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La civiltà ebbe inizio quando per la prima volta l’uomo scavò la terra e vi gettò un seme.
Dopo che sarà passato questo periodo di Coronavirus, sì perché dovrà passare, noi non saremo più gli stessi individui, ma non saremo neanche più la stessa società. Potrebbe sembrare una profezia negativa, assolutamente no, perché è proprio dalla crepa di un muro che possiamo veder filtrare la luce. Ci eravamo mai accorti dei muri che abbiamo costruito nei decenni passati? Ci siamo mai accorti che preferivamo vivere senza avere dei veri contatti umani, delle emozioni, dei sogni, delle empatie?
Forse no, finché non ci hanno tutti reclusi nelle nostre case a mangiare, dormire in compagnia solo delle nostre ansie e paure. Siamo in balia di circostanze molto più grandi di noi. Ci sovrastano e in questo momento ci dominano e ci imprigionano. Abbiamo ascoltato le prime notizie del virus dalla Cina, non pensando che il problema ci appartenesse, loro morivano, ma non era un problema nostro.
Ci piace sentirci connessi e globalizzati, illusoriamente vogliamo essere liberi, ma stiamo continuamente costruendo muri altissimi con l’alibi della protezione dalle nostre paure di vivere.
E adesso che altre nazioni ci prendono in giro per aver bloccato tutto? Loro non sono differenti da ciò che noi abbiamo fatto per primi.
Gli alibi, sempre i tremendi alibi che usiamo per concretizzare le nostre precarie certezze umane. Abbiamo tanto timore dei cambiamenti, che preferiamo essere delle malconce radici piuttosto di ricordarsi che “l’uomo è principalmente un seme in grado di creare”. Mai come oggi le parole dello scienziato fiorentino Stefano Mancuso, professore di neurobiologia vegetale, risultano profetiche e di grande aiuto.
Perché in questo preciso momento di guerra contro il coronavirus, noi viviamo come delle piante, ognuno alloggiato nel proprio vaso.
Il futuro di ognuno di noi è uguale alle pratiche di adattamento che il mondo vegetale è capace di attuare per rispondere ai cambiamenti dell’ambiente.
Un primo passo per capire la pianta è pensarla non come organismo unico al pari di un animale, ma come una colonia di insetti. Una colonia si comporta come un super organismo: una formica da sola è stupidissima, ma quando stanno tutte insieme fanno cose eccezionali. Le piante proprio perché, a differenza degli animali, uomo compreso, non possono scappare di fronte alle situazioni, hanno sviluppato una grande sensibilità, maggiore di quella dell’uomo. La natura ci sta insegnando che ci sono dei principi comuni che regolano la vita di tutti gli esseri viventi, c’è una similarità di base che ci rende tutti “parenti stretti”.
Il mondo sta cambiando, da tempo ormai, eppure molti di noi hanno un’immagine di questo globo terrestre, vecchia di secoli. Nemmeno le guerre sono riuscite a sradicare e sostituire con la tecnologia un passato che ci ha sempre diviso. Forse non l’hanno fatto perché le guerre non sono mai realmente finite, hanno lasciato sul campo di battaglia dei sopravvissuti che hanno continuato ad odiarsi.
Viviamo in un mondo che adora la visione meccanicistica e riduzionista della vita. Qualsiasi cosa misteriosa, estranea alla scienza ufficiale o di natura spirituale viene disprezzata e guardata dall’alto in basso. Facciamo finta di essere “al di sopra di tutto” ridicolizziamo il bisogno di riappropriarsi di noi stessi, quando, in realtà, è ciò di cui abbiamo più bisogno.
Abbiamo creato un mondo fragile, vuoto, superficiale, privo di profondità e significato, ed ora con la nostra “reclusione” tutto verrà a galla. Stiamo vivendo un momento di grande difficoltà, un “problema” che è arrivato improvviso, bloccando tutte le nostre abitudini.
Ogni trauma cambia in profondità, non solo i singoli, ma un intero popolo. Siamo talmente accelerati che viviamo nel costante controllo dei ruoli e dei punti di riferimento, ma nel prossimo futuro, dovremo per forza imparare un’equa redistribuzione sociale delle paure. Abbiamo mescolato la velocità fisica, che è quella dell’azione, con la velocità del pensiero, del parlare, dell’ascoltare e del recepire correttamente l’altrui.
Siamo esseri illusoriamente stabili in continua trasformazione. Ascoltiamo per rispondere, e non per comprendere e imparare, no, ascoltiamo per farci dare ragione. Non possiamo più permetterci di continuare a costruire schemi “moderni” e illusori solo per riparare con continue toppe a dei fallimenti.
Sono decenni che abbiamo una crisi demografica ed economica, decenni che applichiamo l’autolesionismo ideologico, che non sappiamo più arginare una moralità impazzita che si è abbassata di età in modo quasi irreversibile. Non riusciamo a comprendere che combattiamo sempre contro noi stessi, perché l’altro, siamo noi. E se l’immigrazione è stata usata come un cavallo di Troia, in modo fuori controllo per alimentare il concetto di diverso, ed erodere la struttura di uno Stato, adesso i diversi siamo noi.
Siamo indicati come untori, un paese che vive di magagne e le vuole gettare sulle spalle degli altri stati. Questa è la vera decadenza, la vera malattia, ed è la stessa che da sempre corrode le civiltà più progredite. La decadenza si attua con la mancanza di obiettivi, di innovazioni, rimanendo ancorati a vecchie radici che non vogliono che il ciclo naturale produca nuovi semi.
Quando arriva qualcuno a trovarci, non si possono trovare soluzioni spolverando i mobili, senza aprire i cassetti.
Non si possono aumentare le tasse all’infinito senza pensare di ammazzare l’economia, perché la storia dell’Impero Romano nello stesso modo cadde per sempre. E se questo virus ci farà stare sdraiati su un triclinio, a consumare gli immensi acquisti di cibo che abbiamo fatto al supermercato, prima o poi non solo farà riesplodere la malattia della gotta, ma ci farà capire che il consumarli in un super attico o in un seminterrato non avrà più differenza.
Perdendo l’illusione di libertà non vi è più uno spazio migliore o peggiore, da vip o da semplice cittadino. Ma al tempo stesso vi è la possibilità di scoprire dentro di noi, che la certezza non esiste, che è solo un’idea astratta veicolata attraverso un mondo materiale.
La trasformazione porterà a un nuovo modo di vivere la libertà, di riscoprire le potenzialità che abbiamo nella nostra mente, nel coraggio di essere liberi, quel coraggio di divenire realmente noi stessi, di credere in nuove scoperte, in nuove azioni e in nuove auto realizzazioni. Non è mai un elemento di buona salute, adattarsi bene ad una società profondamente malata.
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Questa pausa porta con sé il tempo per pensare ultimamente compresso dai ritmi frenetici sempre più invadenti. È un aspetto molto importante. Grazie Elena e buongiorno a te e a tutti