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Ghino di Tacco, Robin Hood, Craxi e la Rocca di Radicofani

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Tempo di lettura: 4’. Leggibilità ***.

Potrei dire personalmente che la vita è un procedere di imprevisti.
Se la Serendipità è il termine che racchiude il concetto di fare delle scoperte per puro caso, trovando una cosa mentre se ne sta cercando un’altra, ecco che l’aver visto al cinema il film sul periodo finale della vita di Craxi, Hammamet, e aver letto casualmente poco dopo una Novella del Boccaccio ha un filo di congiunzione quasi divertente se nel mezzo si insinua anche la leggendaria figura di Robin Hood, che ha più del senese che dell’inglese. Non è nemmeno l’unica occorrenza, perché anche la leggenda di Re Artù è nata nel territorio della Repubblica di Siena con San Galgano e la sua spada nella roccia. Ma veniamo a noi.

Guelfi e Ghibellini

Che sempre siano esistiti partiti che si osteggiano ferocemente, storie e leggende ce lo ricordano dai tempi dei Guelfi e dei Ghibellini. Nella decima ed ultima giornata dell’allegra brigata del Decamerone, i narratori vollero mettere in evidenza la cortesia e la liberalità, raccontando di un personaggio realmente esistito, Ghino di Tacco, figlio del conte ghibellino Tacco di Ugolino e di una nobile dama della famiglia senese dei Tolomei, esempio contro corrente di quella faida.

L’aristocratica famiglia versava in condizioni economiche precarie, tanto da perdere il proprio feudo a vantaggio del Comune di Siena. L’inizio della fine arrivò nel momento in cui al partito Ghibellino subentrò il partito Guelfo filopapale, il quale pressava l’aristocrazia senese con continue richieste di imposte terriere, ritenendola poco leale.

La famiglia di Ghino di Tacco decise di sfidare l’autorità comunale, formando la “banda dei quattro”, una brigata di nobili fuorilegge che si erano specializzati nell’assaltare mercanti e pellegrini diretti a Roma e in Terrasanta, seguendo la via Francigena.

C’è sempre un limite che segna la fine

Nel 1279, l’aristocratica banda divenne talmente spregiudicata da depredare e incendiare il castello di Torrita di Siena, tra la Val di Chiana e la Val d’Ombrone, ferendo un nobile Guelfo.

Ricercati per anni dalla Repubblica, il padre e il fratello di Ghino furono alla fine arrestati e giustiziati in Piazza del Campo a Siena per ordine del giudice Benincasa da Laterina, il quale per riconoscenza papale, divenne senatore presso la Corte Pontificia.

Ghino, che era molto giovane, riuscì a scappare e giurò a sé stesso di vendicare il padre e il fratello.

Impadronendosi della Rocca di Radicofani, a confine con lo Stato della Chiesa, creò un feudo perfettamente adatto per continuare il brigantaggio. Ghino, bandito dall’animo onesto, acquista nelle parole del Boccaccio la fama di eroe positivo, addirittura portatore di valori esemplari.

Un protagonista reale crea la leggenda di Robin Hood.

C’è sempre stata molta nebbia storica su come sia nato il racconto di Robin Hood. Con sicurezza sappiamo che nel 1377 il personaggio entrò nel poema Piers Plowman del religioso William Langland, divenendo così popolare da essere poi inserito nei famosi “Racconti di Canterbury” di Geoffrey Chaucer, uno dei più importanti testi della letteratura inglese del Quattrocento.

Come la figura reale di Ghino di Tacco, impossessandosi della strategica Rocca di Radicofani, assaltava i viaggiatori in cammino per Roma, li privava dei beni, lasciandogli salva la vita e di che sopravvivere, così quella immaginaria di Robin Hood agiva nella foresta di Sherwood con obiettivi analoghi.

Un giorno il ricco abate di Cluny passò per la Rocca poiché, affetto da male allo stomaco, confidava di trovare cura nelle vicine acque termali di San Casciano dei Bagni.

Ghino lo derubò e poi lo chiuse nella torre del castello. Venuto a conoscenza del male del suo forzato ospite, lo fece nutrire di pane, fave secche e Vernaccia di San Gimignano. La cura fu provvidenziale. Dimenticata l’iniziale ostilità nei suoi confronti e colpito dalla generosità d’animo di Ghino, l’abate convinse Papa Bonifacio VIII a perdonare tutti i suoi reati, nominandolo Cavaliere di S. Giovanni e Friere dell’ospedale di Santo Spirito.

Non sappiamo bene da quale morte Ghino fu colto, forse intorno al 1340 in una banale rissa, ma le sue gesta continuarono a vivere nelle fiamme riabilitative del Purgatorio di Dante e nei racconti del ladro gentiluomo del Boccaccio. E forse le sue gesta ispirarono davvero quelle di Robin Hood.

Ghino rivive nei tempi moderni

A volte il tempo sembra dilatarsi attraverso i secoli e negli anni durante i quali Eugenio Scalfari era alla guida del quotidiano Repubblica, il partito socialista godeva di una “buona rendita” da maggioranza di governo, tanto che il direttore del giornale, in modo dispregiativo, accostò Bettino Craxi a Ghino di Tacco.

Egli prefigurava che tutti dovessero per forza passare dalla “Rocca Socialista” per essere depredati come un tempo i viandanti che passavano per la Radicofani ghibellina diretti verso le terre guelfe.

Craxi, inizialmente fu quasi offeso per l’accostamento, ma nel giro di poco tempo ne fece un punto di vanto, tanto che da quel momento iniziò a firmare i suoi articoli sull’Avanti con lo pseudonimo di Ghino di Tacco, nella intenzione di sparigliare l’accordo catto-comunista e di predicare l’umanitarismo socialista.

Le cose, come sappiamo, sono andate in tutt’altra direzione. Quello a cui viene oggi da pensare sono alle nostre attitudini di popolo.

Negli ultimi quarant’anni abbiamo scoperto di essere stati governati per più lustri da chi è stato in odore di mafia, da ladri matricolati, da impenitenti organizzatori di festini orgiastici, gridando le nostre scandalizzate proteste.

Non sono begli esempi di selezione della nostra classe politica. A meno che i nostri personaggi non incarnino la figura di moderni Ghino di Tacco, con meriti nascosti e demeriti palesi. Siccome non lo sapremo mai, non resta che appellarci a Carl Jung, secondo il quale il pendolo della mente oscilla tra senso e non senso, non tra ciò che è giusto e ciò che è sbagliato.

Così facendo, entriamo però nel campo della psicanalisi, che non è né quello della storia né quello della politica. E la nostra sorte è di non sapere mai veramente da chi siamo governati. Il problema è che siamo noi a metterli sulla cima della Rocca di Radicofani. Ogni serendipità è puramente casuale.

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