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Abbiamo già dedicato alcuni articoli alla comunicazione delle tante Authority del paese.
Siamo partiti dal presupposto che il linguaggio utilizzato sia un punto essenziale per rappresentare in modo critico i fenomeni che ci riguardano, per un essenziale diritto alla chiarezza conoscitiva.
Purtroppo, complice forse anche la lingua italiana che ben si presta alla clonazione in burocratese, gli sforzi della lingua amministrativa del “bel paese là dove il sì suona” deve compiere ancora progressi di immediatezza e di efficacia.
Nel tempo il modo disperso e ripetuto di informare diventa quasi un disturbo della parola e finisce per creare confusione. “Parla come mangi” o “Non è chiaro” sono i commenti che ascoltiamo sempre più spesso quando parla qualche centro di potere.
Liturgie comunicative
Ancora più evidente è l’andazzo quando, come in questo periodo, si succedono a raffica gli interventi pubblici delle Authority.
In una settimana o poco più abbiamo assistito a un vero tour de force. Hanno parlato l’Arbitro Bancario e Finanziario, l’Ufficio per l’Informazione Finanziaria e l’ABI, che ha anche festeggiato i suoi cent’anni. En passant vi è stata la celebrazione in Banca d’Italia del Governatore Ciampi in ricordo della sua attività emerita nell’Istituto.
Nelle settimane precedenti avevano parlato Consob, Banca d’Italia e altre Autorità per illustrare ciascuna l’attività svolta nell’ultimo anno. Il clou della stagione va da maggio a luglio, per riprendere un po’ diluita a ottobre. Se consideriamo anche eventi quali celebrazioni, forum, audizioni parlamentari e altro, il flusso delle esternazioni ufficiali è senza soluzione di continuità.
Una smania che percorre il Palazzo, passando anche da argomenti che portano taluni a chiedersi: “Ma che c’entra che l’esponente di quella Authority si occupi di temi tanto distanti dalle sue responsabilità istituzionali?” “O, almeno, perché non ci spiega meglio quali attinenze vi sono con queste ultime? Non capiamo il nesso.”
Qualcuno dirà che è un sistema perfetto di accountability e anche di moderna scenografia dei poteri tecnici. La documentazione prodotta è davvero monumentale, ma stentiamo a credere in un suo efficace utilizzo per la vita di tutti i giorni.
È un coro di voci singole a più tonalità. La sintesi è davvero difficile. Attenzione però! Non è una banale fiera delle vanità. Il linguaggio usato è un linguaggio politico, ricco di meta-segnali, di sofisticate espressioni, di dire e non dire, di autodifese, come avviene per il linguaggio del potere tout court!
Gli oratori di turno leggono le carte che si sono preparate, salutano e vanno via.
Non capita quasi mai che si sottopongano a domande dirette, magari in qualche talk show, mai che una rappresentanza di semplici cittadini venga invitata nei nobili palazzi e magari intervistata al termine della cerimonia per capire le sue impressioni. Sono forme di comunicazione unidirezionali, per l’alta dirigenza del Paese, per le élite.
Eppure si tratta dei cosiddetti corpi intermedi, della cerniera tra i cittadini e le istituzioni di vertice.
Che cosa abbiamo capito?
Quale paese hanno raccontato?
Che cosa il paese trattiene dei loro interventi?
I punti stereotipi della comunicazione
Proviamo brevemente ad addentrarci in alcuni punti nodali dei loro discorsi.
Un punto ricorrente è il tono autocelebrativo della propria attività. Dicono di aver realizzato al meglio gli obiettivi loro propri, corrispondendo pienamente alle esigenze del Paese. Sollecitano la politica, affermano di essere nel pieno controllo delle situazioni.
Nessuna autocritica, il tutto rimane un po’ indistinto. Il peggio è passato. Le banche sono più robuste. Il paese è solido. I problemi sono a macchia di leopardo. Il bicchiere è tautologicamente mezzo pieno e mezzo vuoto. Dobbiamo tendere a migliorare. I segnali di difficoltà si mescolano con quelli di fiduciosa attesa. Il messaggio conclusivo è arricchito con qualche citazione dotta per dare maggiore enfasi all’incoraggiamento a superare le fasi ancora critiche.
Anche la stampa fa spesso da cassa di risonanza a queste esternazioni senza aggiungere molto in termini di dibattito critico. Un pò come l’ipse dixit. Se l’hanno detto, sarà pur vero.
L’arena di questi dibattiti è elettivamente rappresentata dal debito pubblico, dalle autonomie regionali e dalle riforme bancarie. Il tutto avviene attorno alla “lotta dei decimali” (della crescita del Pil, del rapporto del Deficit/Pil e via dicendo). Non si capiscono le prospettive nelle quali il paese continuerà a vivere. Se rimarrà in questo limbo o riuscirà a darsi nuovo slancio.
Ci si offende per la violenza verbale nei confronti dei diversi, delle donne, dei neri. Senza il filtro delle istituzioni di mezzo il rapporto tra cittadini e politica si svolge sull’onda dell’emotività, delle grida manzionane, del dagli all’untore, al nemico, al diverso.
Ma anche linguaggi eccessivamente stereotipati possono avere effetti negativi, perché rischiano di essere funzionali soltanto all’autoconservazione delle oligarchie tecniche.
Siamo del parere che ogni sforzo in materia di educazione del cittadino, necessaria perché egli compia consapevolmente le proprie scelte, debba porre anche il tema della verifica della comprensione dei messaggi lanciati dalle sue authority.
In un paese che da lungo tempo ha scelto il cattolicesimo come modello sociale, inserendolo espressamente anche negli articoli della nostra Costituzione repubblicana, non c’è da meravigliarsi delle abitudini denunciate nell’articolo.
Come dei sommi prelati, i tanti responsabili delle Authority recitano sempre più i loro sermoni, cercando di evidenziare esclusivamente gli aspetti positivi del loro operare, nel coronare un mandato istituzionale riservato solo a “eletti”.
La laicità, in un tale contesto, costituirebbe quindi– se non proprio una bestemmia – uno sgarbo all’alleanza delle varie religioni/fazioni illuminate, impegnate all’unisono nel predicare, per indirizzare verso un fideismo dogmatico, che – per definizione – non potrà mai essere fallace.
Le tue conclusioni, Franco, sono amare, ma logiche.