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Abito e vivo a Venezia da quarant’anni e amo questa città unica. In tutti questi anni l’antropizzazione dell’area è stata senza sosta. L’urbanizzazione di Mestre, l’industrializzazione di Porto Marghera, l’involuzione del centro lagunare da città a Gardaland, l’arrivo delle grandi navi alla Marittima sono fattori socio-economici che avrebbero ammazzato chiunque.
Figuriamoci una città d’arte con un patrimonio immobiliare che risale al Medioevo e al Rinascimento. In pochi chilometri quadrati abbiamo insediato tutto il possibile e questo processo non è ancora concluso. A Mestre nei pressi della stazione sono entrati in esercizio alberghi low cost in grado di ospitare 10.000 persone, di certo non interessate alle bellezze di Mestre.
Non fa meraviglia quindi che la recente acqua alta sia stata paragonata a quella, pure catastrofica, del 1966. Di pronto per la difesa dal mare dopo 50 anni non c’è pressoché nulla.
Per fortuna, accade ogni mezzo secolo e possiamo tirare un sospiro di sollievo quando è finita la passerella degli uomini politici e l’acqua si è ritirata lasciandoci con le ferite inferte dalle mareggiate e dalla corrosione, lenta ed inesorabile, del sale marino.
Ripercorrere tutti i tentativi di salvataggio della laguna è impresa ardua e la tralascio. Lascio da parte anche gli aspetti folkloristici e gli scandali, di cui e’ costellata la storia della citta’.
Ciò che mi ha colpito è la divergenza tra chi predica l’economia sostenibile, il clima che cambia e la vita di tutti i giorni. Questioni universali e pressoché inarrivabili dal cittadino medio che si scontrano con la quotidianità che si svolge sotto casa.
È l’ipocrisia dei grandi dibattiti, degli impegni universali, mentre non ci accorgiamo che dovremmo partire proprio dalle aree in cui viviamo.
Faccio un paragone irriverente con la questione bancaria nel nostro paese. Grandi proclami contro l’Unione Europea, la Commissione rea di essere particolarmente severa con le nostre banche del territorio, mentre nessuno si accorgeva che le stesse non esistevano più. Spolpate, divenute scheletri, morti viventi.
La compromissione delle terre venete viene da lontano. In parte sara’ anche frutto dei mutamenti climatici; eppure altre cause sono da chiamare in causa, l’espansione urbana incontrollata, il modo di fare impresa e da ultimo il turismo mordi e fuggi.
In verità, non professando una fede politica, mi aspettavo qualcosa dai grillini. Giovani, nuovi, non legati a sponde partitiche potevano inaugurare politiche di verità su tanti aspetti negletti dalla nostra classe politica.
Banche, inquinamento, dissesti di varia natura che come dicevo prima non sono questioni astratte, ma concrete che sotto i nostri occhi potevano ricevere la dovuta attenzione. Potevano disseminare pillole di verità sul territorio. Mi pare che nulla di tutto questo sia accaduto.
Venezia fa parte di questa politica assente, di questa comunicazione surreale, dell’urgenza petulante di sempre, ogni volta che accade un disastro. Difficile cambiare, perché siamo noi che non cambiamo. La città lagunare è la metafora della nostra indifferenza.
Aggiungo, tuttavia, di non essere particolarmente pessimista. Una buona e giusta battaglia vale sempre la pena di essere combattuta. E Venezia vale bene la consapevolezza che la direzione ove ci stiamo dirigendo è verso il nulla.
P.S.: I media hanno dato grande attenzione all’acqua granda. Hanno parlato esperti, politici, ecc. Non ho sentito esponenti del Consorzio Venezia Nuova, che sta realizzando il MOSE. Riporto di seguito qualche notizia su questo consorzio e su chi negli anni lo ha guidato. Molti sono politici di lungo corso e molti appartengono a partiti che oggi si stracciano le vesti e piangono lacrime di coccodrillo sul declino di Venezia.