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Mecenati moderni
Ci sono persone che amano servire la cultura piuttosto che servirsene. Così scriveva Giulio Carlo Argan, critico d’arte, accademico, politico, sindaco di Roma degli Anni Settanta.
Il patrimonio artistico di un Paese è la testimonianza del suo passato, l’immagine del suo popolo. La cultura è l’unico bene che, diviso fra tutti, anziché diminuire, può solo divenire più grande.
Probabilmente a questo pensò un’illuminata donna del settecento fiorentino, Maria Luisa dei Medici, l’Elettrice Palatina, quando sottoscrisse il Patto di Famiglia. Con esso dispose che tutto il patrimonio artistico mediceo fosse esclusivamente di Firenze e dei suoi cittadini.
Ci sono stati, sempre in Firenze, altri importanti lasciti artistici a beneficio pubblico. Uno fu del grande collezionista Stefano Bardini all’inizio del Novecento, un altro di Rodolfo Siviero sul finire del secolo.
Il patrimonio artistico dell’umanità ha bisogno di continuo e costante impegno per essere protetto e tramandato.
Con l’arrivo del nuovo anno, Eike Schmidt, direttore degli Uffizi, ha pubblicato un appello per la restituzione di un quadro trafugato dai nazisti durante la Seconda Guerra Mondiale, di proprietà del Museo fiorentino.
Si tratta del Vaso di Fiori, una natura morta del pittore olandese Jan Van Huysum. Sembra che il governo di Angela Merkel si stia adoperando fattivamente per il buon esito dell’operazione
Un passato di spoliazioni
Il nostro passato ha assistito a spoliazioni di opere d’arte da parte di Napoleone ai primi dell’Ottocento e dei nazisti durante la seconda guerra mondiale, quando furono sistematicamente attuati trasferimenti forzati di capolavori di inestimabile valore.
Le SS in Italia avevano infatti l’incarico di convogliare su Berlino le opere dei secoli d’oro della pittura italiana, per creare una inestimabile pinacoteca.
Questo massiccio saccheggio avvenne a partire dal 1943. Guidava l’impresa il colonnello delle SS, professore, archeologo, esperto d’arte italiana, dirigente del Kunstschutz, Alexander Langsdorff.
Egli, con la complicità di alcuni gerarchi fascisti, consentì anche ad appartenenti a SA, SS e partito nazionalsocialista di impossessarsi di opere non alienabili in quanto di proprietà dello Stato italiano. Firenze fu terreno di caccia per eccellenza di quell’azione predatoria.
Fortunatamente molte di esse, presenti nei musei e nelle chiese, furono abilmente occultate nelle intercapedini di palazzi storici e nelle gallerie sconosciute ai più, come quella che, passando sotto l’Arno, collega il Palazzo di Bianca Cappello in via Maggio con Palazzo Pitti.
Fu anche grazie ad alcuni personaggi chiave che gli intenti tedeschi in parte fallirono.
Basti ricordare Rodolfo Siviero, agente dei servizi italiani nel ventennio fascista. Era venuto a sapere fin dagli inizi del conflitto che i nazisti avevano segretamente costituito un’organizzazione per prelevare opere d’arte. L’istituzione, voluta da Himmler e chiamata Kunstschutz, Sicurezza per l’arte, avrebbe operato senza consultarsi con lo Stato Maggiore della Wermacht.
Si creava in apparenza un ufficio per la “protezione artistica”. Era nei fatti una vera e propria organizzazione per la spoliazione del patrimoni culturali dei paesi invasi. In Italia significava anche ritorsione per l’alleanza tradita.
A ben vedere era un sistema antico, che consisteva nel porsi come tutore di un valore nazionale, per poi esportare il tesoro, in modo che “fosse al sicuro” in caso di eventi non prevedibili.
Si stima che passarono per le mani del Kunstshutz circa 700 mila opere d’arte dei paesi occupati. Solo per la città di Firenze il numero superò le 300, facenti capo ai massimi artisti italiani. Dipinti di Botticelli, Michelangelo, Donatello, Tiziano, Perugino e Pollaiolo furono prelevati dagli Uffizi, da Palazzo Pitti e dal Bargello, oltre che da abitazioni private.
Siviero, personaggio da spy story
Fu Siviero, che, avvalendosi di agenti segreti infiltrati all’interno del Kunstschutz, riuscì a impedire alcuni atti criminali, quale il trafugamento dell’Annunciazione del Beato Angelico. L’aveva commissionato direttamente il feldmaresciallo Hermann Goering per la sua personale collezione. Siviero potè anche contare sulla presenza in Firenze di cellule dell’intelligence inglese.
Un altro personaggio che riuscì a salvare decine e decine di opere fu il sovrintendente Pasquale Rotondi. Le nascose nelle segrete della Rocca di Sassocorvaro, del Palazzo dei Principi di Carpegna e del Palazzo Ducale di Urbino. Un’impresa titanica che salvò capolavori provenienti da molte città italiane, tra le quali Venezia, e richiese molto coraggio.
Le operazioni furono trascritte in un diario intitolato “Opere d’arte nella tempesta della guerra”.
Si trattò tra gli altri di tredici dipinti di Tiziano, sedici di Tintoretto, quattro di Piero della Francesca. L’elenco contemplava anche quadri di Carlo Crivelli, Lorenzo Lotto, Raffaello, Mantegna, Veronese, Rubens, Tiepolo, Canaletto e molti altri. Erano nelle mire del Generale Karl Wolff, comandante delle SS in Italia, il quale probabilmente le avrebbe “scambiate” per migliorare le condizioni della resa tedesca.
Bernard Berenson nel suo libro “Rumor Reflection” si chiese come Wollf, “un uomo così colto, affabile, sensibile e giudizioso”, potesse essere il luogotenente di Himmler.
Egli, insieme a Virginia Bourbon Agnelli e a Eugene Dollmann, capo dei servizi segreti nazisti in Italia, fu una delle le figure chiave dell’Operazione Farnese. Essa permise di non far radere al suolo Roma. Wolff negoziò poi con Allen Dulles, capo dei servizi statunitensi, e i comandi partigiani, la resa tedesca all’insaputa di Hitler.
La fine della guerra portò alla stipula di un accordo tra i governi De Gasperi e Adenauer sulle opere trafugate. Siviero, grazie anche all’interessamento di Benedetto Croce, divenne nel 1953 responsabile della Delegazione Italiana delle Restituzioni.
Intrecci e misteri
Molte da allora sono le persone che hanno permesso, grazie alla loro dedizione, di recuperare opere di Leonardo, Botticelli, Tintoretto, Masaccio, Bronzino. La Delegazione fu sciolta nel 1987 e il catalogo di quelle ancora da recuperare, redatto fin dal 1972 da Antonio Paolucci e Luciano Bellosi, non è mai stato pubblicato.
Tra queste vi era la celebre “Testa di Fauno”, la prima scultura di Michelangelo sedicenne eseguita nel Giardino del Convento di San Marco. L’opera, che permise all’artista di diventare un protetto di Lorenzo il Magnifico, fu trafugata dai tedeschi dal Museo del Bargello. Fino ad oggi non è stata ritrovata.
Negli ultimi anni di vita, Siviero compilò un catalogo divenuto il libro della mostra a lui dedicata nel 1984 dalla città di Firenze dal titolo “L’ opera ritrovata”. Il libro, che ebbe la prefazione di Sandro Pertini, riporta l’elenco dei 2.356 pezzi d’arte trafugati, citando con perizia i musei e i luoghi (anche privati), nei quali erano collocate.
Un omaggio che Firenze volle per Siviero fu l’esposizione anche degli acquerelli di Hitler. Il collezionista li aveva avuti in dono a Merano dalla vedova di Martin Bormann, che a sua volta li teneva in custodia per conto di Rudolf Hess! Erano, come noto, due tra i massimi gerarchi del nazismo. Fu una sorta di nemesi o un intrigo degno dei migliori thriller storici?
Opera incompiuta
Come racconta Paola Guidi in “Uomini e tecnologie per la protezione dei beni culturali” voluto dalla Fondazione Enzo Hruby, l’Archivio Storico Diplomatico della Farnesina custodisce circa 1.500 pratiche ancora inevase. Il libro indica con precisione i luoghi dove si trovano le opere e come potrebbero tornare in Italia, tramite richieste ufficiali del governo. Molte resteranno comunque di difficile recupero.
Un’apposita organizzazione chiamata Die Spinne (Il Ragno) ne vendette un gran numero. Fu attiva tra Madrid e Gmunden in Austria, per favorire la latitanza dei nazisti in fuga. La guidavano reduci delle SS quali Otto Skorzeny, Reinhard Gehlen e Hans Globke, redattore delle leggi razziali tedesche. Fu ben strano vederlo ricoprire dal 1953 al 1963 il ruolo di consigliere per la sicurezza di Konrad Adenauer.
Insomma la storia della migrazione delle opere d’arte italiana non è finita e gli intrecci con la diplomazia degli stati sono ancora avvincenti e misteriosi. Meriterebbero un film come la vicenda raccontata in The Monuments Men, con George Clooney intento a recuperare le opere trafugate dal Louvre.
Intanto restiamo in fiduciosa attesa della restituzione rivendicata dal Direttore degli Uffizi di cui in premessa. Dopotutto anche questo sarebbe un segnale di unità europea.