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Lo Zibaldone di Giacomo Leopardi parla inglese

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Tempo di lettura 8’. Leggibilità **. Articolo scritto con il contributo di Franco D’Intino.

La fortuna di Leopardi all’estero.

È arrivato il tempo di chiederci perché il più grande poeta e pensatore italiano moderno, Giacomo Leopardi, fuori d’Italia sia oggi quasi uno sconosciuto. Eppure fino alle soglie del Novecento il suo nome ebbe risonanza internazionale. Poeti e filosofi, critici e uomini politici, riconobbero assai presto il suo genio.

Nel 1842, appena cinque anni dopo la sua morte, Alfred de Musset aveva già immortalato il “sobre génie” del “sombre amant de la mort” nella poesia Après une lecture.

Due anni dopo Sainte-Beuve pubblicò un ampio e particolareggiato ritratto del poeta sulla prestigiosa “Revue des deux mondes” (1844).

Seguirono due lunghissimi saggi critici di G.H. Lewes e William Gladstone rispettivamente sul “Fraser’s magazine” (1848) e sulla “Quarterly Review” (1850).

Più avanti Herman Melville ne fece addirittura un personaggio (a sceptic “stoned by Grief”) nel poema Clarel (1876), mentre Friedrich Nietzsche ricordò il suo Canto notturno all’inizio della seconda Considerazione inattuale: pur non conoscendo lo Zibaldone, che nell’Ottocento era ancora inedito, Leopardi era per lui il modello del moderno filologo e il più grande prosatore del secolo.

Ancora negli anni ’20 e ’30 del Novecento, due tra le menti più acute del nuovo secolo, Walter Benjamin e Samuel Beckett, gli resero omaggio con citazioni dalle Operette morali e dai Canti (ancora una volta non dallo Zibaldone, che pure era stato nel frattempo pubblicato). Poi gradualmente il silenzio.

Che cosa impedì a Leopardi di prendere posto nel canone della grande poesia lirica occidentale? Forse il motivo è perché visse e scrisse in quella zona d’ombra che sta tra la fiammata impetuosa della prima generazione romantica, legata all’idealismo filosofico tedesco (Hölderlin, Novalis, Coleridge) e la generazione, successiva alla sua, dei fondatori della lirica moderna (soprattutto Baudelaire).

La radicalità della ricerca del Leopardi

Una zona resa ancor meno visibile dalla posizione appartata in cui Leopardi si trovò a vivere per gran parte della sua vita: una provincia italiana (Recanati, nello Stato Pontificio) ai margini di un paese che ancora non era tale, e che nel complesso andava sempre più perdendo importanza nel panorama della cultura europea otto-novecentesca.

In quella provincia, in una situazione letteralmente paralizzante (era difficile viaggiare, procurarsi libri; la comunicazione epistolare era soggetta alla censura), l’adolescente Giacomo dovette cercare una via di fuga per sopravvivere. Inizialmente la trovò nella filologia, poi, più efficacemente, nella poesia:

Gran cosa, e certa madre di piacere e di entusiasmo, e magistrale effetto della poesia, quando giunge a fare che il lettore acquisti maggior concetto di sé, e delle sue disgrazie, e del suo stesso abbattimento e annichilamento di spirito (Z 260).

Questo è un punto essenziale per capire la radicalità della sua ricerca, fondata su un’esigenza bruciante: una scelta esistenziale di vita o di morte.

Da questo punto di vista, la poesia e la quotidiana scrittura segreta dello Zibaldone, portata avanti dal 1817 al 1832, sono due percorsi paralleli, e assolvono alla stessa funzione vitale.

Spesso si dimentica che gran parte dello Zibaldone (circa due terzi) fu scritta nel 1821 e nel 1823, quando Giacomo aveva meno di venticinque anni, ed era dunque, come molti giovani di oggi, disoccupato, e incerto sul proprio futuro.

Il segreto della sua originalità sta proprio in una resistenza quotidiana ai limiti postigli innanzitutto dalla natura, poi dalla famiglia e dalla società: malattia e deformità del corpo, isolamento fisico e intellettuale, ricerca infruttuosa di una professione e di mezzi di sussistenza, lontananza dai centri della cultura europea.

Egli divenne filosofo ignorando Kant e Hegel. Poeta ignorando quel che di nuovo stava accadendo nelle culture europee più vivaci (Francia, Germania, Inghilterra), perché capace di trovare in sé la forza di slanciarsi oltre i confini della sua epoca, e, con pari acutezza, vedere in avanti e indietro nel tempo.

Leopardi filosofo

La natura e gli antichi furono la sua salvezza e i suoi maestri, ma ciò che imparava da loro serviva a illuminare quello che osservava in se stesso e nel mondo circostante: fenomeni naturali, comportamenti umani e animali, dinamiche fisiche, psicologiche e sociali.

Scelse di ripartire da zero, dalle energie primordiali dell’uomo, dall’origine dell’io e del corpo, dall’infanzia del mondo. L’iniziale idealizzazione della natura e degli antichi non deve trarre in inganno.

Si tratta, sì, di una scelta regressiva, ma essa gli permette di rifiutare il presente senza cedere alle lusinghe dello spirito o di qualunque ideologia, di analizzare il soggetto senza farne un’entità immateriale, anzi radicandolo nel corpo, nella natura e nella storia.

La sua posizione, inizialmente rousseuiana, si fa subito più complessa e si approfondisce, la nostalgia per le origini va di pari passo con l’analisi del percorso che lo ha portato a distanziarsi infinitamente da esse, portandolo ad essere, come dice Nietzsche, quello che è. Questo percorso è ormai irreversibile, non c’è possibilità di tornare indietro: tale consapevolezza fa di lui il primo analista, antropologo e critico della modernità:

La civiltà moderna non deve esser considerata come una semplice continuazione dell’antica, come un progresso della medesima. […] queste due civiltà, avendo essenziali differenze tra loro, sono, e debbono essere considerate come due civiltà diverse, o vogliamo dire due diverse e distinte specie di civiltà, ambedue realmente complete in se stesse (Z 4171).

Questa estrema libertà di pensiero trova una forma ideale, radicalmente nuova, in un libro che anch’esso non si saprebbe ben collocare nell’ambito dei generi: lo Zibaldone. Un diario in cui Leopardi appuntava giorno dopo giorno (a partire dal 1820 specificando quasi sempre la data e il luogo) letture, riflessioni su ciò che leggeva (con citazioni), osservazioni su sé e sugli altri, sulla società e la politica, l’amore, la religione, la natura, la storia.

Un libro che non è un libro, un enorme manoscritto segreto, di cui a lungo nessuno ha saputo nulla, e che è rimasto sepolto per decenni, per poi apparire miracolosamente alla luce quando il suo autore era morto da più di mezzo secolo. La pubblicazione del testo, a opera di Giosuè Carducci, alle soglie del Novecento, non cambiò affatto la percezione di Leopardi in ambito europeo, che anzi, come si è detto, divenne verso di lui paradossalmente sempre più distratta.

Il lettore dello Zibaldone

All’estero non ci sono state traduzioni; in Italia lo Zibaldone è rimasto confinato tra gli specialisti di letteratura italiana, interessati soprattutto al Leopardi poeta, e indifferenti alla riflessione di Leopardi sull’uomo, la società e la natura, insomma su tutti i campi del sapere.

Nessun impatto, dunque, su antropologi, storici, linguisti, psicologi, filosofi, studiosi di politica, di estetica, di musica e di scienza, e su semplici lettori, che pure vi avrebbero trovato tesori, anticipazioni, folgoranti intuizioni.

È probabile che in questa vicenda buona parte abbia avuto la forte diffidenza per il Leopardi pensatore da parte dell’idealismo, dominante in Italia per molti decenni. E non ha aiutato a cambiare le cose una lettura di tipo materialista altrettanto ideologica e faziosa, incapace di guardare verso altri orizzonti.

Soltanto da pochi anni il paesaggio sta cambiando, e nuovi studi, di diverso orientamento, stanno riconsiderando Leopardi come uno dei pensatori di punta della modernità, o meglio, critici della modernità.

Per questo, è giunto il momento in cui lo Zibaldone, trascurato o addirittura sabotato in patria, debba andare a incontrare il suo pubblico tra quei lettori, di diversi paesi e culture, che lo leggeranno senza pregiudizi.

L’unica traduzione integrale è apparsa finora, in francese, solo nel 2004, grosso modo a un secolo di distanza dalla prima edizione italiana.

Un tempo lunghissimo, giustificato in parte dal contesto culturale italiano, in parte dalla difficoltà dell’impresa di tradurre 4526 pagine in cui Leopardi, esprimendosi anche in latino, greco, francese e inglese, dialoga con almeno sei lingue classiche e moderne, incastonando nel proprio discorso piccole e grandi citazioni dai testi più disparati.

Ma c’è qualcosa di più, e riguarda la forma peculiare di questo testo che, scritto a inizio Ottocento, esigeva in realtà un lettore che, come dice Benjamin di Baudelaire, “gli sarebbe stato fornito dall’epoca seguente”.

Un lettore capace di intendere la forma reticolare del pensiero leopardiano, in costante tensione tra “particolare” e “sistema,” fino al paradosso di un sistema “che consista nell’esclusione di tutti i sistemi” (Z 949).

Cioè, in sostanza, quella forma specifica e individuale in cui Leopardi stesso fa interagire tutti i campi del sapere in una sorta di enciclopedismo moderno fluido, interrogativo, segnato dal tempo e dalle circostanze (la data alla fine di ogni pensiero, le continue correzioni e aggiunte).

A causa delle modificazioni antropologiche avvenute negli ultimi due secoli, il lettore attuale, anche quello non specialista, può comprendere Leopardi meglio che nel passato. Ma per far sì che ciò avvenga, al di là di confini e barriere, in un mondo davvero globalizzato come quello prefigurato in alcune pagine dello Zibaldone, occorre che Leopardi si esprima in inglese.

Il “blog” di Leopardi nella lingua dei blogger

Racconta Franco D’Intino:

”Il progetto di tradurre lo Zibaldone nella principale e più diffusa lingua occidentale è nato all’Università di Birmingham dove, essendo disoccupato in Italia, avevo trovato lavoro nel 1995 come docente di letteratura italiana. Insieme con il mio collega inglese Michael Caesar, anche lui studioso di Leopardi, nel 1998 abbiamo deciso di fondare (con il sostegno del Centro Nazionale di Studi Leopardiani di Recanati, del cui comitato scientifico facevo parte) il Leopardi Centre, che ha garantito corsi su Leopardi, e ha organizzato, negli anni, decine di iniziative, convegni, seminari, conferenze.

Con il prestigio rapidamente acquisito, il Centre ha patrocinato, sostenuto finanziariamente e seguito molti studenti desiderosi di fare un PhD su Leopardi e la sua epoca. Proprio una di loro, Katherine Baldwin, autrice di una splendida tesi di PhD sull’epistolario leopardiano, ha iniziato, quasi per gioco, a tradurre le prime pagine dello Zibaldone, e così è nata l’idea (o la follia) di tradurre integralmente quest’opera fondamentale, senza la quale la conoscenza di Leopardi sarebbe stata sempre parziale e distorta.

Ci siamo messi alla ricerca di fondi, di traduttori e di editori. E quando il progetto è finalmente partito, abbiamo riunito il gruppo di lavoro, composto da sette traduttori e due curatori (editor) in un agriturismo nelle Marche (non lontano da Recanati), ospitati da uno dei traduttori, Richard Dixon. Gli altri traduttori presenti a Cagli erano: David Gibbons, Ann Goldstein, Martin Thom e Pamela Williams. Gerard Slowey si è aggiunto in un secondo momento.

Lì abbiamo stabilito criteri, discusso semantica e sintassi leopardiane, cercato soluzioni ai problemi più comuni, fatto prove di traduzione, e stilato alcune norme guida. Si è cominciato a costituire un vocabolarietto di lemmi, con varie ipotesi di traduzione nei diversi contesti. In seguito il lavoro è stato svolto a distanza, in forma collaborativa: i file, con tutti i problemi evidenziati da particolari codici, viaggiavano da uno all’altro di noi (spesso facendo la strada moltissime volte), finché la soluzione giusta non era trovata.

Il gruppo che ha lavorato alla traduzione inglese dello Zibaldone. Da sinistra a destra: Antonio Moresco (scrittore), Carmela Magri (bibliotecaria), Richard Dixon (traduttore), Franco D’Intino (curatore), Michael Caesar (curatore), Ann Goldstein (traduttrice), David Gibbons (traduttore), Pamela Williams (traduttrice), Martin Thom (traduttore). Non presenti nella foto: Kathleen Baldwin (trdauttrice), Gerard Slowey (traduttore).

Il lavoro di un’équipe

Spesso un’idea nuova doveva essere verificata e applicata retrospettivamente per migliaia di pagine. Il testo fornito dai traduttori è stato messo a confronto con l’italiano. Se ne è verificata l’accuratezza e la tenuta stilistica rispetto all’intero, in un costante lavoro di revisione e di confronto che doveva bilanciare le esigenze dell’uniformità con quelle di una buona resa del singolo passo.

Ma non si tratta solo di traduzione. Lo Zibaldone è un’opera fittissima di riferimenti a opere, autori, personaggi, paesi e lingue, e per comprendere, tradurre e annotare in un commento tutto ciò abbiamo chiesto la collaborazione di molti specialisti (circa 80) in tante materie, dal greco al sanscrito alla storia romana alla teoria musicale e così via.

Alcuni di questi sono stati coinvolti in due progetti di ricerca paralleli, patrocinati dall’Arts & Humanities Research Council, che hanno avuto come esito un convegno sulla citazione (tenutosi alla Sapienza di Roma) e uno sul pensiero frammentario (tenutosi a Birmingham).

Nel frattempo abbiamo controllato tutte le citazioni leopardiane sui testi consultati dall’autore, identificando tutti i passi con esattezza per mezzo di virgolette.

Il risultato è un’edizione che per la prima volta distingue con chiarezza la voce di Leopardi da quella degli autori citati, e offre riferimenti sicuri alle fonti.

Il commento, naturalmente, va molto al di là di questo, ed è stato pensato, così come anche l’indice dei nomi e delle cose notevoli, in funzione del vasto pubblico non italiano che si sarebbe misurato con questo labirinto.

Le entusiastiche recensioni uscite finora su importanti giornali e periodici inglesi e americani dimostrano che Leopardi è pronto per prendere finalmente il posto che gli spetta tra i grandi pensatori dell’occidente.

Il risultato

I link ai siti utili e alle principali recensioni uscite finora sono elencati in questa pagina della Sapienza, sempre aggiornata.

Zibaldone: The Notebooks of Leopardi

ed. Michael Caesar and Franco D’Intino
Penguin Classics
Paperback 29,92 euro (su Amazon)
Kindle editions 19,99 euro

Leggi anche:
The Zibaldone project , University of Birmingham
La recensione di Robert Pogue Harrison sul supplemeto del weekend “life&arts” del Financial Times.
La recensione di Tobias Jones sul “Sunday Times”

Franco D’Intino è curatore (con Michael Caesar) della prima traduzione integrale in inglese dello Zibaldone di Leopardi, pubblicata nel 2013 (New York, Farrar Straus & Giroux; London, Penguin Books). È titolare della cattedra di Letteratura italiana moderna e contemporanea all’Università di Roma La Sapienza. Le sue principali aree di ricerca sono il genere autobiografico, la cultura europea tra diciottesimo e diciannovesimo secolo.

Ha pubblicato molte edizioni di opere leopardiane (Scritti e frammenti autobiografici, Roma, Salerno editrice, 1995; Poeti greci e latini, Roma, Salerno editrice, 1999; Volgarizzamenti in prosa 1822–1827, Venezia, Marsilio, 2012), oltre a numerosi saggi. Il volume più recente è L’immagine della voce. Leopardi, Platone e il libro morale, Venezia, Marsilio, 2009. È direttore del Leopardi Centre presso l’Università di Birmingham (UK), membro del comitato scientifico del Centro Nazionale di Studi Leopardiani, co-direttore della collana Testi e studi leopardiani presso Marsilio editori e membro del comitato scientifico della “Rivista internazionale di studi leopardiani”. È stato fellow dell’Italian Academy for Advanced Studies in America (New York) e co-titolare di una ricerca premiata dall’Arts and Humanities Research Council (UK).

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