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Sogni.
Erano le tre di notte e Ario fu svegliato dalla potenza della storia che stava vivendo come fosse vera.
Le immagini che scorrevano nel suo sogno erano talmente belle che già pensava di poterle riproporle così, senza alcun commento.
Nel dormiveglia immaginava come impaginare il portfolio fotografico. Nessuna delle foto doveva distrarre dal messaggio che aveva in mente.
Era necessario stabilire una sequenza che aiutasse alla lettura, non occorreva aggiungere parole che potevano risultare superflue. Le fotografie dovevano di per sé essere eloquenti.
Intanto che rifletteva e riordinava il tutto, si rendeva conto che quanto stava pensando accadeva nell’onirico e che il suo ragionamento si collocava al confine di un risveglio.
Capì che ben presto tutto sarebbe svanito, lasciando il convincimento di avere appena fatto un bellissimo sogno.
Come a tutti capitava anche ad Ario di sognare spesso, ma era fra quelli che dimenticano immediatamente le storie sognate. Dopo pochi attimi dal risveglio, del sogno non rimaneva più nulla, se non la vaga sensazione di avere sognato.
Quella notte la sua mente aveva però elaborato visioni di eccellenza, immagini ricche e bellissime che testimoniavano momenti d’attualità, d’impegno civile. Erano immagini sovrapposte, evanescenze, contrasti di bianco e di nero, riflessi, ambiguità. Immagini simboliche, immagini rubate. Erano la sua più riuscita messinscena del caso.
In verità non avrebbe saputo più neanche descriverle perché, già in semiveglia, le tante visioni si scioglievano velocemente come neve al sole.
La potenza delle fotografie sognate era stata però talmente alta da indurlo a prendere l’Ipad che teneva sempre poggiato sul comodino, per bloccare almeno in qualche appunto il contenuto di quelle labili visioni.
Le immagini erano legate a un qualcosa di confuso: una festa, gente giovane che vi partecipava gioiosamente, soddisfatta forse per aver dato luogo ad azioni socialmente utili. Ario affidava spesso alle fotografie un fine non solo estetico, ma anche educativo.
Nel sogno erano coinvolte gente comune e autorità e tutti quanti i presenti avevano documentato l’evento con fotografie eccellenti.
I tagli compositivi e le espressioni dei volti sembravano ispirati a quadri di grandi autori. Luci caravaggesche, pose michelangiolesche e tanti altri riferimenti artistici avevano arricchito le visioni.
Stavolta, però, anche da sveglio era certo della straordinaria bellezza delle tante fotografie sognate.
Fantasticherie
Per rendere l’idea a chi pratica la fotografia, Ario viveva i suoi sogni come in una camera oscura, in cui mancava però, e da sempre, il liquido di fissaggio.
Le molteplici immagini sviluppate rinnovavano ogni volta lo stupore, ma le nuove luci alla fine azzeravano il tutto, lasciando tante gelatine di sali d’argento annerite.
Le pellicole e le carte fotografiche nella sua mente avevano, quindi, vissuto il processo inverso della teoria di Michelangelo ovvero avevano ermeticamente custodito – nel breve spazio di un sogno, in un nero profondo – ogni foto rivelata, ormai andata scomparsa.
Non si sa come, ma gli venne in mente la famosa frase che “Ogni blocco di pietra ha una statua dentro di sé ed è compito dello scultore scoprirla”.
Ario andò a scrivere questo suo piccolo racconto, non tanto per affermare qualcosa di speciale, ma per fissare che pure la sua vita era stata costellata di sogni, anche se ogni mattina, al risveglio, pensava di avere solo dormito, come nell’ultima notte trascorsa.
Mise però a supporto del testo una immagine nera, per lasciare a ciascun osservatore la piena libertà di vedere e leggere – con il proprio immaginario – ciò che avrebbe desiderato.
Alla fine pensò che fosse un po’ la stessa operazione michelangiolesca. Si trattava di estrarre con la fantasia una composizione, una vicenda, una lettura da ogni fondo oscuro. Una cosa viva, insomma, come da ogni informe blocco di pietra il più grande artista di sempre si proponeva di fare.
Ora Ario stava proprio esagerando!
Buona luce a tutti!