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Si può scrivere senza tastiera?
Sì. Il post che state leggendo non è stato digitato su una tastiera, ma è stato detto a un software di speech to text, cioè di sbobinamento al volo. Una tecnologia che, sviluppandosi, cambierà veramente il nostro comportamento e alcune abitudini consolidate per secoli. Come sa chiunque svolga un’attività creativa, o latamente creativa, uno spunto, un’ispirazione, un’idea può venire in qualsiasi momento della giornata o in qualsiasi situazione, anche poco opportuna.
Particolarmente propizi sono i momenti in cui si passeggia e la mente, ossigenandosi gradualmente, inizia a rilasciare materiale creativo. Quando questi momenti vengono, però, non sempre siamo in grado di fissarli nel modo opportuno. Alle volte non c’è lo strumento per farlo e l’illuminazione stessa tende a spegnersi in un attimo con il pensiero che corre già da un’altra parte.
Che si può fare per non perdere l’attimo fuggente? La cosa di più efficace è estrarre il telefono, o toccare lo schermo dell’orologio, avviare un’app, dire a voce alta il pensiero volante e memorizzare il file risultante, che può essere vocale o testuale, nel cloud.
Ci sono due modi per farlo. Il primo è quello di registrare un file audio e successivamente consegnarlo a un’applicazione che penserà a sbobinarlo in testo editabile con un qualsiasi word processor.
La seconda, invece, consiste nell’attivare immediatamente un’applicazione di speech-to-text che provvede a tradure la voce in caratteri, parole frasi e paragrafi. Sono due metodi parimenti validi. Personalmente preferisco il secondo, per l’immediata possibilità di editare il file che produce. Vogli avere la possibilità di correggerlo e ampliarlo subito con gli strumenti che solitamente uso per scrivere.
Ci vogliono solo 10 euro
Uno screenshot dell’applicazione Note durante la dettatura di un breve testo. Su iPhone 6s o successivi e iPad, si può dettare anche senza connessione a internet.
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Per la lingua inglese c’è già il delirio, per l’italiano ci stanno lavorando, anche se qualcosa c’è già. Per esempio io uso una delle più banali applicazioni che si trova preinstallata su tutti gli iPhone, Note. Note ha un’opzione di dettatura del testo che funziona egregiamente con materiale di breve durata. Si può anche dettare un testo a Siri e poi chiedergli di trasferirlo su Note.
Questo strumento serve per fissare un concetto, scrivere un paragrafo, buttare giù un’annotazione. Non si può dire a Note di trascrivere un intero romanzo.
In quel caso, bisogna ricorrere a qualcosa di più sofisticato. Forse è meglio registrare il parlato e poi darlo a un’app di sbobinamento specializzata in questo compito. C’è per esempio Descript ( per ora solo per l’inglese) che offre anche funzione di editing audio per ripulire la traccia sonora da trascrivere. Speriamo che arrivi presto anche per l’italiano.
Per la nostra lingua ci sono varie soluzioni che più o meno utilizzano lo stesso motore di trascrizione. Questo articolo ne descrive svariati sia per iOS che per Android. Il vantaggio di Note è che non necessita la connessione per lavorare.
Pensavo di essere uno dei pochi a sperimentare questa modalità un po’ bizzarra, ma efficacissima, di produrre dei testi in qualsiasi situazione mi venissi a trovare, a patto di ritagliarmi un momento di privacy in cui parlare allo strumento.
Poi sul” New York Times” mi sono imbattuto in un editoriale di Farhad Manjoo, il columnist media del giornale di New York, dal titolo “I Didn’t Write This Column. I Spoke It.”
Devo dire anche che la lettura del pezzo di Manjoo mi ha portato a riflettere sul fatto che questa modalità di scrivere parlando cambia anche in meglio lo stile e la qualità della scrittura. In meglio. In effetti è più fluida, colloquiale, spontanea ed efficace. Un’ennesima prova del fatto che la tecnologia cambia anche il contenuto.
E allora ho pensato di farvi raccontarvi direttamente da Farhad Manjoo la sua esperienza e le sue considerazioni. Il suo entusiasmo per quello che potrebbe succederci con un Internet vocale è in netto contrasto con il suo ultimo mood in fatto di nuove tecnologie. Un mood che ha veramente toni apocalittici.
Buone Lettura! (N.B.: se c’è qualche errore è colpa del software di trascrizione).
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Scrivere, parlando cambia anche lo stile
Alcuni mesi fa, ho iniziato un nuovo modo di scrivere. Non intendo tanto uno nuovo stile letterario. Intendo un nuovo metodo per fissare in parole e frasi, chiare e coerenti, i geroglifici che mi si formano nella mente.
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Ecco quello che faccio: invece di scrivere, parlo. Mi coglie un pensiero interessante — mentre sono in ufficio, lavo i piatti o guido? Oppure, come succede molto spesso di recente, mi arriva quando faccio lunghe camminate senza meta per i desolati marciapiedi suburbani della Silicon Valley? Bene, apro RecUp, un’app di registrazione vocale sul mio iPhone connessa al cloud. Indossando praticamente sempre cuffie wireless e microfono — sì, sono uno “AirPodder” — l’app registra la mia voce in alta fedeltà, mentre il mio telefono giace in tasca fuori dalla vista.
E così, a piedi, vagabondando per la città, scrivo. Ho iniziato a creare memo vocali per ricordare idee da utilizzare nei miei articoli e ho dettato brevi frasi. Quando, però, mi sono sentito a mio agio con questa pratica, ho iniziato a comporre frasi complesse, paragrafi e persino articoli interi, solo parlando.
Adesso arriva la parte magica. Carico queste registrazioni in Descript, un’app che si autopresenta come un “elaboratore di testi da audio”. Alcuni dei miei memo vocali durano più di un’ora, ma Descript rapidamente (ed economicamente) trascrive il testo, tronca i silenzi e le pause e rende il mio discorso modificabile e ricercabile.
Attraverso il software, i miei memo abbozzati sono trasformati in uno scheletro di scrittura. Il testo che Descript produce non è certo pronto per la pubblicazione, ma funziona come uno schizzo a matita: una prima bozza grezza che poi raffino nella vecchia maniera, su uno schermo, con tastiera e un sacco di lacrime e sangue.
Scrivere come un fotografo di strada ferma la realtà
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Scrivere, parlando, ha tranquillamente rivoluzionato il mio modo di lavorare. Ha reso la mia scrittura più colloquiale e meno ricercata. In modo ancor più sorprendente, ha ampliato la mia tavolozza cromatica: ora posso scrivere con la stessa facilità e immediatezza con la quale i fotografi fissano per strada un’immagine che li colpisce al momento. La maggior parte dei miei articoli recenti, incluse gran parte di questo, sono state scritte in questo modo: prima con la bocca, poi con le dita.
In ciò c’è qualcosa di più interessante della cronaca di un giornalista. Ho iniziato a scrivere in questo modo nell’ambito di una più profonda esplorazione della vita dentro quello che chiamo “internet senza schermo”. L’Internet senza schermo potrebbe diventare l’internet di domani, nel bene e nel male.
Alla fine dello scorso decennio, gli smartphone hanno liberato le nostre scrivanie dai computer, il che è stato, all’inizio, elettrizzante fino a quando ci siamo resi conto che stavamo scivolando in un’esistenza distratta e superficiale filtrata da un vetro. Ora, mentre stiamo raggiungendo le vette della videocrazia, si iniziano a vedere i contorni di un percorso differente, un percorso senza schermo.
Fine della videocrazia?
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Per iniziare a rispondere queste domande, ho cercato di fare a meno dello schermo. Due o tre mattine alla settimana, indosso le cuffie e un paio di comodi stivaletti da passeggio (Docs and Timbs sono i miei preferiti), poi mi metto in strada per camminare.
Il mio scopo è anche quello di capire che cosa riesco a combinare con la bocca e con le orecchie. Voglio farmi anche un’idea di come l’interazione con i computer, soprattutto parlando e ascoltando, possa cambiare il mondo dei computer e noi stessi.
Non ho problemi ad ammettere che il mio sperimento è insolito e alquanto bizzarro. Tuttavia, sono rimasto sorpreso da quanto può essere fatto senza uno schermo.
Come editorialista, trascorro grande parte della giornata ricercando e analizzando informazioni. Leggo le notizie, leggo riviste e libri e cerco di trovare fonti ed esperti per parlare di ciò che reputo interessante.
Il contenuto senza schermo è pure migliore
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Nel mio ufficio, farei tutto questo su uno schermo. Ma ora riesco a trovare tutte le notizie e le competenze nello screenless internet.
In effetti, per certi versi, il contenuto senza schermo è migliore. Podcast e audiolibri offrono quel tipo di esperienza che mi ricorda la blogosfera amatoriale del 2003. Cioè una discussione pacata e seria sulle notizie e sulle cose della vita. Una discussione che si percepisce più intima, meno acchiappaclick, meno partigiana e più autentica rispetto al web visuale di oggi.
Ed è anche più efficiente. Ascoltando a doppia velocità, posso consultare notizie e audiolibri in minor tempo e senza distrazioni inutili. Quando le informazioni mi giungono attraverso le orecchie, mi sento meno desideroso di cercare freneticamente qualcosa di nuovo, verso cui si viene incoraggiati nell’internet visuale.
Ci sono lettori che diranno che questo esperimento è sciocco e infantile, che la potenza degli schermi è tale che è follia immaginare un mondo senza di loro. Altri potrebbero suggerire che l’internet senza schermo, se arriverà, porterà i suoi specifici orrori: AirPodders dagli occhi spenti che parlano ad alta voce con assistenti robotici, mentre si muovono come zombi attraverso Times Square (come succede in “US” di Jordan Peele).
Sono consapevole di tali pericoli (e altri ancora da immaginare). Eppure più scrivo parlando, più m’innamoro perdutamente di un futuro senza schermo. Ciò che conta per me è in che misura, persino il mio metodo improvvisato, possa magicamente ridurre la distanza tra i miei pensieri e il computer.
Mentre questa distanza crolla ulteriormente — mentre i computer iniziano a capire il nostro discorso e quindi i nostri pensieri con sempre maggiore fedeltà — Internet cesserà di essere imbalsamato nel vetro. Tutto intorno a noi diventerà vivo e potrebbe essere magnifico.
O no?