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Nella Atene di Socrate, tre parole chiave si trovavano tra loro associate in filosofia: realtà, verità, bellezza. Nel lessico di Socrate i gentiluomini erano i cittadini devoti (cioè interessati al bene della città), mentre i filosofi erano cittadini interessati alla buona vita. Gli uni e gli altri erano orientati, più della generalità degli esseri umani – e in opposizione ai sofisti – alla ricerca della verità
Nelle città delle società chiuse e tradizionaliste la maggior parte delle persone riusciva a vivere, “stando al di qua”, con i paraocchi di uno sguardo corto, delegando ad altri il compito di guardare lontano.
Nelle città delle società aperte e innovative, lo sguardo aperto è necessario sia ai singoli sia ai gruppi dirigenti di una comunità per realizzare mediazioni, compiere scelte e prendere decisioni, affrontare rischi e costruire progetti di vita.
Perché nulla o quasi è meccanicamente garantito. Perché gli individui si fanno soggetti, diventano liberi e sono responsabili delle loro scelte. Con i doveri consequenziali a tali scelte.
Le città contemporanee possiedono una diversità sociale, economica, culturale, dove è forte la tendenza a chiudersi in piccole patrie con traiettorie biografiche e quotidiane che tendono a diversificarsi senza mai incontrarsi, data la forte spinta individualista.
Le vite di coloro che oggi abitano le città solo occasionalmente si incontrano, perché le funzioni urbane sono separate. Si tende a neutralizzare le differenze eliminando quegli spazi ambigui nei quali si può imparare a fare uso produttivo delle diversità interculturali.
Il valore sociale degli spazi
All’opposto, il valore politico della spinta all’integrazione consiste nella necessità di spazi opportunamente organizzati con esercizi commerciali, siti produttivi, luoghi culturali e altri segmenti di offerta. C’è una funzione sociale di spazi pubblici che appartiene alla storia delle città italiane, ed è quella di essere microclima prorelazionale, crocevia di scambi e interazioni che poi sono il motore dell’innovazione politica, culturale e socioeconomica.
Cambiare la geografia politica delle città significa innovare il mercato del lavoro costringendo gli amministratori locali ad aguzzare l’ingegno, escogitando soluzioni concrete.
I modelli distrettuali centrati sulla città metropolitana saranno il cuore dello sviluppo verso una dimensione sostenibile e inclusiva, capace di portare benefici e trovare soluzioni in grado di risollevare l’economia, di rilanciare la competitività e, cosa non da poco, di far funzionare il sistema politico.
Su quali variabili? La dimensione abitativa, la collocazione geografica, le infrastrutture fisiche e immateriali, le reti di imprese, l’università, la ricerca, la sostenibilità, il verde e il tempo libero, la stessa forma e l’immagine della città. Dentro una cornice di servizi capaci di creare valore oltre che reddito.
Una tesi sulle città metropolitane
E’ la tesi sostenuta nel libro di Bruce Katz e Jennifer Bradley,The Metropolitan Revolution: How Cities and Metros Are Fixing Our Broken Politics and Fragile Economy (2014, €17,20, pagg.278).
Tra la crisi economica e l’incapacità della politica imprigionate tra dimensione globale, nazionale e locale, la città metropolitana può essere un’opzione efficace.
Ma tutto ciò può realizzarsi in un’armonia anche conflittuale dentro un rapporto sinergico tra innovazione, imprese, capitale sociale umano e risorse, per il rafforzamento del dovere collaborativo.
Il dovere collaborativo si può realizzare nel coinvolgimento di una pluralità di attori sociali che popolano l’ambiente urbano, nel quale e attraverso il quale si agisce. Essi possono favorire od ostacolare gli scopi, le strategie o le tattiche, che la convivialità collaborativa ambisce a perseguire.
Ciò non deve avvenire come rivendicazione egotistica di diritti.
Piuttosto capacità di pensare il nostro ruolo come un percorso fatto di apprendimento e di competenza, cioè di “riflessività in azione”, di allenamenti, di trial and error continui, come di aspirazioni costantemente coltivate.
Affinché la sfera pubblica possa essere il luogo sociale nel quale si formano le opinioni non è necessaria solo la presenza attiva di cittadini genericamente informati, bensì di cittadini capaci di percepire e di ragionare sull’agenda dei temi e dei problemi all’ordine del giorno. E magari di condividere valori comunitari più o meno ampi, in grado di nutrire fiducia nei riguardi delle istituzioni che sorreggono la vita sociale della comunità.
Investire su nuove opportunità culturali è un impegno decisivo per individuare occasioni in cui mettere in scena nel paesaggio urbano le passioni legate al percorso formativo, al lavoro, ai consumi e alle pratiche culturali.
In questi casi, la politica diventa esperienza consapevole che “misura” la capacità di imparare, di attivarsi, di costruirsi un abito fatto di curiosità, di desideri, di voglia di prendere e di dare, di diventare individuo libero e cooperativo. In questi casi la velocità, la capacità di essere veloci, è conseguenza dell’esperienza.
Nuove responsabilità d’impresa
Nel superamento del dualismo oppositivo centro/periferia, i modelli distrettuali centrati sulla città metropolitana potranno essere il cuore di uno sviluppo sostenibile e inclusivo, se saranno capaci di mettere in relazione le competenze interculturali, escogitando soluzioni connesse all’innovazione tecnologica, al progresso economico e a migliori standard di vita, nel rafforzamento della partecipazione democratica.
In molte contesti metropolitani iniziative in questo senso sono già in atto come quelle legate a nuove tipologia di imprese per le quali è necessario cambiare le regole e il diritto relativi al principio della responsabilità. Un imprenditore che si rifiuta di fare l’interesse degli azionisti, quando ciò va a discapito dei lavoratori e dell’ambiente sociale può essere tutelato per legge.
Vanno in questa direzione anche i modelli di governance ibrida come quelli Community enterprises, in cui soggetti differenti, pubblici e privati hanno come scopo ”il reinvestimento dei profitti nel perseguimento di obiettivi sociali che sono rivolti alla comunità di riferimento”. Ne è esempio la trasformazione di spazi urbani fuori uso in quartieri economicamente autosufficienti. In quegli spazi, lavoro industriale e artigianale, studio, coworking, housing sociale , lean manufacturing possono convivere.
Solo solo due tra i tanti esempi di economia collaborativa e circolare correlati ai concetti di sostenibilità sociale, economica, ambientale e istituzionale tesi al rafforzamento delle reti tra comunità locale e istituzioni pubbliche e private.
Prototipi urbani, “abitabili” e “produttivi” che suggeriscono come la ricchezza che gli individui hanno creato quando si ritrovano fisicamente insieme nella densità dei rapporti sociali e delle differenti competenze, non debba corrispondere necessariamente alla crescita dello stress quotidiano, dell’inefficienza e dei conflitti.