Tempo di lettura: quattro minuti. Test di leggibilità **.
Premessa
Vivere delle realtà impreviste è molto più facile di quanto si pensi. In vero vale ancora quel racconto di Goethe nel suo viaggio in Italia, laddove parlando di Palermo, si sofferma sulla abitudine araba della pulizia domestica.
Si riferiva al fatto che ognuno tendeva a mantenere linda la propria abitazione mettendo fuori dal suo uscio tutto ciò che riteneva sgradito. Le piogge avrebbero provveduto a spazzare le strade e a ripulire le vie. In verità poco è cambiato da allora, nel senso tanto materiale quanto metaforico.
Limitandoci al secondo aspetto, la questione è quella dei rapporti con il diverso da noi.
L’altro, chi è fuori dal nostro clan, in realtà ci interessa poco e men che meno ci interessa capire realtà differenti dal nostro costume. Il quale, anche se colto, resta comunque fondamentalmente “tribale”.
Forse, anche per pigrizia, siamo portati a vivere seguendo fondamentalmente le comode abitudini quotidiane, con tutti i preconcetti culturali che derivano dagli insegnamenti ricevuti, sia familiari che scolastici.
La prima tematica sociale che nei miei ricordi è più viva fu prodotta dal film “Indovina chi viene a cena”. È un film del 1967 diretto da Stanley Kramer, interpretato magistralmente da Katharine Hepburn, Spencer Tracy, Sidney Poitier e Isabel Sanford. Per la prima volta, veniva portato alla ribalta il problema dell’integrazione e, in particolare, quello dei matrimoni misti.
Un esempio è scoprire realtà ordinarie che nella vita di ogni giorno ignoriamo o vogliamo disconoscere. Come ritrovarsi in una corsia di ospedale, per accorgerci di quanti stanno percorrendo uno stesso calvario, compresi gli appuntamenti periodici con la morte. Altri esempi possono farsi al riguardo. Meglio mettere la testa sotto la sabbia e non vedere, non ascoltare.
Denominatore comune è in ogni caso la fobia, il rifiuto; la diffusa paura del diverso, allontanato e spesso ignorato, almeno fino a che un analogo accadimento non ci tocchi.
Un utile insegnamento che ho fatto mio è sempre quello di cercare di immedesimarsi, di comprendere le ragioni della controparte, di non sentenziare opinioni senza prima avere cercato di capire. Ciò significa anche non condividere, ma solo dopo una attenta e onesta analisi, secondo le proprie capacità. Seguendo questa logica mi piace riproporre un recente scritto di Marilena Grassadonia, Presidente dell’Associazione Famiglie Arcobaleno, come una storia d’impresa, la storia di un’impresa sociale e culturale. Salvatore Clemente
Una storia diversa
“La storia della nostra associazione è molto legata alle donne.
Famiglie Arcobaleno nasce nel 2005 grazie a dieci donne che ebbero il coraggio di sfidare i luoghi comuni, le costrizioni sociali. Donne che, soprattutto, ebbero il coraggio di guardare in faccia i loro sogni. Dieci donne lesbiche, alcune già madri altre che desideravano esserlo, decisero di regalarsi un’occasione, quella di essere sé stesse.
E allora capirono che la strada giusta da percorrere era una soltanto, che poi è la stessa di oggi: confrontarsi, riflettere, approfondire, non dare nulla per scontato e provare ad andare sempre un po’ oltre. Dopo avere parlato tra loro, il passo successivo era “uscire fuori”.
La prima cosa da fare era uscire da quel cassetto con su scritto “siete sterili”, in cui noi gay e lesbiche siamo stati richiusi per anni.
Era arrivato il momento di riappropriarci delle nostre storie e di raccontare al mondo che gay e lesbiche sono genitori da sempre. Ma era anche arrivato il momento di andare oltre, di prendere il coraggio con due mani e di cominciare a scrivere nuove storie, “banalissime” storie d’amore di gay e lesbiche che si scelgono, si innamorano e decidono di fare insieme un percorso consapevole verso le genitorialità. E fu così che nacquero altre dieci, cento, mille storie da raccontare al mondo con orgoglio e trasparenza.
Perché è questa la conquista più grande e che si è trasformata in arma vincente: la visibilità, metterci la faccia. Raccontarsi con orgoglio, dare alla gente la possibilità di conoscere la realtà delle nostre famiglie che sono semplicemente uno dei tanti esempi di come la società cambia e la famiglia si evolve. Dare alla gente quegli strumenti di conoscenza che aiutano a costruirsi un proprio pensiero, oltre i pregiudizi e le teorie. In una parola fare cultura.
E in questi dodici anni le famiglie arcobaleno hanno fatto questo: si sono raccontate e, raccontandosi, si sono inserite in maniera assolutamente naturale nel tessuto sociale di questo Paese. E, se la gente oggi non sgrana gli occhi quando si trova davanti una coppia di mamme o di papà, lo dobbiamo solo al nostro lavoro quotidiano fatto di vita nelle scuole, in famiglia, nel quartiere, nelle piazze.
Ma la strada per il pieno riconoscimento dei nostri diritti e soprattutto dei diritti dei nostri figli e delle nostre figlie è ancora lunga.
E per andare avanti una delle cose principali è rendersi conto della propria forza. Per fare questo dobbiamo ogni tanto volgere lo sguardo dietro le nostre spalle e leggere la nostra storia, leggere la storia del movimento Lgbti, leggere la storia delle lesbiche e dei gay di questo Paese. Dobbiamo farlo per ricordarci di quanto siamo donne e uomini in gamba e di come ciò che oggi abbiamo ottenuto, in termini di visibilità e riconoscimento sociale, lo dobbiamo solo a noi, al nostro coraggio, alla nostra determinazione.
E, volendo riguardare alla storia della nostra associazione, non posso non raccontarvene un momento cruciale. Il momento in cui le donne di Famiglie Arcobaleno hanno capito, a un certo punto del percorso, che essere genitori era qualcosa che accomunava tutti e che accogliere in associazione gli uomini gay, già padri o che desideravano esserlo, con le loro storie sarebbe stata un’occasione di arricchimento per tutti e tutte. Ed è così che gay e lesbiche hanno cominciato quel percorso che continua ancora oggi e che rende la nostra associazione un luogo unico di confronto, di sostegno reciproco e di arricchimento continuo.
Grazie ai nostri papà gay abbiamo conosciuto donne straordinarie, provenienti da altri Paesi e da altre culture. Donne che ci hanno raccontato i loro percorsi di gestazione per altri. Noi quelle donne le abbiamo ascoltate con attenzione, accostandoci a loro senza pregiudizio, con il massimo rispetto e avendo come unico obiettivo quello di entrare dentro la loro storia e cercare di capire. Ed è questa l’unica cosa da fare per capire fino in fondo di cosa stiamo parlando. Ascoltiamole queste donne e ridiamo forza alla libertà di pensiero e all’autodeterminazione.
Ho una presunzione: quella di essere convinta che siamo noi donne a doverci assumere la responsabilità di essere alla testa di quel percorso che porterà a un miglioramento sociale e al riconoscimento di sempre maggiori diritti nel nostro Paese. Di quel percorso che deve tenere conto della realtà delle cose e del cambiamento culturale in atto.
Non è un caso se in Parlamento, durante il terribile e aspro dibattito sulle unioni civili, siano stati di donne gli interventi più illuminanti in cui hanno trovato posto pensieri di civiltà e umanità. E allora riguardiamo la nostra storia e riprendiamoci quel ruolo, troppo spesso dimenticato, di donne che lottano per rendere questa società un posto migliore dove vivere. Dobbiamo farlo per tutti e tutte, per i nostri figli e le nostre figlie. Riprendiamoci quel ruolo di donne che lottano fino all’ultimo respiro per affermare la propria autodeterminazione. Siamo state capaci di essere “azione” nella lotta per la conquista di leggi che sono simboli di civiltà: la legge sul diritto di voto, la legge sul divorzio, la legge sull’interruzione volontaria di gravidanza.
Abbandoniamo l’idea della “donna madonna”. Non siamo donne in ostaggio degli ormoni. Siamo donne con un pensiero, siamo donne che vogliono poter decidere cosa fare del proprio corpo. Vogliamo poter accedere alle tecniche di Pma sia come coppia lesbica che da single, etero e lesbica, perché la legge 40 ,simbolo dell’ipocrisia e del maschilismo di questo Paese, è una legge scandalosa e che va riscritta.
Difendiamo, allora, questa libertà di pensiero e difendiamo anche la libera scelta di quelle donne che decidono di portare avanti una Gpa. Non ci ergiamo a depositarie di chissà quale verità. Non abbiamo la presunzione di decidere noi per altre donne. Discutiamo per legalizzare la Gpa, affrontiamo il tema, parliamone, approfondiamo. Non è con il proibizionismo che si risolvono le situazioni complesse e delicate.
Ascoltiamoci, liberiamoci da pregiudizi, scendiamo dai piedistalli. Confrontiamoci con intelligenza e facciamo ancora una volta squadra, così come noi sole sappiamo fare, per far fare a questa società un passo in avanti verso la civiltà e i diritti veri e pieni. F.to Marilena Grassadonia, Presidente Nazionale Famiglie Arcobaleno“