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Quelli del titolo sono argomenti che non sembrano avere nulla in comune. Eppure sono espressione del nostro modo di vedere le cose. Incline spesso al provincialismo e al narcisismo, come se fossimo costantemente al centro del mondo.
Iniziamo dalla Juventus la squadra di casa Agnelli. Anni fa un amico, storico dell’economia, mi mostrò che la Juve vinceva gli scudetti quando l’economia andava male. Era, arrivò a dire, una sorta di contentino per le plebi meridionali che lavoravano, o meglio che erano in cassa integrazione, nelle aziende della famiglia. Una sorta di rinnovato panem et circenses. Forti in campionato, ma non abbastanza forti sul piano internazionale, dove imperversavano il Milan di Rivera e l’Inter di Mazzola.
Con l’Ajax il ciclo si è concluso ancora una volta negli stessi termini. All’Allianz Stadium è andata in onda una manifestazione della grande bellezza del calcio, grazie alla squadra olandese.
Si è visto infatti il calcio che verrà, fatto di classe, velocità e voglia di vincere. Giocano così coloro che sanno che il calcio, come la vita, è fatto di momenti, non di tatticismi: ora perdi, ora vinci, nell’arco di 90 minuti.
La Juve, nel periodo della più lunga recessione del dopoguerra, ha vinto 8 scudetti consecutivi, ma zero tituli in Europa.
I mancati record esteri sono dunque inversamente proporzionali a quelli macinati in casa.
Ha monopolizzato il campionato e costretto a trovare antagonismi sportivi a livello del secondo posto. Prima di Natale già sappiamo che vincerà lo scudetto a maggio. Non sembra il modo migliore per allargare le platee di tifosi.
Dal 2008 a oggi, la Juve ha partecipato o alla Champions League o all’Europe League arrivando due volte in finale di Champions per perdere entrambe le volte contro squadre spagnole.
Nella classifica di sempre per vincere due Coppe ha disputato ben nove finali. Un dispendio di energie e di risorse senza pari tra le squadre europee. Gli addetti ai lavori hanno parlato di una vera maledizione che incombe sulla squadra. Forse per nascondere difetti di governo sportivo e/o societario che si manifestano nei momenti cruciali delle competizioni europee.
Quasi nello stesso periodo, molte banche italiane hanno avuto esperienze per certi versi similari.
Anche esse sono state osannate in patria, come solide e ricche di futuro, per uscire poi malmesse nelle disfide europee.
Bankitalia e CONSOB hanno dichiarato di aver fatto sempre il possibile, ma che se le regole cambiano in sede europea non possono farci granché.
Molti hanno puntato il dito sui vertici europei che non ci hanno aiutato. Altri sulla pur pesante recessione economica che dura da anni. Pochi invece si sono rammentati di come correva il credito nei primi anni 2000. Correva più del PIL e degli investimenti produttivi. Alla fine della corsa ci siamo ritrovati con montagne di sofferenze e decine di migliaia di risparmiatori che hanno perso soldi e fiducia nelle banche e nei loro controllori. Come nella compagine juventina, non si è sentita una parola di autocritica.
Dove è il legame tra le due vicende? Beh, come abbiamo detto all’inizio, nello spirito narcisistico e autoreferenziale con cui guardiamo tanto le partite quanto le nostre banche. Siamo sempre i più bravi e sono gli altri che non ci capiscono e non sanno apprezzarci.
Come la strega di Biancaneve interroghiamo lo specchio magico perchè sappiamo che ci dirà sempre che siamo i più belli del reame. Ci accontentiamo di noi stessi e così facendo non riusciamo mai a fare un passo in più. Per essere competitivi nel calcio, che per decenni pure abbiamo insegnato al mondo intero e nelle banche, che pure abbiamo inventato secoli fa, tra Firenze, Napoli e Venezia c’è bisogno di maggiore consapevolezza circa le nostre forze effettive.
Chissà quante critiche mi attirerò con queste poche parole!
Complimenti per lo scritto, in apparenza leggero, ma che sottintende a stili e a modelli che alla lunga non pagano.
Da innamorato e fedelissimo della mia pazza Inter e pure da ex appartenente a una di quelle importanti istituzioni citate, oggi fortemente ridimensionate e in “decadenza”, concordo in pieno sull’analisi sportiva e sposo pienamente il parallelismo accennato.
Complimenti ancora!