Elon Musk ha detto che l’intelligenza artificiale può scatenare la terza guerra mondiale. Se a dirlo è il costruttore dell’auto con intelligenza artificiale più avanzata e mercuriale del pianeta, vuol dire che un fondamento c’è. Fino a poco tempo fa erano pochissimi a preoccuparsi delle conseguenze dell’innovazione tecnologica che stava prendendo un passo furioso. Ed eravamo appena agli inizi, non si era visto ancora niente.
Poi è successo che il discorso sulle conseguenze della tecnologia ha iniziato a percolare in ogni ambiente della società, eccetto che tra i tecnologi che sono convinti di essere “in missione per conto di Dio”. L’imputato principale di questo rovesciamento di percezione pubblica è proprio l’intelligenza artificiale.
Quando si parla di intelligenza artificiale, una gran parte della conversazione pubblica tende a concentrarsi non solo sulla perdita dei posti di lavoro o sul vantaggio della Cina. Ma anche e soprattutto sulla paura che le macchine intelligenti un giorno conquisteranno il mondo rendendo l’uomo un mero anello della catena alimentare. Non è quello che avviene nella Guerra dei mondi di Huxley?
L’assunto implicito è che uomini e macchine siano in competizione. Una competizione che sarà vinta dalla macchina. Alla fine i sistemi intelligenti, con la loro velocità, la capacità di processare e la resistenza all’usura, ci sostituiranno prima nelle professioni, poi nelle organizzazioni e infine nelle decisioni.
C’è uno studio econometrico del 2015 del National Bureau of Economic Research, un centro di ricerca che prevede con sufficiente accuratezza i trend economici, che ha tratto questa conclusione:
In assenza di un’adeguata politica fiscale che ridistribuisca dai vincenti ai perdenti, le macchine intelligenti significheranno nel lungo termine più povertà per tutti.
Due condizioni che al momento sembrano ben lungi dal venire, se non addirittura dall’essere concepite. Una cosa però sta avvenendo: una parte importante della popolazione nei paesi sviluppati si sta, in effetti, impoverendo. E sappiamo che l’impoverimento può avere conseguenze anche più brutali dell’intelligenza artificiale.
L’intelligenza additiva
Cerchiamo di vedere la faccenda da una prospettiva diversa. Chiediamoci. E se l’operazione di potenza uomo-macchina non fosse sottrattiva, ma additiva? È questa la prospettiva proposta da Paul Daugherty e James Wilson in un libro finalmente tradotto in italiano Human + machine. Ripensare il lavoro nell’età dell’intelligenza artificiale, Guerini, 2019, pp. 215 (disponibile anche in ebook in coedizione con goWare).
Il lavoro non è teorico o affabulatorio, ma trae le sue considerazioni dall’esperienza sul campo acquisita dai due autori. Entrambi, infatti, ricoprono responsabilità primarie in Accenture. Daugherty è Chief Technology e Innovation Officer e si occupa dei progetti sull’Intelligenza artificiale e sulla R&D a livello globale. Wilson è a capo del dipartimento di IT e Business Research.
Accenture è la più grande società di consulenza aziendale al mondo. Respira la stessa aria delle imprese, soprattutto grandi, per le quali lavora spalla a spalla. Difficile disporre di un osservatorio con una vista migliore sul territorio dove si attuano l’innovazione e i cambiamenti.
Daugherty e Wilson hanno condotto un’analisi su 450 organizzazioni all’interno di un campione di 1500 e hanno identificato un certo numero di fenomeni rilevanti che le ricerche quantitative hanno mancato di cogliere. Uno è il concetto di «fusion skill»: uomini e macchine insieme formano nuovi tipi di lavoro ed esperienze professionali.
Proprio questa fusione di saperi e competenze è lo “spazio fantasma”. Fantasma nel senso che è assente dal dibattito polarizzante sul lavoro che ha messo in contrapposizione uomini e macchine. Ed è in questo spazio fantasma centrale che le aziende all’avanguardia hanno reinventato i processi lavorativi, ottenendo straordinari miglioramenti nelle performance.
Il re-skilling
Nella prefazione al libro, Paolo Traverso, direttore del Centro FBK ICT Fondazione Bruno Kessler, sintetizza benissimo la tesi dei due autori.
Il senso dell’opera si preannuncia nel titolo: il futuro non è nelle macchine di per sé, intelligenti che siano, non è nella pura automazione industriale, se pur spinta al massimo fino a rimpiazzare un’alta percentuale delle componenti più routinarie e a bassa creatività di ciascun mestiere.
Il futuro della società, ma anche del mercato e del business, è in realtà laddove le macchine e le persone lavorano assieme, dove i mestieri ma anche i modelli di business si rinnoveranno in un modo sostanziale.
L’intelligenza artificiale non deve rimpiazzare le persone, le loro capacità, la loro creatività, ma le deve esaltare, le deve aumentare.
La leva fondamentale perché questo avvenga sta in quello che gli autori chiamano il re-skilling, cioè nel preparare milioni di persone di tutte le età a lavorare con le nuove tecnologie. Un’impresa titanica, ma imprescindibile.
Anche una tecnologa pentita come Arianna Huffington, che adesso propugna la disconnessione, ha apprezzato molto il lavoro dei due autori che alla fine va nella direzione di un assorbimento della tecnologia entro la condizione umana fino a farne parte integrante. Ecco come si esprime a proposito del libro:
In Human + Machine, Daugherty e Wilson forniscono un modello di futuro in cui l’intelligenza artificiale potenzia il nostro lato umano.
Pieno di esempi, istruzioni e ispirazione, il libro è una guida pratica alla comprensione dell’intelligenza artificiale — a ciò che significa per le nostre vite e a come possiamo sfruttarla al meglio.
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Ultimo aggiornamento 17/05/2018
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