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Ecologia sociale urbana

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Una nuova disciplina

L’ecologia urbana e sociale è stata fondata da Paolo Fuligni e Paolo Rognini (P. Fuligni, P. Rognini, Manuale di Ecologia urbana e sociale, Milano, FrancoAngeli, 2005) con l’intento di creare una disciplina che potesse comprendere, finalmente in modo ‘olistico’, l’uomo e l’ambiente in un’unica accezione senza vederne necessariamente separate le parti. Questa disciplina, come cita il testo studia le interazioni – costanti e imprescindibili – tra il comportamento umano e i grandi ambienti urbani, ovvero quelli ad alta densità di popolazione. La trasformazione dell’uno in funzione degli altri – e viceversa – è continua e rimane all’interno di un unico processo circolare.

A questo proposito molti lavori scientifici riportano i positivi (o negativi) impatti sociali legati alla struttura del tessuto urbano e alla presenza (o assenza) di aree verdi nelle città. Un maggior numero di parchi, di alberi, di aree verdi in genere, non solo migliora l’aspetto e la qualità ambientale di un territorio, ma può avere una certa influenza su questioni sociali importanti quali l’assistenza sanitaria, l’istruzione, la criminalità e la sicurezza e lo sviluppo economico.

Alcuni articoli recenti hanno messo in luce anche il rapporto che esiste fra presenza di un verde ben pianificato e strutturato e la privazione dei diritti civili. Non meno importanti sono i rapporti che legano la presenza degli spazi verdi e le minoranze etniche.

Ingiustizie sociali e ambientali

Le persone appartenenti a minoranze etniche hanno esperienze di vita spesso significativamente diverse da quelle della etnia dominante. Le ricerche sull’argomento suggeriscono come l’ambiente fisico possa avere un ruolo positivo o negativo nelle percezioni della vita quotidiana. I paesaggi urbani e non hanno una dimensione simbolica, e le peculiarità dei paesaggi stessi possono essere riconosciute come familiari o aliene, accoglienti o escludenti.

Negli Stati Uniti e in Gran Bretagna le ricerche condotte costituiscono la base per le decisioni legate alla pianificazione, alla progettazione e alla gestione delle aree urbane, incluse le aree verdi che possono determinare una serie di esperienze emozionali, culturali e sociali molto importanti per favorire l’integrazione. Viene evidenziata la necessità che pianificatori, urbanisti e architetti del paesaggio siano consapevoli di come i luoghi possono essere interpretati in modi diversi dai diversi gruppi di minoranze etniche e di lavorare verso un design inclusivo. Cosa che, purtroppo, manca ancora nel nostro Paese, dove le diverse professionalità operano spesso in compartimenti stagni.

L’imperativo per affrontare tali ingiustizie ambientali e le relative disparità sociali, così come migliorare l’ecologia urbana, dovrebbe spingere pianificatori e progettisti a concentrarsi su strategie innovative per espandere le risorse di spazi verdi e massimizzare l’equità sociale.

Quali rimedi

Queste strategie mettono in evidenza le possibilità di riutilizzo e di adattamento delle infrastrutture presenti, a condizione che gli standard di sicurezza e salute non siano compromessi. Esiste, infatti, una vasta gamma di possibilità offerte dall’uso adattivo delle infrastrutture urbane obsolete o sottoutilizzate, come corridoi ferroviari, strade sottoutilizzate, strade urbane abbandonate e aree dismesse che non necessitano di radicali interventi di bonifica e che, da luoghi negletti, potrebbero trasformarsi in luoghi d’elezione per il tempo libero, il divertimento, in infrastrutture verdi e per un rinnovato senso dei luoghi (vedi, ad esempio, la High Line di New York o il Parco della Ruhr in Germania, così come alcune aree recuperate a Torino e Milano).

Questi interventi strategici stanno assumendo importanza perché l’uomo ha cominciato ad accorgersi che qualcosa non funzionava nel modello di sviluppo che ha caratterizzato la seconda metà del secolo scorso. Dobbiamo avere il coraggio di guardare in faccia la realtà e rendersi conto che la società opulenta non elimina, ma crea gli squilibri ed esaspera i contrasti sociali. Non migliora il ritmo di vita, ma lo rende anzi più convulso e teso e favorisce le malattie tipiche dei nostri giorni. Basti pensare che il costo delle malattie mentali nel mondo fra il 2011 e il 2013 è stato stimato intorno ai 16 triliardi di dollari, che circa 92 miliardi di euro/anno persi come ore di lavoro a causa della depressione (Europa, 2014), che le malattie mentali, in Europa, costano 800 miliardi di euro/anno e che, in Italia la spesa per problemi legati alla sfera mentale ammonta a circa 14 miliardi di €/anno (Cost of disorders of the brain in Europe 2010 – European Brain Council (EBC) e che, infine, la depressione sarà, nel 2030, la prima causa al mondo di giorni di lavoro persi per disabilità (Sole24ore, 2018). Lo stesso ambiente che ci circonda diventa sempre più deteriorato e insalubre. Pensiamo all’aria che respiriamo.

Ecco perché diverse municipalità, nel mondo, hanno realizzato o stanno pianificando la realizzazione di infrastrutture verdi per passeggiate a piedi e in bicicletta, per giochi, per l’esercizio fisico, e per favorire l’interazione sociale. Tali infrastrutture possono, con pochi e mirati accorgimenti progettuali, essere utilizzate come strategie di gestione delle precipitazioni per il miglioramento del deflusso, nonché per la fornitura di habitat per specie animali e “hub” di biodiversità.

Capire come la dotazione di aree verdi di una città (in inglese “Urban Forestry”) può aiutare ad affrontare questi problemi non è semplice perché il verde urbano è spesso visto come un’amenità, qualcosa a tutti piace, ma di cui nessuno ha bisogno, proprio perché i meccanismi psicologici e sociali che rendono il verde in generale e gli alberi in particolare efficaci per affrontare questi problemi sono sottili e non pienamente compresi. Non è, infatti, sempre chiaro chi goda dei benefici: il singolo? Un’organizzazione? La comunità?

La risposta è tutti. Ecco perché realizzare nuovi spazi verdi e migliorare quelli esistenti rappresenta un’importante ed economicamente conveniente opportunità per trasformare le aree degradate e migliorare la qualità di vita, come è successo, ad esempio nel Bronx a New York o in certe aree di Philadephia, solo per fare due esempi.

I governi, le organizzazioni internazionali e l’Unione europea (UE) possono e devono contribuire alla crescita delle città riconoscendo che l’accesso alla natura è un diritto umano fondamentale e che proteggerla, ad esempio attraverso la rete Natura 2000, e finanziare investimenti e progetti relativi all’assistenza attraverso voci specifiche nel bilancio in quest’area, migliorerà il valore aggiunto dell’UE, non solo in termini di qualità ambientale, ma anche sociale.

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1 COMMENT

  1. Prof. Ferrini buongiorno, sono Paolo Rognini co-fondatore della Ecologia Urbana e Sociale che, mi fa piacere conosca e abbia citato. Qualora vi fosse una nuova occasione di discutere questi argomenti sarò lieto di partecipare anche come uditore. Cordialmente, Paolo Rognini

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