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Le responsabilità di Bankitalia e CONSOB secondo la Cassazione

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Prologo

Con una recente ordinanza la Cassazione aiuta i risparmiatori italiani a inquadrare le responsabilità delle Autorità di controllo di banche e finanza in relazione ai poteri che hanno. In realtà le ordinanze sono quattro: dalla 6451 alla 6454 del 6 marzo e hanno come relatore il giudice Antonio Lamorgese, mentre il legale di parte e’ Mario Azzarita.

Pare interessante commentarle brevemente perchè si riferiscono a casi simili e riguardano le famigerate operazioni della Banca Popolare di Vicenza prima che fallisse, operazioni pregiudizievoli per i risparmiatori.

Infatti, nonostante la quantità stratosferica di documenti delle due Autorità resi pubblici nei rispettivi sito o nei lavori delle Commissioni di indagine che si sono succedute nel tempo, è difficile capire realmente di cosa sono responsabili. Spesso poi si confondono trasparenza, responsabilità, ruoli, competenze e si finisce solo per creare confusione.

Leggendo insieme le ordinanze viene fuori viceversa una nitida Foto di Gruppo con Signora a simboleggiare che a volte una persona riesce a tener testa a gruppi di potere che tenacemente le si contrappongono.

Le ordinanze

Sono quattro cause basate su argomentazioni simili. La richiesta danni più elevata è quella presentata dal veneziano Caovilla, il re delle calzature di lusso, e dalla sua azienda Caovilla 1899, rispettivamente per 14 e 4 milioni di euro. Si contesta alle due Autorità di non aver impedito alla Popolare di Vicenza «di attribuire, falsamente, alle azioni un valore improprio applicando criteri di calcolo non corretti e di falsificare i dati patrimoniali in modo da apparire una banca solida, sicura ed in continua crescita patrimoniale».

I titoli avevano raggiunto 63 euro prima di azzerarsi. Bankitalia è accusata di aver omesso di vigilare «sul contenimento del rischio, sulla stabilità patrimoniale e sulla sana e prudente gestione della Banca vicentina». Per Consob si dibatte «sulla trasparenza e correttezza dei comportamenti della stessa, compito finalizzato anche alla tutela degli investitori, omissioni ancor più gravi in quanto intervenute in un periodo nel quale erano stati lanciati dalla predetta Banca vicentina consistenti aumenti di capitale».

Delibere prese dal consiglio di amministrazione e approvate dall’assemblea dei soci della Banca vicentina, su cui i due organi di vigilanza non avrebbero svolto i dovuti controlli, per non aver evidenziato «la scorrettezza della metodologia utilizzata per determinare il prezzo dei propri titoli, né la falsificazione dei dati rappresentati nei bilanci, comunicati agli investitori, riflettenti il valore dei titoli e degli indici di stabilità rappresentati nei prospetti informativi», dal momento che Bpvi aveva «scorrettamente finanziato la propria clientela per l’acquisto delle azioni, senza dichiararlo in bilancio, attraverso il meccanismo del cosiddetto capitale finanziario».

Si trattava delle operazioni cosiddette baciate, cioè  prestiti che l’istituto di credito aveva concesso per far comprare, in tutto o in parte, le proprie azioni. Caovilla e la sua società lamentano «di essere stati indotti a sottoscrivere contratti di investimento di titoli altamente rischiosi, in assoluta carenza e/o inadeguatezza dei presidi inderogabili di correttezza e buona fede ed in stato di assoggettamento al dispotico potere della Bpvi».

Dopo essere convenuta in giudizio insieme a Consob, Bankitalia ha promosso un conflitto di giurisdizione davanti alla Cassazione, chiedendo di dichiarare la competenza del giudice amministrativo. Le sezioni unite hanno però sancito un diverso principio: «Sulle domande proposte dagli investitori ed azionisti nei confronti delle autorità di vigilanza (Banca d’Italia e Consob) per i danni conseguenti alla mancata, inadeguata o ritardata vigilanza nei confronti delle banche ed intermediari, sussiste la giurisdizione del giudice ordinario, non venendo in rilievo la contestazione di poteri amministrativi, ma di comportamenti doverosi a loro favore che non investono scelte ed atti autoritativi, essendo dette autorità tenute a rispondere delle conseguenze della violazione dei canoni comportamentali della diligenza, prudenza e perizia, nonché delle norme di legge e regolamentari relativi al corretto svolgimento dell’attività di vigilanza».

Prima delle ordinanze

In Commissione Parlamentare di inchiesta (dicembre 2017) il Governatore Visco escluse la responsabilità della Vigilanza e nel contempo segnalò un costo non elevato delle crisi, trascurabile se paragonato a quello sostenuto da altri paesi. Egli affermò secondo il resoconto stenografico:

“Nel complesso queste crisi hanno richiesto allo Stato italiano interventi che hanno comportato un costo di gran lunga inferiore rispetto a quello sostenuto da altri Paesi europei. Alla fine dello scorso anno, in base ai dati diffusi dall’EUROSTAT, l’impatto sul debito pubblico delle misure di sostegno ai settori finanziari nazionali ammontava a 227 miliardi in Germania (7,2 per cento del PIL), 101 nel Regno Unito (4,3 per cento), 58 in Irlanda (22 per cento), 51 in Spagna (4,6 per cento), 33 in Austria (9,5 per cento), 23 nei Paesi Bassi (3,2 per cento). Nella media per l’area dell’euro era pari al 4,5 per cento del prodotto. In Italia l’impatto e` attualmente stimato in circa 13 miliardi (0,8 per cento del PIL).”

Conclusioni

I principi affermati nelle ordinanze, ove riconosciuti dai competenti Tribunali civili, permetteranno di fare affidamento sul principio del neminem laedere del diritto romano, chi rompe paga detto in altri termini.
E’ quasi superfluo sottolineare che siffatto principio crea un incentivo potentissimo per chi ha poteri di controllo ad agire in tempo utile per il timore di essere chiamato poi a risarcire gli ingenti danni che un fallimento bancario può causare ai risparmiatori. Finalmente si potrebbe passare da interventi di risoluzione e liquidazione delle banche a interventi preventivi, l’unica ragione d’essere della vigilanza bancaria e finanziaria.

C’è un altro punto che mi preme sottolineare, più politico e meno tecnico. In futuro, forse, eviteremo anche di ascoltare difese d’ufficio come quelle ora ricordate sul costo molto basso delle crisi. Chi ha pronunciato quelle parole ha dimenticato che il nostro debito pubblico è altissimo e anche pochi miliardi, ammesso che sia così, costituiscono un ulteriore pesante tassello che si cumula ai debiti pregressi. E soprattutto, con il senno di oggi, i miliardi dati con generosità alle banche intervenute nelle crisi (“tanto sono pochi”) ci avrebbero aiutato non poco nell’attuale e drammatica emergenza sanitaria, anziché ricorrere ancora una volta alla spesa pubblica finanziata in deficit per decine di miliardi. In fondo, pagano sempre e solo risparmiatori o contribuenti.

L’ultima e amara considerazione è che gli esami per le due banche venete non finiscono mai, anche dopo il fallimento, segno che qualcosa di importante è accaduto. Eppure non erano banche sistemiche, anzi erano due bancotte di provincia con un volume di affari che a stento arrivava al 2 per cento del mercato nazionale. Ed allora come è potuto accadere tutto ciò e perché rischia di rimanere ancora un mistero?

 

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