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L’agenda nascosta di Davos

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Tempo di lettura: due minuti. Test di leggibilità **.

In un precedente articolo abbiamo raccontato di alcuni effetti sulla società americana della espansione dei big del settore high-tech. In particolare, nell’area di Seattle, sede di Microsoft ed Amazon, la crescita ha causato esternalità negative, alquanto diffuse. Per i loro dipendenti una casa da acquistare o da affittare ha prezzi sempre meno accessibili.  Per ovviare a questi problemi, le due grandi corporation hanno deciso di intervenire direttamente con progetti di housing sociale. Ciò allo scopo di non creare ostacoli alla ulteriore crescita dell’occupazione.

In un altro editoriale da Davos, il New York Times ci racconta l’agenda nascosta del World Economic Forum di quest’anno, che si indirizza verso prospettive di tutt’altra natura. Evento planetario che si tiene nel piccolo ed esclusivo centro delle Alpi Svizzere, famoso anche per le temperature polari, Davos è un pò come il Festival di Sanremo da noi. La storia che abbiamo letto è però inquietante e poco adatta per l’intrattenimento serale.

In sostanza, i grandi manager a Davos si sarebbero detti di voler decisamente sostituire il lavoro umano con le macchine, i robot. Niente di nuovo, in verità. Solo che non amano parlarne in pubblico. L’intelligenza artificiale sarà la vera svolta della 4a Rivoluzione industriale, la variabile chiave per resistere nella competizione globale.

Per correttezza politica di questo tema si parla poco, ufficialmente. Il linguaggio è molto attento e cortese. Si dice di voler liberare l’uomo dalla fatica del lavoro. In modo meno diretto, si parla di trasformare il modo in cui si fa industria, avviandolo verso la digitalizzazione di buona parte delle fasi di lavoro.

Uno studio del 2017 di Deloitte ha in effetti evidenziato che il 53 per cento delle compagnie interpellate ha già iniziato a usare le macchine per sostituire in modo massiccio il lavoro umano. Per i prossimi anni la percentuale dovrebbe salire al 72 per cento per coloro che realizzeranno la Robotic process automation (RPA). 

Per essere chiari, quando si citano le digital workforce il riferimento è ai robot.

Il trend potrebbe essere inarrestabile per gli elevati tassi di profitto connessi a queste trasformazioni. IBM e UBS stimano in centinaia di miliardi di dollari il valore di questa florida industria di passaggio al digitale. Secondo altre stime, il 40 per cento dei lavoratori potrebbe essere sostituto entro i prossimi 10 anni.

La situazione potrebbe non essere così drammatica sotto il profilo dei posti di lavoro che andranno persi. Si possono prevedere di corsi di riqualificazione per chi viene espulso dalla filiera produttiva, per essere reindirizzato ad altre occupazioni. Un processo quanto meno impegnativo e probabilmente mai affrontato nella storia economica del capitalismo.

Al di là delle inevitabili esagerazioni, il quadro ora delineato è preoccupante poichè i costi di questa trasformazione verrebbero accollati alla finanza pubblica. Non sarebbe certo l’industria a farsi carico di chi perde il proprio lavoro. Aumenterebbero a dismisura le già elevate diseguaglianze sociali. Le ricadute si farebbero sentire nell’alimentare sentimenti anti elitari e populisti. Il dilemma, non ancora risolto, è se la robotica porterà più prosperità per tutti o più ricchezza per pochi. E alla fine ci dovremmo anche chiedere a quali condizioni la robotica possa andare d’accordo con la democrazia.

Difficile dire quale componente finirà per prevalere nello scenario mondiale. Se il modello Seattle che sembra farsi carico, beninteso anche per tornaconto delle grandi imprese, delle condizioni di vita dei lavoratori della zona, preoccupandosi del loro welfare. O quello dell’Agenda nascosta di Davos, secondo il quale i robot potranno presto iniziare a espellere lavoratori in misura massiccia.

Sono questioni di interesse per tutti. Dovremmo affrontarle anche nel nostro Paese, in ragione del declino industriale di cui si parla sempre più spesso.

Sembra invece che manchi realmente la voglia e il tempo di discuterne.

Speriamo che, passata la fase degli annunci e delle promesse elettorali, ci si apra ad aspetti più di fondo, che riguardano lo sviluppo economico del nostro paese. Rimanere ancorati al reddito di cittadinanza e a quota 100 per le pensioni significa non mettere a fuoco le necessità di riconversione di molti settori produttivi e imboccare forse irreversibilmente la strada della decrescita che non potrà essere felice. Non possiamo escludere che la corsa globale a certe trasformazioni ci veda sempre più emarginati.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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