Il 10 e 11 dicembre il Marocco ha ospitato la tanto attesa conferenza intergovernativa di Marrakech per l’adozione del Global Compact per una Migrazione sicura, ordinata e regolare. Il 19 dicembre 2018 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha formalmente espresso il suo supporto al patto attraverso l’approvazione di una risoluzione, chiaramente non vincolante, votata da 152 Stati.
Il patto, o accordo, sulle migrazioni è stato attaccato da più fronti e mentre molti Paesi si sono tirati indietro abbandonando il progetto in itinere, come Stati Uniti, Australia, Cile e diversi Paesi UE tra cui l’Italia. Altri sono andati avanti, partecipando alla conferenza intergovernativa e approvando il patto.
Le polemiche e le proteste non hanno risparmiato nemmeno i 164 Paesi che hanno preso parte alla conferenza di Marrakech, per esempio il Belgio, che domenica 16 dicembre è stato teatro di una manifestazione contro il Global Compact organizzata da esponenti e simpatizzanti dei partiti di destra, in particolare la Nuova alleanza fiamminga, N-VA che ha ritirato il suo sostegno al Governo innescando una crisi nell’esecutivo.
Ma da dove deriva l’ondata di dissenso che ha colpito un accordo di cooperazione in origine fortemente voluto dagli Stati UE (che nel 2016 si erano fatti portavoce del disagio collettivo derivante dai flussi migratori non controllati e avevano acclamato la Dichiarazione di New York su rifugiati e migranti, preludio del Global Compact sulle migrazioni e del Global Compact sui rifugiati)?
Perché la versione finale dell’accordo, che era stata approvata a luglio 2018 da 192 Stati (con l’allora molto criticata esclusione degli Stati Uniti) a distanza di soli cinque mesi è stata rinnegata dagli stessi Paesi che hanno contribuito attivamente alla negoziazione del patto e alla sua stesura?
Come è possibile che il voto espresso in seno all’ Assemblea Generale delle Nazioni Unite una settimana dopo la conferenza di Marrakech esprima un ancora crescente scetticismo nei confronti del Global Compact?
Le principali cause del cambiamento di posizione degli Stati nei confronti del Global Compact
La paura che questo patto, di natura legalmente non vincolante, continua ad alimentare anche all’indomani della Conferenza è principalmente quella (paradossale visto lo scopo) di favorire un incremento dell’immigrazione irregolare, già ai massimi storici.
In relazione a questo primo punto molti criticano il fatto che il Global Compact sulle migrazioni tenderebbe ad alimentare la confusione tra migranti e rifugiati, anziché dettagliarne meglio la distinzione. Questa lettura del Global Compact sulle migrazioni è semplicemente errata. In primis perché esiste un Global Compact sui rifugiati, approvato dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 17 dicembre 2018 con il voto favorevole di 181 Stati, e in secondo luogo perché il Global Compact sulle migrazioni specifica, al paragrafo 4 del preambolo, che “migranti e rifugiati sono due gruppi distinti, governati da norme diverse”. Si veda su questa piattaforma Che cosa è giuridicamente un migrante.
Altri contestano il procedimento poco democratico che ha portato all’approvazione del patto e la mancata consultazione dei Parlamenti nazionali. Per quanto riguarda questa specifica obiezione, utilizzata anche dal Premier Conte per giustificare il comportamento poco coerente dell’ Italia (che non ha partecipato alla conferenza di Marrakech e ha scelto la strada dell’astensione quando il Global Compact è stato approvato dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite) vale la pena ricordare che normalmente i Parlamenti nazionali non sono chiamati ad autorizzare la partecipazione dell’esecutivo ad una conferenza intergovernativa per negoziare e/o approvare un documento di natura politica e programmatica.
Per quanto riguarda il nostro ordinamento, ad esempio, il combinato disposto degli Articoli 80 e 87 comma 8 della Costituzione stabilisce che il Presidente della Repubblica non possa procedere alla ratifica di determinate categorie di trattati internazionali (“trattati di natura politica, o che prevedono arbitrati o regolamenti giudiziari, o importano variazioni del territorio od oneri alle finanze o modificazioni di leggi”), che al legislatore costituente sono apparse particolarmente rilevanti, senza l’ autorizzazione preventiva delle Camere.
Il Parlamento, quindi, è chiamato, in determinate circostanze, a partecipare alla stipulazione dei trattati internazionali in forma solenne, mentre prevedere un iter simile quando lo Stato si impegna politicamente, ma non legalmente, sul piano internazionale semplicemente non avrebbe senso.
Visto il polverone sollevato dall’accordo, vale la pena chiarire quali sono i punti chiave dello stesso e in che direzione hanno deciso di muoversi gli Stati che durante la conferenza di Marrakech e l’Assemblea Generale ONU hanno deciso di approvarlo.
Il Testo della Discordia
Il Global Compact sulle migrazioni non è altro che un patto di cooperazione che persegue lo scopo di incrementare la collaborazione di tutti gli attori, in primis gli Stati, interessati dal fenomeno delle migrazioni internazionali.
Il patto nasce dal presupposto, piuttosto logico, che non è possibile fare fronte ai flussi migratori individualmente, ma è necessario che tutti gli Stati lavorino insieme, pur conservando la loro sovranità nazionale.
L’accordo individua dei principi (per esempio: mettere al centro di ogni politica migratoria le persone, garantire il rispetto dei diritti umani, mantenere intatta la sovranità statale e il diritto sovrano degli Stati di determinare le politiche migratorie nazionali e le prerogative per governare le migrazioni, promuovere e dare piena considerazione ai diritti dei minori, etc) che devono guidare gli Stati e gli altri attori coinvolti per favorire il raggiungimento di 23 obiettivi comuni.
Gli obiettivi individuati, prima elencati e poi spiegati uno ad uno nel documento, coprono aspetti cruciali, che vanno dalla necessità di raccogliere ed utilizzare dati accurati all’offerta di informazioni puntuali rispetto a tutte le fasi della migrazione. Gli obiettivi fanno anche riferimento ai fattori strutturali, economici, politici e così via, che scatenano i flussi migratori e all’importanza di favorire l’effettiva inclusione dei migranti nelle comunità di destinazione.
Per quanto riguarda i diritti dei migranti, gli obiettivi del Global Compact in sostanza non fanno altro che ribadire la necessità di mantenere un comportamento coerente sul piano internazionale, nel pieno rispetto dei trattati sui diritti umani che sono stati ratificati globalmente o che comunque racchiudono norme di carattere consuetudinario che vincolano anche gli Stati che non li hanno ratificati.
I prossimi steps
Come sottolineato più volte, il Global Compact, sottoscritto a Marrakech da un numero più esiguo del previsto di Stati e approvato dall’Assemblea Generale ONU con una maggioranza ancora più esigua, non è un trattato e pertanto la sua approvazione non imporrà nuovi obblighi in capo agli Stati favorevoli, a meno che gli Stati stessi non decidano di dare attuazione al patto nel loro ordinamento interno.
Inoltre, è importante chiarire di nuovo che l’approvazione del patto non contribuirà in alcun modo ad alimentare la migrazione internazionale irregolare. Al contrario, lo scopo del patto è proprio quello di tutelare la sovranità statale in un clima di cooperazione, per stimolare la partecipazione ad uno sforzo collettivo degli Stati che spesso restano ai margini della comunità internazionale, pur essendo a loro volta interessati (perché paesi di origine o di transito) dal fenomeno migratorio internazionale.
L’impegno per contrastare i flussi migratori irregolari, che si caratterizzano per la commissione su larga scala di crimini gravissimi ai danni dei migranti, come la tratta di esseri umani, deve necessariamente essere un impegno globale. Gli obiettivi indicati nel Global Compact sono raggiungibili solo se tutti i Paesi coinvolti accettano di lavorare insieme.
Questo non significa, chiaramente, cedere la propria autonomia o la propria sovranità, ma solo fare in modo che tutti gli Stati si adoperino per evitare che bambine di sette anni, come Jakelin Caal Maquin, muoiano dopo aver affrontato un viaggio di duemila miglia attraverso il deserto per raggiungere un Paese, gli Stati Uniti, che della lotta senza se e senza ma all’immigrazione clandestina ha fatto la sua triste bandiera.