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Carte di pagamento, siamo sempre alle grida manzoniane

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Facile fare ironia sui pagamenti elettronici, in specie quelli con le carte. Siamo ultimi al mondo, ma primi per polemiche, leggi e leggine e numero di POS. Quisquilie e pinzillacchere, direbbe Totò. Eppure è proprio così.

Ogni anno poi in sede di manovra di bilancio il governo di turno avanza nuove proposte che dovrebbero risolvere la situazione. Sono quasi sempre provvedimenti, solo a parole, repressivi, un pò per tutti gli attori coinvolti: banche, commercianti, possessori di carte.

In realtà, siamo sempre allo stesso punto. D’altronde provvedimenti ambigui e incerti non possono che produrre pochi, se non nulli risultati.

Due interventi istituzionali 

Un pò come il MOSE a Venezia, la questione dei pagamenti innovativi sta lì da anni e tutti si esercitano a dare ricette. Di recente, dopo una serie di polemiche, sono intervenuti il Presidente dell’ABI Patuelli e uno dei Vice Direttori Generali di Bankitalia per commentare le ultime misure del Governo.

Dal Corriere Economia del 18 novembre, leggiamo, riferito al primo:

“Dovremmo forse dirlo una volta per tutte. In Italia abbiamo due prezzi: uno con l’Iva e uno senza», scandisce Antonio Patuelli nella sala stampa. Silenzio. Nessuno contesta l’affermazione. Perché risuona difficilmente “smentibile”.

Per stimolare i pagamenti elettronici conviene allora ribaltare il ragionamento. Spostando a valle il potere della filiera. Cioè al consumatore che con i suoi comportamenti di acquisto può favorire i cambiamenti sociali. «Bisogna mettere in concorrenza tra loro gli esercenti. Comprare solo da quelli dotati di Pos adibiti al pagamento delle carte. Non li hai? Vai altrove. Semplice».

Patuelli va dritto al punto della questione smontando la tesi dei commercianti che sostengono come incida il peso delle commissioni imposte dalle banche nello scoraggiare una maggiore diffusione dei pagamenti elettronici.

Dall’audizione dell’alto dirigente di Bankitalia del 12 novembre,  apprendiamo invece che:

In Italia la diffusione dei pagamenti elettronici resta piuttosto bassa. Il valore complessivo delle transazioni oggi regolate con carta di pagamento al punto vendita fisico è pari a poco più del 30 per cento – come in Spagna – a fronte di oltre il 70 in Francia e di circa il 45 per cento in Germania. La quota di pagamenti in contante effettuati presso i punti vendita varia a seconda delle categorie merceologiche ed è negativamente correlata all’ammontare delle commissioni e all’importo medio della transazione.
Le commissioni applicate dalle banche e dagli intermediari che gestiscono i POS variano al variare del settore di attività. A fronte di una commissione media intorno all’1 per cento del valore della transazione, si riscontrano livelli molto minori per la grande distribuzione che, grazie al peso contrattuale, riesce a ottenere condizioni più favorevoli. Le commissioni relativamente maggiori sono quelle applicate ai piccoli esercizi commerciali e ai bar; i professionisti e gli artigiani pagano commissioni in linea con quella media.
Gli studi empirici disponibili suggeriscono che la propensione all’utilizzo della carta da parte del cliente è sensibile a incentivi monetari simili a quelli prefigurati dalla manovra (cash-back, premi, sconti, punti). Sulla base delle elasticità generalmente stimate, ci si può attendere, come effetto congiunto dei provvedimenti di incentivo previsti dal Governo, un aumento delle transazioni elettroniche dell’ordine del 10 per cento.

Grida manzoniane anche quest’anno. Le banche contro i commercianti e viceversa, il Governo e Bankitalia che si aggrappano a un esercizio econometrico per prevedere un aumento delle transazioni con carte del 10 per cento, non si sa se per un anno o per ogni anno a venire. Aumenterà o diminuirà il gap con gli altri paesi? L’Amministrazione fiscale che entra prepotentemente in gioco per recuperare imponibile. Troppi soggetti per capirci qualcosa, perché ciascuno gioca pro domo sua. Chissà come faranno gli altri paesi?

Qualche osservazione 

Ragionare poi fuori contesto dei prezzi degli altri servizi bancari è inaccettabile.

Ci piace ricordare, infatti, quanto scritto pochi giorni fa a proposito dell’indagine sui costi dei conti correnti, resa pubblica da Bankitalia. Evidenziammo due aspetti. 7,5 euro in più per conto nel 2018 da moltiplicare per i 40/50 milioni di conti correnti per capire la portata davvero immoderata della manovra posta in essere dalle banche in un solo anno. Si tratta di una cifra che oscilla tra i 300 e i 380 milioni l’anno, che sono andati ad aumentare i ricavi del sistema.

La seconda osservazione la ricavammo dal grafico a fianco, dal quale si evince che periodicamente si assiste a questi prelievi, del tutto ingiustificati.

In modo apparentemente inspiegabile, in 8 anni tra il 2011 e il 2018, si registrano 4 riduzioni e 4 aumenti. Tale dinamica fa sì che un conto corrente nel 2018 costi quanto costava nel 2010, senza che si avvertano gli effetti dell’automazione e delle nuove regole europee intervenute nel frattempo (home banking, Sepa etc.). Appena si registra una riduzione, l’anno dopo viene riassorbita da un aumento. Sembrano prezzi erratici, eppure si applicano al prodotto più importante che le banche offrono a famiglie e imprese. La tendenza è notevole: da 77 euro del 2015 la spesa aumenta sempre ogni anno fino a 87 euro dell’ultimo: + 13%, tasse escluse.

Ritornando alle commissioni sulle carte, proviamo a capire con un esempio come stanno realmente le cose e ognuno potrà poi giudicare la bontà dei provvedimenti del governo, ove approvati dal Parlamento.

In sostanza, quando pagheremo con una carta presso un commerciante con un fatturato max di 400.000 (se non cambia tale limite) si genera un credito di imposta per 1/3 delle commissioni che egli sopporta. In un anno quindi, ed ipotizzando una commissione del 2%, su 400.000 euro si crea un credito di imposta di 8.000 euro che indirettamente è a carico dei contribuenti. Nel senso che noi paghiamo le tasse e lo Stato provvede poi a restituirle. Ed allora quando utilizziamo le carte ricordiamoci che, oltre ai tanti balzelli che subiamo, ci facciamo carico anche dei ristorni al mondo del commercio. Altro balzello per noi che potremmo definire una spending review (una tosatura) au reverse.

L’esempio ci da’ la certezza che queste spese le paga chi usa le carte. Gli altri benefici, recupero IVA, più legalità ecc. sono del tutto immaginifici e da verificare.

Perché non copiare dagli altri?

Eppure, una strada ci sarebbe ed è quella imboccata dalla Grecia, pare con successo. Ne abbiamo parlato più volte su questo sito e vi facciamo rinvio.

In realtà, siamo troppo autoreferenziali e pieni di noi stessi per poter accettare lezioni dal popolo greco o forse da chiunque. E siamo anche un pò sfrontati perché il senso di quanto abbiamo scritto è il seguente: povere banche e poveri commercianti, se non riuscite a sopportare i costi, le tasse e le commissioni, c’è il consumatore/contribuente che volentieri si accolla quello che spetta a voi.

Riteniamo infine che queste uscite di ABI e Bankitalia rendano urgente una seria riforma delle Autorità di controllo in direzione di una effettiva tutela dei consumatori, affidandola ad un’unica Autorità con un mandato chiaro ed ineccepibile.

D’altro canto, la prima, in rappresentanza del sistema bancario, non può non vedere il continuo ribaltamento sugli utenti di una serie di commissioni riferite a servizi, senza nemmeno provare a dimostrarne il valore aggiunto, la seconda è titolare da venti anni della funzione di Sorveglianza sul sistema dei pagamenti, dalla quale era abbastanza normale aspettarsi oggettivamente di più. Cioè che il Paese in materia di pagamenti digitali non si ritrovasse al penultimo posto in Europa e che tutte le colpe del ritardo fossero fatte ricadere sull’anello più debole della catena.

Forse entrambe le istituzioni sono le meno indicate a fare analisi sui ritardi del paese e a indicare la direzione che il medesimo dovrebbe seguire per diventare magicamente virtuoso nei pagamenti digitali.

 

 

 

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