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I tre tenori

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Negli ultimi cinque anni tre esponenti della nostra classe politica si sono succeduti alla guida del paese. M. Renzi, M. Salvini, L. Di Maio, proponendosi come rinnovamento rispetto al passato.

Pur appartenendo a versanti diversi e avversi, hanno alcune affinità che non sembri strano evidenziare. Intanto l’età: hanno occupato rapidamente il potere come generazione dei trenta/quarantenni, vale a dire in una fase della vita molto giovane per incarichi di prestigio e responsabilità, senza conoscenze della macchina di governo di un grande paese.

Li accomuna poi una relativa scolarizzazione (soltanto uno di loro ha concluso un ciclo di laurea) e nessuna esperienza lavorativa, se non nella politica. Hanno una buona dialettica e sanno fare uso dei media della comunicazione moderna. A tutti e tre è stato attribuito in misura massima il dono dell’esprit politique. Da ultimo si sono cimentati in improbabili combinazioni di colori di governo.

E di fatto tutti e tre hanno avuto sì in poco tempo grande presa sull’elettorato. Ma in altrettanto poco tempo hanno perso il primato di una leadership cui tutti assegnavano durature e salvifiche  prospettive.

Il dubbio che siano davvero campioni nel loro specifico assale il cittadino.

Uno dietro l’altro. Il primo ha raggiunto il 40 per cento nelle europee del 2014, per poi perdere referendum istituzionale (2016) e elezioni politiche (2018), il secondo ha avuto un terzo dei voti degli italiani votanti nelle europee 2019, passando prima dal 3 al 17 per cento nelle politiche 2018, per poi scatenare una crisi di governo che gli è sfuggita di mano. Il terzo ha portato il Movimento 5 Stelle al 33% delle stesse elezioni politiche, per poi dimezzare, tempo un anno, i voti nelle ultime europee. All’uscita di scena dei due Matteo, Luigi è sopravvissuto a se stesso, dovendo accettare un sostanziale ridimensionamento.

Quindi il punto è che questi geni della politica hanno ben poco di geniale, salvo la capacità di aumentare il grado di entropia del sistema. I programmi dei loro governi non vanno molto oltre il libro dei sogni e qualche misura demagogica. E nessuna strategia di medio termine. Il paese nel loro asserito rinnovamento ci ha invece, opportunisticamente o fideisticamente, creduto, dovendo presto riconoscere che i nostri tre tenori continuavano a steccare, su spartiti di malintese riforme o su pretese di autonomia presto scontratesi con poteri ben più forti.

Da ultimo il direttore d’orchestra europeo ha ricordato, con pochi colpi di bacchetta, che è lui e lui soltanto che, bene o male che sia, dirige i cantanti, e che a nessuno di essi è consentito né di scrivere la musica né di esibirsi in proprio. L’ultima crisi l’ha plasticamente ricordato, anche per quanto riguarda il contenimento dei poteri del nuovo commissario italiano agli affari economici. Chissà se i nostri tre tenori l’avranno capito. Gli italiani sì. Dal sovranismo alla sovranità limitata il passo è breve e rapido. Ed è quello che i nostri tre tenori ci hanno aiutato a fare.

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