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Il Metodo Falcone

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L’eredità Falcone.

Esperienze personali e professionali, che non vale la pena raccontare, mi hanno consentito di conoscere persone che, nonostante frequentassero contesti sociali votati al compromesso, sono riuscite a mantenere e praticare principi di non comune morale.

Qualche tempo addietro, a uno di questi amici, stante la profonda conoscenza di questioni giuridiche, ho proposto di scrivere qualcosa su Giovanni Falcone.

Suggerivo di sviluppare un profilo, non tanto dell’uomo ampiamente narrato dai tanti che vi si sono cimentati, quanto del personaggio secondo un taglio tecnico, mettendo cioè in luce l’evoluzione professionale del magistrato fino alla messa a punto del suo metodo investigativo.

È affascinante ripercorrere la ricostruzione di un profilo, come quando si va a costruire con mattoncini lego, guardandolo da una prospettiva giuridica, per stabilirne l’eredità trasmessa alla funzione della giustizia, compresi gli apporti in campo legislativo.

La voglia di impegnarmi in questo progetto mi si è rinnovata in occasione di un casuale incontro con una personalità, non siciliana, la quale a un certo punto della conversazione mi chiede perché, secondo me, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino avessero operato quelle scelte coraggiose e fuori dal comune, atteso che, come da lui stesso verificato, a Palermo (e in Sicilia) tutti conoscono le lobby che si incrociano in un quotidiano che comporta ambiguità, accordi, soluzioni di mezzo.

Circoli, lobby, consorterie

Nello specifico si riferiva ai tanti circoli, laddove anche magistrati intrattengono rapporti fin troppo amicali con avvocati, esponenti dell’imprenditoria e della politica, che si intrecciano all’interno di associazioni tipo pseudo “templari”, “cavalieri del Santo Sepolcro” e altre dai nomi evocativi di consorterie.

Ho spiegato che intanto si trattava di due soggetti integerrimi.

Dei due, un caro amico ha scritto “entrambi ispirati ad una vocazione al senso della ‘giustizia-dovere e non potere‘, fino alle estreme conseguenze, ancora più lucidamente perseguita da Borsellino”, in quanto tragicamente consapevole del proprio ineluttabile destino. Si sentiva, ebbe a dire, un morto che cammina.

Senza voler minimamente sminuire la figura di Paolo Borsellino, ho osservato, da siciliano, che quella di Giovanni Falcone è stata comunque un’altra vicenda, perchè era il “metodo Falcone” che il mondo degli affari e della politica temeva, in quanto dava friabilità a ogni costruzione illegale. Creava cioè nei malaffaristi mafiosi una costante incertezza di uscire impuniti. Era un potente deterrente a delinquere. Un sistema elaborativo composto di incastri senza fine, il cui sofisticatissimo e raffinato software era custodito e perfettamente funzionante nel suo cervello! E dicendolo mi appellavo proprio alla mia sicilianità.

L’occasionale amico, che aveva avuto modo di conoscere – per questioni di lavoro – una moltitudine di situazioni torbide, una miriade di burocrati, di soggetti ambigui appartenenti alla società che conta, è rimasto perplesso.  Con le mie semplici argomentazioni credo proprio di non averlo convinto.

Mi sono detto che c’è ancora molto da fare per siciliani e non siciliani, per capire fino in fondo gli effetti sulla nostra società del vile assassinio di Giovanni Falcone. Intanto mi sento sempre più refrattario alle commemorazioni retoriche, che rischiano a poco a poco di farci perdere l’eredità del suo metodo di indagine.

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1 COMMENT

  1. Di questo toccante articolo colpisce “due persone integerrime”. In questo paese è sufficiente per chi svolge incarichi così importanti trovare la morte in quel modo così orribile. Quanto più terribile possibile per dimostrare chi comanda. L’attentatuni dicevano loro per due persone oneste che facevano il loro lavoro. Brutto paese il nostro.

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