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Prologo
Le regioni a statuto ordinario sono previste dalla Costituzione del 1948, ma solo nel 1970 con legge ordinaria sono state istituite.
Chi si è laureato in giurisprudenza in quegli anni non le ha mai studiate. L’insegnamento di diritto regionale era di là da venire. È allora che iniziano i guai, per tanti motivi.
Per stare in argomento la caratteristica essenziale è che l’Italia non sarà mai uno Stato federale, piuttosto un ibrido tra modello Napoleonico e per l’appunto Stato federale. Per quel che ne so è un unicum. Conserviamo tutto e non buttiamo via niente tanto che secondo alcuni studiosi la crescita esponenziale del debito pubblico inizia proprio con le Regioni. Avverrà lo stesso anche con gli organismi di governo dell’Unione Europea che si aggiungono a quelli già esistenti.
Nascono, dunque, le Regioni ma con un disturbo di fondo che arriverà fino ad oggi. Sono, come si dice, enti costituzionali a finanza derivata. Vale a dire non hanno entrate proprie, come negli Stati federali o come per le Regioni a statuto speciale, ma è lo Stato che annualmente decide come ripartire le risorse alle Regioni. Si prevedono vari fondi dai nomi più strani e fantasiosi (perequativi) e il più consistente è quello sanitario. Esso è stato pari nel 2019 a 111 miliardi di euro e nel riparto la prima Regione è la Lombardia con 18 miliardi, seguita dal Lazio con 11, Campania con 10 e Sicilia con 9, a seguire le altre.
Queste sono un pò le premesse da cui partire se si vuole capire l’attuale e farneticante dibattito sull’autonomia differenziata. Sono in tanti a esercitarsi: vecchi politici in cerca di riciclarsi, governatori regionali, esperti, giornalisti.
Hanno qualcosa di ipnotico perché toccano qualcosa di molto sensibile, il denaro pubblico che qualcuno diceva essere non di tutti ma di nessuno. Alla fine non vi saranno vincitori perché si farà ricorso alla solita perequazione delle risorse: un pò a me e un pò a te. Così non fa male a nessuno.
Forse sto banalizzando troppo ma in verità tutti coloro che quasi quotidianamente gridano allo scippo di risorse ora al Nord ora al Sud non hanno un numero decente su cui basare la propria analisi. In più si stimola il ventre molle del paese ricordando, come ha fatto di recente un politico del tempo che fu, che sì in Campania c’è tanta corruzione nella destinazione dei fondi pubblici, ma anche il Veneto non scherza. Ha ricordato giustamente il MOSE e più di recente gli scandali dei materiali scadenti per la costruzione dell’autostrada Pedemontana. Chi più ne ha più ne metta. La gara a chi è più o meno corrotto è aperta. Tra l’altro, il politico in questione ha dimenticato le due popolari venete, miseramente fallite e scaricate sui contribuenti.
Passiamo brevemente in rassegna gli aspetti di natura più tecnica. I primi due sono contenuti nel libro dei sogni, mentre gli altri sono nell’ambito dell’esistente o di quel che potrebbe essere.
Equivalenza di risorse in base alla popolazione
Se il Sud ha una popolazione pari al 30 per cento dell’Italia deve ricevere il 30 per cento delle risorse da parte dello Stato centrale. Secondo stime, il Sud viene quindi scippato ogni anno di circa 60 miliardi dal Nord. Ora non è un discorso ragionevole. Per assurdo se un’area del paese non produce reddito o non paga tasse non può evidentemente accampare diritti, se prima non ottempera i propri obblighi. Da respingere in via di principio.
Residuo fiscale
Teoria portata avanti da Lombardia e Veneto che estende a una regione un ragionamento molto semplice che a livello individuale fa la fortuna dell’evasore. Dice costui: dovrei versare allo Stato 100 per ricevere servizi pubblici per 70, ergo non pago le tasse per 30.
Allo stesso modo, se in una regione pago 100 e ricevo 80 come finanziamenti avrò un residuo fiscale di 20 che mi deve essere restituito. Le distorsioni di tale ragionamento sono tali e tante che rendono impossibile uno schema contabile in grado di determinare i risultati finali.
Esiste una spesa indivisibile tra le regioni (organi dello Stato, difesa e sicurezza) oltre a movimenti della popolazione sul territorio per motivi di cura sanitaria che eliminano alla radice il problema. Da respingere in via metodologica anche se può avere un futuro nel rabberciare la situazione attuale. Si fa finta di costruire il residuo fiscale per ciascuna regione e poi si crea un fondo perequativo (un altro ?) per accontentare le regioni svantaggiate.
Spesa storica, spesa pro capite e LEP
Qui atterriamo con la spesa storica nell’ambito del presente e di come ha funzionato finora. Con l’autonomia differenziata, lo Stato è disposto a cedere ulteriori funzioni alle Regioni e a riconoscere le corrispondenti risorse finanziarie sulla base di quanto speso finora. E’ quello che accadrà, verosimilmente e che potrebbe allargare il fronte delle Regioni richiedenti maggiore autonomia (oltre a Veneto, Emilia Romagna e Lombardia).
Tralasciamo alcune questioni come i LEP (Livelli Essenziali delle Prestazioni da garantire ovunque ex art.117 della Costituzione) e la spesa pro capite per evitare approfondimenti poco utili. Sono altri modi di ripartizione, pure caldamente invocati ed evocati. In parte, questi principi confluiranno in qualcosa di ancora più complesso di cui si inizia a vedere qualche traccia.
A regime (ma quando?) dovrebbero, infatti, essere i fabbisogni standard e la capacità fiscale delle regioni a determinare l’entità dei trasferimenti. Questo metodo esiste già in parte per i Comuni e rinvio a uno studio, sintetizzato molto bene da Repubblica con il significativo titolo della montagna che ha partorito un topolino. Una quantità stratosferica di numeri con impatto del tutto trascurabile del nuovo metodo rispetto alla spesa storica, ci avverte l’Ufficio Parlamentare Pubblico.
Come finirà?
Nel film Febbre da Cavallo gli indimenticabili protagonisti sperano di scappottarsi la vita con le celebri mandrakate che, alla fine, li accappottano per davvero. Mi è venuto in mente questo capolavoro a sentire la TV e a leggere i giornali in questi giorni.
In verità non avevamo bisogno di questo dibattito, che sta ulteriormente dividendo il Paese. Un pò la situazione attuale ci viene dal passato e da come sono state pensate le regioni. Un pò il dibattito è alimentato pretestuosamente per ragioni di consenso politico. Povero il Sud scippato dal Nord. Povero il Lombardo Veneto scippato dai meridionali. Ciascuno di questi oratori che incitano allo scippo, alla vergogna, alla protervia rinfaccia poi agli altri non la propria corruzione ma quella, appunto, degli altri. Per accampare un vero diritto a ottenere di più. Vorrei sentir parlare di efficienza e di programmazione della spesa regionale, perché il cittadino possa esprimere nel merito le valutazioni che gli spettano.
Il nostro paese, purtroppo, è molto corrotto, al Nord come al Sud, e lo sappiamo. Forse il dibattito dovrebbe raccontarci altro e cioè come provare a sviluppare il Sud liberandolo dalle tante mafie che lo assillano semmai prendendo ad esempio proprio qualche regione settentrionale che, pur conoscendo episodi di malaffare, è riuscita ad affrancarsi dalla povertà del dopoguerra e dalla triste condizione dei propri cittadini costretti a emigrare, come accaduto ai contadini del Sud.
In un sistema democratico, le soluzioni politiche per risolvere i problemi sociali sono sempre complesse. In ogni caso, atteso che qualunque formula adottata non potrà mai costituire un metodo universale, solo attraverso compromessi ragionati e ragionevoli – derivanti da confronti e incontri di culture/fazioni anche contrapposte – si potranno generare risultati praticabili e accettabili per tutti. In qualche modo, in via generale, in un volume edito da Carocci il Prof. Enzo di Nuoscio affronta problematiche come quelle descritte nell’articolo, connesse all’homo dialogicus (https://laquartadimensionescritti.blogspot.com/2019/07/lhomo-dialogicus-e-liberale-e.html).
Il mondo e’ complesso ma non deve essere un alibi all’homo faber. Un mio dirigente dell’ex ditta ove lavoravo sosteneva che ogni cosa era complessa. E cosi di complessita’ in complessita’ morimmo.