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L’Europa e l’ipocrisia dei paradisi fiscali

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La prossima settimana vi sarà un’importante riunione dei Ministri delle Finanze a Bruxelles. Lo scopo è di rivedere la lista dei paradisi fiscali. Essa fu varata per la prima volta nel 2017. Fu una data importante anche se molti criticarono la larghezza con cui l’Europa giudicava i paradisi fiscali. Da un lato, la UE promuoveva politiche di austerità al suo interno. Dall’altro, mostrava scarsa attenzione per quei paesi specializzati nell’elusione fiscale a livello mondiale.

L’ONG OXFAM ha pochi giorni fa pubblicato un interessante report sull’approccio europeo ai paradisi fiscali. La premessa è che nel 2017 la UE, in risposta a numerose e scandalose rilevazioni, ha lanciato anche una revisione della propria lista di paradisi fiscali. Lista che si compone di una blacklist e di una grey list.

Ad oggi solo 5 paesi sono sulla lista nera: American Samoa, Guam, Samoa, Trinidad and Tobago e The US Virgin Islands. 63 paesi sono invece sulla grey list. In questo secondo caso, i governi si sono impegnati a riformare le proprie regole in merito alle incerte pratiche fiscali applicate finora.

OXFAM rivela anche che Bahamas, Bermuda, the British Virgin Islands, the Cayman Islands, Guernsey, Hong Kong, the Isle of Man, Jersey e Panama saranno forse tolti dalle due liste. Alcuni di questi paesi erano al centro di scandali fiscali, emersi dalla documentazione dei Paradise Papers e Panama Papers.

Ancora più curiosamente notano che paesi come Cyprus, Ireland, Luxembourg, Malta e the Netherlands rientrerebbero a pieno titolo nella lista nera. Non lo sono perché hanno ricevuto una clausola di esenzione automatica. Vale a dire che non sono paradisi fiscali per definizione anche se ne posseggono le caratteristiche.

Questo è il traballante e frammentato quadro giuridico. Esso ha permesso alle multinazionali di spostare, nel solo 2015, 530 miliardi di dollari profitti verso giurisdizioni compiacenti. Un terzo di questa somma arriva direttamente nei paesi europei prima richiamati.

Il buco finanziario causato da questa evasione priva paesi ricchi e paesi poveri di risorse consistenti. Le stesse che potrebbero essere impiegate nei sistemi sanitari e nell’educazione scolastica. Povertà, diseguaglianze di genere, privazioni di servizi essenziali sono le ricadute di questi fenomeni.

Il rapporto prosegue sulla metodologia usata per giudicare la situazione dei paesi, le raccomandazioni, i miglioramenti attesi. A criteri tecnici oggettivi, si affiancano valutazioni e pressioni di natura politica. Per esempio, Svizzera e USA sarebbero stati esclusi per queste circostanze.

In definitiva, rapporti di questo tipo sono utili. Fanno capire a tutti le difficoltà in cui ci si dibatte quando si parla di tasse e fisco. In queste materie sembrano contare, più che l’etica e la correttezza, i rapporti di forza tra le giurisdizioni. Le esenzioni sono molte. Sono soprattutto i piccoli paesi a finire nella rete dei regolatori.

La cosa interessante del rapporto è che mette in relazione la perdita di gettito di paesi come l’Italia, la Francia e la Spagna con i possibili miglioramenti. Per le somme in gioco si otterebbe un migliore welfare per le famiglie e le persone. Ciò non avviene anche ad opera di altri paesi europei.

E’ una concorrenza sleale tra paesi dell’Unione. Oggi siamo in procinto di eleggere i nostri politici al Parlamento Europeo. Speriamo che questi temi entrino con forza nella campagna elettorale. In verità, restiamo molto scettici.

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