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Figlio di “vecchi”

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Mio padre oggi avrebbe centoventi anni, mia madre sedici di meno.
Come si dice in questi casi, mia sorella e io siamo figli di “vecchi”, con tutto quello che ciò comporta.

Personalmente sono convinto che la trasmissione del DNA, con la procreazione nei casi di età avanzata, avvantaggia e per tanti motivi.
In ogni generazione il ceppo ereditario, infatti, si trasforma e si arricchisce  dell’esperienza di ogni ciclo vitale; si consolida a ogni passaggio generazionale l’elicoidale genetico di ciascuno.

Dire che i figli dei vecchi hanno una marcia in più è pura presunzione, ma qualche differenza ce l’hanno con chi è nato da genitori più giovani. Se poi si approfondisce un poco la questione e si presta attenzione a qualche profilo, si evidenziano tra questi figli strane comunanze.

Spesso i figli, nati in età matura dei genitori, sono i più voluti; perché magari vanno a coronare desideri di paternità o maternità, da tempo coltivati e attesi.
Per loro le cure e le attenzioni dei genitori possono essere maggiori; i nuovi arrivati, infatti, si collocano da subito al centro della vita di coppia dove le abitudini più consolidate devono cedere il passo a una organizzazione di vita totalmente nuova.  Tutto ruota intorno a loro. Perché la decisione di averli non ha fatto nemmeno il conto con i rischi genetici connessi con l’età.

Un esempio simile l’ho riscontrato, mutatis mutandis, in Cina, laddove era in vigore il limite procreativo per ogni coppia (almeno per i cinesi cittadini). Quei figli unici per politiche governative non per scelte individuali erano “principini” ben curati e allevati.

Sono tanti i ricordi che affiorano dal mare del passato.
Fondamentalmente tutti belli e, col senno del poi, ci si accorge che anche i momenti punitivi avevano un senso. Non era educazione repressiva. Era un’educazione frutto di tensione tra l’istinto di viziarci e la ragione di guidarci.

Probabilmente prevaleva la seconda forse per nascondere un po’ i sentimenti più teneri, ma anche per esercitare una più forte protezione nei confronti dei rischi della vita, in cui loro erano esperti. Forse erano meno espansivi per timidezza o perché si sentivano un po’ in colpa perché sapevano di non poter assicurare una presenza più duratura accanto ai figli rispetto ai genitori giovani? Chissà?

Educativi quei momenti lo erano sicuramente, necessari per focalizzare l’importanza delle cose, per attribuire loro il giusto valore, per acquisire chiarezza di regole e principi, per far propri i pesi e i contrappesi necessari nella vita.

Nessuna malinconia mi accompagna oggi nel rivedere scene del passato. Mi pongo invece come spettatore intento a osservare nel buio di una sala cinematografica spezzoni del film di una vita.
E i tanti attori che scorrono, riaffiorano dalla nebbia che si è addensata col trascorrere delle stagioni.
Gli stupori per gioie dimenticate, i fantasmi di paure forse ancestrali, gli accadimenti vari e laceranti della storia che li hanno toccati, le guerre subite e combattute,  i personaggi belli e sgradevoli si sono via via stemperati nel tanto tempo trascorso.

Riapro ora gli occhi per risvegliarmi e rifletto sulla fortuna di ritrovarmi ancora vivo fra i vivi. In mezzo a uno scenario moderno e supertecnologico che mi affascina e in cui il trascorrere degli anni, fino a ieri lento, mi ha trascinato e mi trascina. Forse è l’amore per la vita il dono maggiore che mi hanno trasmesso i miei vecchi.

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