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San Pietroburgo, appunti (confusi) di viaggio

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Dalle finestre del Castello di Peterhof

Tempo di lettura: quattro minuti. Leggibilità ***.

Una città simbolo

Visitare San Pietroburgo nelle settimane che separano l’inverno più duro dalla esplosione della primavera, che porta fino alle notti bianche, mi priva degli effetti delle stagioni estreme.

Quindi, al di là dei benefici di un tempo meteorologicamente più clemente e socialmente meno affollato, rimango con il dubbio di non aver colto il vero genius loci.

Non mi resta che andare a caccia di simboli, attraverso i quali, si è consumata la storia, splendida e tragica, della città.

San Pietroburgo è in effetti una città ricca di elementi simbolici, forse la più ricca di simboli artistici al mondo. È essa stessa un simbolo.

Il Cavaliere di Bronzo

Il simbolismo non è soltanto quello della sua origine artificiale, voluta all’inizio del Settecento dal Cavaliere di Bronzo Pietro il Grande, per celebrare la propria autocratica magnificenza e la voglia di congiunzione con il resto d’Europa.

San Pietroburgo è il punto dal quale la Russia ha, da allora, gridato simbolicamente al mondo il suo desiderio di Occidente.

È un’impressione che prende anche il visitatore occasionale, osservando le moderne propaggini dell’immensa area urbana e industriale proiettata verso il golfo di Finlandia.

Di questo anelito a mescolare la sua natura con quella di noi europei del West, la città ha dato ampia prova, importando nel tempo cultura, economia, architettura, scienza e tecnica.

Ne ha ricevuto in cambio diffidenza e avversione. Basti pensare alle invasioni subite dalla Russia: prima dalla Svezia di re Gustavo Adolfo, poi dalla Francia di Napoleone, quindi dalla Germania di Hitler. San Pietroburgo è il simbolo di uno slancio verso di noi che non sarà mai ricambiato, perché fatto di reciproche paure?

Vista sulla Neva dallo scalone dell’Hermitage

Poi ti prende la luminosità che nasce dal riflettersi dei maestosi palazzi sulla Neva e sui canali e dalle facciate barocche e neoclassiche dai colori celesti, verde acqua, bianchi.

Ti abbaglia l’oro delle statue e delle cupole, tirate a lucido, e ti confonde il richiamo alla fiamma delle candele dei pinnacoli di chiese e cattedrali.

San Pietroburgo è il bisogno di luce degli uomini? È il bisogno dei lumi della ragione?

Homo socialista

Non faccio in tempo ad inseguire altre banali elucubrazioni che mi vengono incontro i segni del socialismo, attraverso l’anonimato degli palazzi di pietra scura, dove l’individuo soccombe alla collettività chiamata a fare la storia.

Strano a dirsi, ma anche il mito dell’uomo di marmo comunista che per settanta anni ha tenuto in scacco l’homo faber capitalista ha bisogno degli stessi segni di maestosità, per dirsi davvero salvifico. La sfida di due sistemi antitetici è fatta anche a colpi di grandiosi simboli architettonici.

Stazione Metro di Avnovo

La linea rossa della metropolitana unisce al centro-città i quartieri più sovietici. Gli edifici pesanti e squadrati, le fabbriche circondate da un’aura di eroismo operaio, i palazzi costruiti col fervore del “tutto in comune” (le mense operaie, le scuole operaie, i dormitori operai, le aule operaie delle assemblee operaie) appaiono come residuati di archeologia ideologica.

Il sentiero sotterraneo che collega questi simboli si apre su lucide e surreali stazioni underground, di marmo, di bronzo, di vetro, definite da muscolosi colonnati e illuminate da mosaici non più bizantini, ma socialisti.

San Pietroburgo è il simbolo delle speranze impossibili delle esistenze collettive? Non so uscire dal dilemma e torno a più facili impressioni.

Mi lascio catturare dal superbo restauro delle magnificenze passate attraverso una minuziosa azione di rifacimento e di manutenzione, dopo le distruzioni dell’assedio tedesco dei 900 giorni e dei successivi decenni di trascuratezza necessaria per cancellare i simboli dello zarismo.

Cattedrale del Sangue versato

La cura delle regge, dei parchi, delle piazze, delle cattedrali e’ tornato ad essere il simbolo dell’orgoglio del patrimonio artistico culturale ritrovato. Il quale è gioco forza che di originale abbia potuto conservare ben poco. È il mito del falso-vero e del vero-falso?

Tutto deve tornare come prima. Come il ciclo delle stagioni, segnato dai mazzetti di verbena venduti nelle piazze da anziane contadine nella domenica precedente la Pasqua, come da noi l’ulivo da benedire. Nei grandi negozi dei Prospeckt migliaia di copie turistiche delle uova di Fabergè ti sommergono, come luccicante segno di rinnovamento.

                           Mosaici ortodossi e mosaici socialisti

Simboli ovunque

E infine ecco sullo sfondo stagliarsi il grattacielo più alto d’Europa, affacciato sul Golfo di Finlandia. È il simbolo del potere edificatorio presente, chiamato volgarmente, ma con sottile compiacimento, il pene di Putin. Ha una inquietante forma a missile e mi accorgo che è puntato verso occidente. Intelligenti pauca. A buon intenditor…

Il Lakhta Center, alto 462 metri

Mancherebbero a questo punto riferimenti ai caratteri simbolici degli abitanti. Quelli che fuoriescono dalle opere dei Dostojeski, dei Gogol, dei Checov, meschini e generosi, vittoriosi e sconfitti, comici e tragici, nascosti dietro le facciate dei palazzi nobili o nei quartieri più miseri. I personaggi che ci hanno fatto scandagliare le più recondite pieghe dell’animo umano.

Ci sono gite organizzate nei luoghi reali della fantasia letteraria. È un fascinoso tour culturale che purtroppo non ho il tempo di seguire.

Mi capita però di costruirmi un “fai da te” di questo originale tipo di escursione, recuperando nella mente un caso letterario forse meno noto: quello di Andrej Belij, autore di “Pietroburgo”, opera simbolista russa.

Qui di simboli se ne trovano, ovviamente, a iosa, un turbinio di simboli, che emergono dopo la sconfitta subita nel 1905 dall’impero zarista ad opera della nascente potenza giapponese.

La paura mai sopita dell’Oriente (gli invasori mongoli del passato?) risucchia lo slancio verso l’Occidente e trattiene la città sull’angosciante baratro degli eventi che si approssimano. Il Cavaliere di Bronzo, già dimostratosi inutile nel poema di Puskin, nulla potrà per proteggerla. La guerra perduta segna una situazione irreversibile anche nei conflitti del potere con il suo popolo, che porteranno al definitivo rovesciamento rivoluzionario.

All’interno del solenne palazzo che incrocio, immagino di intravedere l’alto burocrate protagonista della vicenda. Il quale, in uno sforzo ormai fuori dalla storia, lancia verso l’immenso impero, le “frecce di carta” delle sue circolari, nella illusione di impartire ancora ordini.

Le cariatidi di Pietroburgo

Poi mi imbatto nelle ampollose cariatidi scure che sostengono le facciate di alcuni monumenti.

E mi ricordo di quel passo che ne immagina le espressioni cariche di disprezzo e di disperazione, mentre sovrastano il “verme di folla” che si avvolge intorno ad esse, verso l’immancabile destino.

Balzo in avanti

Riesco ad uscire da questo meandro di cupi segni del passato.

Con un balzo di cent’anni, mi ritrovo nel più conosciuto e vivace luogo della città, la Prospettiva Nevski. Oggi è percorsa di giorno e di notte da rombanti macchine di grossa cilindrata dei neo ricchi che vi fanno teatro, ostentando i segni di un aggiornato materialismo. Il tutto avviene in un altrettanto visibile sovranismo slavo, che esclude la presenza di migranti provenienti da altre culture.

Poi vengo travolto dalle prime ondate di stagione di turisti cinesi, che rapidamente si accalcano e altrettanto rapidamente spariscono davanti a tutto ciò che viene loro mostrato dalle guide. Sciamano in un forsennato consumo di Occidente, con espressioni di meraviglia e di compiacimento a vocali aperte.

Si ripresenta la sindrome dell’Oriente che incombe? È l’ossessione di sempre, sotto più moderne vesti? Prima del temuto assalto finale. Ma si può storicamente vivere così?

Ma no! Questa volta l’orientale di turno non sembra affatto bellicoso. Ha denari da spendere e vuole costruire strade, non palazzi imperiali per insediarvi propri emissari. Assicura di voler solo pacificamente trafficare, mentre l’occidentale di turno giuoca di sponda per i propri interessi elettorali.

Mi balza in testa un pensiero. Che San Pietroburgo sia il simbolo delle città d’Europa che vivono nella paura degli altri, per non impegnarsi in soluzioni all’altezza dei propri problemi?

Ma non voglio certo buttarla in politica. Dopo tutto le mie non sono altro che sconclusionate note di viaggio!

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1 COMMENT

  1. Quanti risvolti nascosti nella storia di una citta’ avamposto, creata al confine di mondi diversi e diffidenti che da sempre vogliono incontrarsi.

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