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Bisognerebbe essere capaci di morire giovani, per rimanere vivi

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Una cosa a cui stanno molto attenti gli storici dell’arte e i critici in genere è di studiare il percorso formativo di ciascun artista. Ciò indipendentemente dalla disciplina di riferimento.

Le produzioni antecedenti all’affermazione riconosciuta di ogni creativo costituiscono elemento fondamentale per carpirne i punti d’ispirazione, l’effettiva crescita, le scelte e i tormenti.

Per questo motivo le così dette “antologiche” che costituiscono un momento fondamentale per ogni artista, rappresentano un appuntamento importante per conoscerlo, attraverso la sua produzione temporale.

Qualcuno ha scritto che bisognerebbe essere capaci di morire giovani. Non nel senso di morire davvero. Nel senso di smettere di fare quello che fai quando ti accorgi di aver esaurito la voglia di farlo, o le forze; o quando ti accorgi di avere raggiunto i confini del tuo talento, se ne possiedi uno. Tutto ciò che viene dopo quel confine è ripetizione. Uno dovrebbe essere capace di morire giovane per rimanere vivo, ma non accade quasi mai.

È quanto si legge nelle pagine iniziali dell’ultimo romanzo di Gianrico Carofiglio: “La misura del tempo”.

Questa considerazione può essere valida per qualsiasi attività umana, ma si adatta perfettamente all’ambito artistico e alla creatività in genere.

Il rischio della ripetitività si riscontra invece in certi autori/artisti, che appagati del loro percorso di ricerca creativa, si adagiano su uno standard che inequivocabilmente li identifica, ma che a lungo andare non produce nulla di nuovo.

Non ci si riferisce tanto alla ripetizione di eventuali tecniche sperimentate, che possono costituire spesso anch’esse elementi indentificativi dell’autore, bensì a vere e proprie riproposizioni di risultati già visti, magari anche premiati, che non giustificano – se non per rispondere a scopi meramente commerciali – una riproposizione e men che meno una produzione in serie di opere in copia.

Per intenderci, le particolarità delle luci del Caravaggio, ad esempio, sono tecniche innovative che hanno identificato l’opera caravaggesca nel suo complesso, ma i suoi dipinti non hanno mai costituito ripetizioni e ancor meno riproduzioni in copia, dando luogo al contrario ad una amplissima caratterizzazione pittorica.

In qualche modo lo stesso può essere detto in fotografia per Henry Cartier Bresson. Le sue tecniche compositive sono assolutamente inconfondibili, ma l’ampia produzione fotografica realizzata temporalmente dimostra che le tecniche corrispondono a metodi di una personale scrittura.

Questi principi valgono in tutto il mondo creativo e costituiscono in sostanza lo stile talvolta lungamente ricercato e adottato dall’artista – se non proprio insito nel suo essere o conforme alla sua individualità – e che assume particolare valenza in funzione del tempo e dei luoghi in cui si manifesta.

In tutti i casi, chi si pone come capostipite di una disciplina o corrente, è da considerare come un pioniere e chi verrà dopo dovrà affrancarsi dalla tentazione di limitarsi a copiare. Dovrà, al contrario, impegnarsi a un percorso di costante rinnovamento, immaginando magari soluzioni alternative o innovative.

L’argomento è valido in ogni ambito dell’agire umano, tecnologie e nuove culture incluse. La Street Art è una di queste. Suscita continuamente emozioni e nessuna sensazione che sia per ora ripetitiva.

Buona luce a tutti!

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