, passando alla seconda e terza categoria.
Non per questa va sempre previlegiata negli acquisti la carne di prima categoria che è anche la più costosa.

I tagli di 1ª categoria sono localizzati nella coscia e nella regione lombare e sono adatti a cotture arrostite, al salto e alla griglia; i tagli di 2ª categoria si trovano invece nella spalla, nella regione costale e nella parte bassa della coscia e si prestano a cotture arrostite e in umido.

Pancia, petto e collo sono i principali tagli di 3ª categoria, adatti a cotture bollite e in salsa o preparazioni che richiedono una lunga cottura prolungata a fiamma bassa (brasati e umidi). Esistono denominazioni diverse per lo stesso taglio da una regione all’altra.

Lo stesso discorso vale per i tagli del maiale. E in tutti i casi l’iniziale incertezza del consumatore può essere superata grazie ai consigli d’un macellaio di fiducia.

 

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4 COMMENTS

  1. Ciao Ulderico. Mi fanno notare che e’ tempo di Quaresima e sarebbe sconsigliato mangiare carne. Mi farebbe piacere una tua riflessione. Un caro saluto.

  2. Gent.mo Gerardo,
    la Quaresima è un tempo di cambiamento interiore e di pentimento in cui «il cristiano è chiamato a tornare a Dio “con tutto il cuore” per non accontentarsi di una vita mediocre».
    Con l’articolo “il piacere della carne” lungi da me dal trasgredire al precetto, la scelta etica e religiosa non è in discussione.
    Cari saluti.
    Ulderico

  3. Complimenti per il suo articolo, con cui è riuscito a fare chiarezza su le carni rosse, bianche e nere. Vi era molta confusione nella classificazione, infatti negli ultimi anni si è detto tutto e il contrario di tutto. Che fa bene, anzi benissimo e che più se ne mangia e meglio è. E al contrario che si dovrebbe tornare al regime dietetico dei nonni, quando la carne arrivava sulla tavola poche volte all’anno. Addirittura molti giornali hanno titolato, per esempio, che la carne rossa lavorata è “cancerogena come il fumo”. Si tratta di una interpretazione sbagliata: inserirla nella stessa categoria del tabacco.

    Vorrei porle un’altra domanda: che cos’è la scottona? Che molti Chef stellati si riempiono la bocca. E allora, se la scottona non è un taglio e non è una razza, di cosa si tratta? …

  4. Paragonare le carni lavorate (salumi insaccati e non) al tabacco è un’idea aberrante! Ma veniamo alla domanda: ecco con cosa si riempiono la bocca alcuni Chef stellati! La scottona è un fenomeno prevalentemente europeo, in particolare italiano, connesso al divieto di usare ormoni nell’allevamento degli animali. In molti altri paesi extraeuropei, Usa in testa: carni di buona qualità sono ottenute con la castrazione dei maschi e la somministrazione ad essi di ormoni di tipo naturale (estrogeni e progestinici), i quali riproducono la condizione che troviamo nel calore o all’inizio della gravidanza. La scottona è, quindi, un metodo “elegante” (più che elegante lo chiamerei “pratica deviante” che rifiuta qualsivoglia eccezione naturalistica per l’insuperabile difficoltà di adattarsi alle fondamentali norme etiche) e naturale per avere carni di qualità, senza usare ormoni estrogeni e progestinici vietati dalle vigenti normative. Scottona, come detto, è un termine che deriva da scottare, nel senso di animale “caldo” in quanto in calore o gravido, in una concezione antropologica, non biologica e tanto meno chimica, oggi completamente superata di distinzione tra “carni fredde” e “carni calde”. Allo stesso modo, è superata la distinzione tra “magro” e “grasso” riferita agli alimenti ed al loro uso (mangiar di magro e mangia di grasso): per questo il pesce (anche se ricco di lipidi) e l’olio (tutti lipidi) erano giudicati “magri”, mentre la carne suina (anche se povera di lipidi) ed il lardo (che ha meno lipidi dell’olio) erano stimati “grassi”. La rivalutazione del termine scottona si collega al fatto che è una carne di qualità, prodotta da animali agli inizi della gravidanza, fino al quinto mese (che sostituiscono le giovani manze” giovenche” infertili per turbe riproduttive estrogeniche), il che permette di ovviare al divieto dell’uso di ormoni, anche di tipo naturale.
    La scottona è oggi, una giovane bovina macellata all’inizio della gravidanza al quinto mese, quando vi è una condizione ormonale di tipo anabolico, che favorisce la crescita organica ed il deposito di grasso. Da qui l’origine di carni tenere, succose e di qualità apprezzata della scottona.
    Oggi è possibile macellare questi animali in quanto l’infertilità, soprattutto nelle giovani bovine, è molto ridotta in conseguenza delle buone norme d’allevamento e per l’applicazione d’adeguate misure di profilassi. Inoltre, oggi le condizioni di povertà del passato sono superate ed é possibile destinare alla macellazione anche giovani femmine, senza pregiudicare l’efficacia aziendale. Non va infine dimenticato che, nelle bovine, il rapido accrescimento somatico e ponderale renderebbe poco conveniente macellare animali troppo leggeri (se non come vitelli), mentre è possibile macellare una giovane femmina di cinque o sei quintali di peso, all’inizio della gravidanza, che reputo una devianza immorale, anche per il consumatore finale. Perché adesso non può dire non sapevo!
    Grazie per l’apprezzamento del contenuto dell’articolo e perché no anche per la domanda.

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