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Il degrado dell’ecosistema agricolo
Numerosi sono gli scenari da incubo. Siccità, ghiaccio del mar Glaciale Artico che si liquefà, ondate di calore estremo, perdita dell’habitat degli insetti pronubi che trasportano il polline da un fiore all’altro permettendo l’impollinazione e la conseguente allegagione del frutto, come la domestica Apis mellifera, gli imenotteri del genere Bombus e i sirfidi.
Le pesantissime ripercussioni che si producono non soltanto sull’ecosistema di cui fa parte l’uomo ma anche sull’economia sono aspetti contenuti nell’allarme ONU sul clima. Stiamo quindi assistendo a sconvolgimenti economici e politici in un mondo globalizzato, mai conosciuti prima.
Ce ne sono alcuni per i quali occorre un approfondimento specifico, che ci consenta una corretta interpretazione preparandoci ad un intervento misurato e corretto.
Già nelle analisi degli Organismi Scientifici Internazionali è stata constatata la compromissione del sistema biologico della biosfera, causa del cambiamento climatico e motivo delle dinamiche relative ai fenomeni di dissesto idrogeologico.
Abbiamo agito nella convinzione di poter esercitare un controllo sull’ambiente, come se avessimo il possesso di una sovranità, intesa come basamento che ne garantisse la sopravvivenza a partire dalla rivoluzione industriale (1760/80).
E’ stato un processo di sviluppo che ha portato alla trasformazione della società da un sistema agricolo-artigianale-commerciale ad un sistema industriale moderno, senza la dovuta consapevolezza delle conseguenze.
La progressiva scarsità dell’acqua
Il diffuso degrado e la crescente scarsità delle terre e delle risorse idriche stanno mettendo a rischio un gran numero di sistemi di produzione alimentare-chiave in tutto il mondo, costituendo una seria minaccia alla possibilità di riuscire a sfamare una popolazione mondiale che raggiungerà i 9 miliardi nel prossimo ventennio.
La Terra non sarebbe capace di alimentare l’esplosione demografica attesa, come afferma un nuovo rapporto dell’Organizzazione per il cibo e l’agricoltura (FAO).
Ad oggi un gran numero di questi ecosistemi sono esposti al rischio di un progressivo deterioramento della loro capacità produttiva naturale, a causa dell’effetto congiunto di un’eccessiva pressione demografica e di usi e pratiche agricole non sostenibili, “ottenute in condizioni di particolare sfruttamento, aumentando la povertà degli addetti e l’insicurezza alimentare, non rispettando i tempi di latenza prescritti per la raccolta dopo i trattamenti fitosanitari”.
Insieme all’uso indiscriminato di pesticidi e concimi chimici, irrazionali pratiche agricole facilitano l’erosione del suolo dall’acqua da ruscellamento, la perdita di materiale organico, la compattazione del terreno in superficie, la salinizzazione e l’inquinamento del suolo e la perdita dei nutrienti.
Insufficienti rotazioni colturali
Vi è spesso infatti anche l’inspiegabile abbandono delle pratiche di rotazione delle colture agrarie, mediante l’avvicendamento necessario per migliorare o mantenere la fertilità del terreno e garantire, a parità di condizioni, una maggiore resa.
Si contrappone la tecnica della monosuccessione, che consiste nella ripetizione sullo stesso appezzamento della coltura effettuata nel ciclo precedente. Nessuna regione è immune: ecosistemi a rischio si trovano in ogni parte del mondo, dei sette continenti del planisfero (Africa, Sudamerica, Nord America, Asia, Europa, Oceania e Antartide).
Il potere economico e finanziario mondiale (FMI, la Banca Mondiale, l’organizzazione mondiale del commercio, i club di riflessione World Economic Forum, la Commissione Europea) sembra essersi defilato dall’economia e dalla finanza applicate alle politiche agricole, interagendo negativamente nell’economia di mercato. Ciò che ha causato il progressivo ridimensionamento del settore primario (agricoltura, allevamento e pesca) a favore dell’industria e del terziario, costringendo l’imprenditore agricolo a scelte in condizioni di crescente incertezza.
La proposta di una Banca Verde mondiale
Le prospettive di investimento sono affidate al fatto che nel comparto agricolo questa esigenza è particolarmente avvertita e costituisce uno dei presupposti per la costituzione di una Banca Verde mondiale, per mettere a disposizione risorse da destinare a progetti di eccellenza e di qualità.
Lo stato mondiale delle risorse idriche e fondiarie per l’alimentazione e l’agricoltura (Solaw) sottolinea che, sebbene negli ultimi 50 anni ci sia stato un notevole aumento della produzione mondiale, “in troppe occasioni tali miglioramenti sono stati accompagnati da insensate pratiche di gestione delle risorse che hanno degradato gli ecosistemi terrestri e idrici dai quali la produzione alimentare stessa dipende”.
La scarsità dell’acqua sta aumentando, così come anche la salinizzazione e l’inquinamento delle falde acquifere e il degrado delle risorse idriche e in generale degli ecosistemi ad esse legati. I bacini idrici interni subiscono la pressione dell’effetto combinato di una riduzione dell’afflusso d’acqua e di un maggiore carico di nutrienti come il nitrogeno e il fosforo.
Molti fiumi non arrivano a raggiungere le foci naturali e le zone umide e stanno via via sparendo. Nelle principali zone di produzione cerealicola in tutto il mondo, l’enorme prelievo dalle falde acquifere sta riducendo notevolmente le riserve d’acqua sotterranea, sulle quali le comunità rurali fanno totale affidamento.
In questo contesto, personalmente non mi hanno convinto le pesanti tesi dei due economisti Premi Nobel Nordhaus e Romer sul catastrofismo produttivo agricolo.
Il problema è la chimica
Considerato che non sono solo i consumi di combustibili fossili per generare energia la causa di questi “scenari apocalittici”, bisogna considerare che la parte preponderante di responsabilità è da attribuirsi all’industria chimica che ha fornito prodotti di sintesi di cui è stato fatto uso indiscriminato, in campo sia industriale che agricolo.
In ultima analisi, chi imporrà ai paesi sottosviluppati che vivono in condizioni di arretratezza economica, sociale, soprattutto in Africa, di non usare combustibili fossili per produrre energia e di contenere l’uso indiscriminato di ridotti chimici convincendoli che stanno regredendo, dovrà offrire loro valide alternative alla uscita dalle condizioni di indigenza materiale, seguendo processi più rispettosi della natura.