Tempo di lettura: 4’. Leggibilità **.
Le acque chete delle banche italiane.
Fino alle ore 23 e 26 minuti del 17 febbraio il sistema bancario era immoto, cioè non dava segni di cambiamento. Tutti un pò a guardasi intorno e a predicare l’innovazione tecnologica, a chiedersi quanto sono costate le crisi bancarie, a interrogarsi sui rischi climatici e sanitari e sull’educazione finanziaria per il popolo. Qualche indicazione di policy importante era venuta dal Governatore di Bankitalia al convegno del FOREX dell’8 febbraio.
Riportiamo il passo più significativo, anche perché il sistema si è poi mosso in direzione diametralmente opposta.
”Il modello tradizionale di attività bancaria ha ormai rendimenti contenuti, per ragioni non solo congiunturali. Ne risentono soprattutto le banche di piccola e media dimensione, che faticano a rafforzare i bilanci per via dell’incidenza dei costi e delle difficoltà di accesso al mercato dei capitali; sono necessarie consistenti economie di scala e di scopo per finanziare con profitto l’economia reale. Ottengono risultati migliori gli intermediari specializzati che si dedicano alla gestione del risparmio,alla distribuzione di prodotti finanziari attraverso l’utilizzo di reti di promotori o che operano prevalentemente nei comparti del leasing, del factoring e del credito al consumo. Il rapporto tra costi e ricavi delle piccole banche “tradizionali”, pari al 72 per cento, è in media più elevato sia di quello dei grandi gruppi significativi (66 per cento) sia di quello degli intermediari specializzati (64 per cento).
Per tutti gli intermediari il processo di ristrutturazione e di adattamento al nuovo contesto economico, regolamentare e di mercato, nonché agli sviluppi della tecnologia, deve proseguire con determinazione. Il rafforzamento dei bilanci e l’aumento dell’efficienza possono essere conseguiti con configurazioni diverse dell’industria in termini di dimensioni, assetti proprietari, modelli di attività. Come ho spesso ricordato, iniziative volte ad accrescere la scala operativa delle piccole banche attraverso operazioni di concentrazione o con una maggiore integrazione delle attività possono apportare benefici nella misura in cui riducono l’incidenza dei costi, ampliano e diversificano i ricavi, accrescono la capacità di competere sul mercato.”
Indicazioni chiare e condivisibili e, invece, si assiste soltanto pochi giorni dopo ad una prova di gigantismo bancario in salsa italiana.
I riferimenti storici che ci vengono in aiuto sono che ogni qualvolta si è voluto creare un campione nazionale, una banca-sistema, i risultati, spesso ascrivibili ad ambiziose iniziative individuali, sono stati tutt’altro che soddisfacenti.
Il campione bancario tutto nazionale che ora si prefigura ricorda un po’ il nostro campionato di calcio nel quale domina da quasi un decennio una sola squadra, che, pur giungendo spesso alle finali di Champions League, non è finora riuscita a vincerne una sola edizione. In altri campionati nazionali più concorrenziali, nei quali cioè si sono avvicendati diversi vincitori, i successi europei non sono mancati. Il paragone non appaia irriguardoso, ma, oltre alla contrattazione che prevedibilmente agiterà le parti in causa sul valore dell’OPA, saranno rilevanti le strategie di Intesa, in funzione dei fabbisogni creditizi dell’economia, che, come a tutti noto, non brilla per dinamismo. Speriamo di saperne presto di più.
Il sistema bancario termina a Bologna
Il comunicato stampa diffuso di notte va letto con i dati sulla struttura territoriale delle due banche. Per dare un senso più generale ad una operazione di consolidamento interno di tale portata dovremmo capirne meglio le finalità, dato che va in direzione opposta da quella che ci aspetteremmo nella neonata Unione Bancaria.
Anzi per essere precisi la prospettata aggregazione non ha nemmeno come riferimento l’intero mercato nazionale, ma soltanto una parte di esso, vale a dire il Nord del paese.
Valutiamola dunque in base agli sportelli, un dato fisico rilevante per fare banca. E lo facciamo per due motivi. Il primo è che l’operazione riguarda due banche commerciali che fisiologicamente entrano in contatto con la clientela tramite i propri punti vendita. Il secondo è che riguarda un dato oggettivo e poco opinabile, al di là dei numeri trionfalistici dei benefici attesi, che circolano in queste occasioni.
Come si vede nella immagine in alto, la presenza di Intesa nel Nord e Centro si concretizza in ben 2800 sportelli, mentre nel Sud e nelle isole in appena 900. Dei 2800 sportelli, 2000 sono poi nelle regioni del Nord, le più dinamiche dal punto di vista economico, come le ha definite l’AD Carlo Messina.
Il Gruppo UBI Banca è un comprimario nelle stesse aree. Esso è costituito da una capogruppo quotata e da una rete di oltre 1.600 filiali operanti sul territorio nazionale attraverso le banche incorporate tra novembre 2016 e febbraio 2017, e cioè Banca Popolare di Bergamo, Banco di Brescia, Banca Popolare Commercio e Industria, Banca Regionale Europea, Banca Popolare di Ancona, Banca Carime, Banca di Valle Camonica, e quindi Nuova Banca delle Marche, Nuova Banca dell’Etruria e del Lazio e Nuova Cassa di Risparmio di Chieti, queste ultime acquisite, intervenendo nelle rispettive crisi. Un dato per tutti: in Lombardia UBI ha quasi la metà degli sportelli.
E’ quindi facile tirare le fila guardando alle reti operative. E’ una operazione di rafforzamento della presenza bancaria lì dove già esistono tante banche. La successiva cessione di qualche centinaio di sportelli a Bper e il coinvolgimento di Unipol non cambia il profilo territoriale dell’operazione. Essa si ferma al Nord.
Allo stesso tempo, la prospettata unione abbatterà la già poca concorrenza del nostro sistema, mettendo in angolo altre banche storiche dei territori, tra cui MPS, BPM e le due popolari valtellinesi.
E al Sud che accade?
Le aree meridionali e insulari sono ovviamente quelle più penalizzate. Sono falliti finora tutti i progetti, per quanto riduttivi, di una banca per il Sud. E’ probabile che ogni tentativo sarà definitivamente archiviato, dopo le difficoltà della Popolare di Bari. E quindi il Sud oltre ad essere stato terra di conquista, bancariamente parlando, di Intesa, Unicredit e della stessa UBI si ritrova oggi fuori dall’Unione Bancaria, ovvero senza banche significant e anche fuori dalle aree bancariamente forti del paese.
Il Sud e le isole hanno 5.700 sportelli bancari, il 22 per cento del dato nazionale, a fronte del 35% di popolazione residente. In definitiva, la Lombardia ha lo stesso numero di sportelli bancari dell’intero Meridione più le isole. I dati sulla densità territoriale sono inequivocabili. In Italia vi sono 42 sportelli bancari ogni 100.000 abitanti, 50 in Lombardia. Nel Meridione tutto sono 27 e appena 22 in Campania (29 a Salerno). Migliora solo lievemente la situazione per quanto riguarda gli sportelli postali. Nel Meridione vi sono circa 3.500 punti pari al 25% del totale nazionale.
Eppure a settembre 2019, nel Meridione d’Italia erano censiti 260 miliardi di euro tra conti correnti e depositi bancari e postali del settore famiglie, con spazi per l’intermediazione di tutto rispetto. E’ una quantità superiore a quella dell’Italia Nord Orientale (232) o dell’Italia Centrale (217) secondo le statistiche Bankitalia.
Quale sviluppo economico è immaginabile in queste condizioni, se manca l’infrastruttura principale per avviarlo?