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Quante volte ci capita di camminare distratti per strada, pensando ai nostri casi giornalieri, in cerca di soluzioni per liberarci da qualche dilemma? I passi si susseguono in automatico e gli occhi non vedono quello che si para loro davanti.
Ma l’occhio della mente è sempre attento e cattura le particolarità anche in forma inconscia e le rielabora rapidamente, facendole ritornare alla nostra consapevole percezione. Così possiamo anche fermarci d’improvviso e tornare sui nostri passi, seguendo un riflesso ritardato per cercare qualcosa che lì per lì ci è sfuggito.
L’altro giorno mi è capitato di trovarmi in uno stato simile di coscienza perduta e ritrovata, di fronte a una piccola immagine, una foto tessera abbandonata per terra, probabilmente caduta al suo distratto proprietario, nella necessità di prendere qualcosa dal portafoglio.
L’avevo già superata, ma un istante dopo mi sono fermato, sono indietreggiato e l’ho raccolta. Era lungo un marciapiede assai transitato, nei pressi del mercato popolare di Palermo, quasi adiacente al Palazzo di giustizia. Un individuo, ridotto ad immagine minima, solitaria in mezzo alle sue maestose istituzioni. Ho pensato.
Ritraeva il volto di un giovane uomo, a me del tutto sconosciuto. Era un po’ malridotta, poiché, già vecchia, era stata calpestata da altri passanti, che non avevano avuto il mio stesso desiderio. Indifferenza, inutilità del gesto o menti a effetto più lento della mia.
Io ho sentito quell’irresistibile impulso per il rispetto che, secondo me, merita ogni fotografia che ritrae qualcuno, in quanto testimonianza del tempo, passaggio effimero che merita di restare il più a lungo possibile vivo, prima dell’oblio.
Ho quasi vista la scena come un passaggio di consegne, una staffetta. Forse mi era stato affidato casualmente il ricordo di qualcuno perché lo potessi spingere un po’ più in là nella appartenenza al mondo.
Mi ripassa nella mente un mio vecchio appunto che recitava: “Fotografie: l’immagine di un momento che nel tempo che muta fissa un reale, destinato al ricordo. Paesaggi, volti, avventure, scene di vita, tante tessere destinate al domani per riportare alla mente la tua vita, ormai vissuta. E rivivrai quei momenti con tinte diverse di colori pastello, lontane mille miglia da ciò che l’immagine fa ora soltanto intuire e ti accorgerai che la vita è piena, anche se la mente te la mostra a volte vuota e inutile”.
Mi sento un foto-poeta gozzaniano. Pascoliano. Perché quei poeti di tanti anni fa nulla scrissero della fotografia che poteva fissare così profondamente i sentimenti più minuti e intimi? Volevano forse che rimanessero effimere e delicate sensazioni in versi, che la fotografia rischiava di rendere troppo reali e per sempre? Prima di sorprendermi a pensare che il poeta è il peggior nemico del fotografo, vi lascio.
Buona luce a tutti!
© Essec
spunti, di riflessione meravigliosa
Forte !