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Per dare completezza alla parola lavoro è utile richiamarsi alla geografia dei luoghi, alle mentalita’, alle condizioni politiche ed economiche. Quindi, piu’ in generale, occorre considerare il “tempo di riferimento”.
Riferendoci però in generale al secolo che è alle nostre spalle e focalizzando l’analisi sull’Italia, viene da osservare che raramente si è trovato un punto di equilibrio fra sviluppo economico e sviluppo della persona che lavora.
Spesso posizioni eccessivamente contrapposte fra attori sociali fin dal principio della società industriale (datori di lavoro, sindacati, movimenti politici) hanno impedito di interpretare lo sviluppo della nostra Nazione come un progetto sinergico, frutto di un’intesa socio-economica fra Persone, in grado di colmare anche le differenze storico-culturali, come quelle esistenti fra regioni del Nord e del Sud.
Giova ricordare le analisi del cattolico Giuseppe Toniolo (1845-1918) riguardo alla ridotta partecipazione dei lavoratori alle sorti delle imprese, alla necessità della riqualificazione continua dell’offerta di lavoro, ai gap quanti qualitativi tra offerta e domanda. Tutte questioni sorte dopo l’Unita’ d’Italia e arrivate fino a noi, passando dal miracolo economico per approdare al più recente periodo di declino.
La dimensione del salario e lo status legato alla funzione organizzativa hanno costituito habitus a priori, disgiunti spesso dal confronto con realtà interne ed esterne alle organizzazioni, rappresentando un freno al progredire di culture utili allo sviluppo di nuovi lavori singoli e collettivi. L’organizzazione piramidale, tradottasi troppo spesso in fattore di immobilismo o di potere, ha poi impedito la naturale circolazione delle idee. Questo meccanismo, a lungo andare, ha più demolito che costruito.
La conoscenza
Con questo termine non si deve intendere solo know how, oppure un sapere codificato, ma anche creativita’, iniziativa, padronanza del linguaggio (interpretata come ricchezza di espressione), comprensione delle dinamiche comunicative, responsabilita’ per i risultati delle proprie attivita’, insieme delle capacita’ personali che un lavoratore impiega, acquisite a scuola o all’universita’, nei luoghi di lavoro e nell’apprendimento personale, da tenere aggiornate e da rinnovare continuamente.
Riproposizione della persona
Il pensiero e l’azione di Adrano Olivetti non può non essere messo al principio di questa breve ricognizione, con le sue idee sulla vivibilità della fabbrica e sul rispetto delle persone.
Riproposizione della persona significa dare status e completa dignita’ al soggetto che lavora, separando di fatto l’impiego (il posto di lavoro) dal “senso del lavoro”, cioe’ da quell’insieme di fattori in grado di far evolvere la persona, favorendone le aspirazioni di liberta’, ovvero mettere il lavoratore in condizioni di poter scegliere il lavoro piu’ adatto alle proprie aspirazioni od alle proprie competenze, ma anche in grado di migliorare la qualita’ del lavoro proprio ed altrui, favorendone la formazione continua, a prescindere dal salario.
La società della conoscenza
Pone la competenza intangibile della persona come parte imprescindibile dalla competenza tecnica e utilizzabile dal lavoratore.La riproposizione della persona significa anche osservare i processi lavorativi, non disgiunti dalle funzioni organizzative, trovando nell’ottimizzazione delle sinergie fra le persone e la cultura d’impresa la misura per innovare il lavoro e le organizzazioni.
Le condizioni psichiche del lavoratore (aspetti soggettivi, di se stesso), i rapporti nell’ambito delle relazioni di coppia, (riferite ad un altro visto, vissuto come separato da sé), la consapevolezza di come interagiscono le relazioni nell’ambito dei piccoli gruppi (dimensione micro), dei grandi gruppi (dimensione macro) e nei social network (dimensione virtuale propria dell’economia post-novecentesca) rappresentano un’ indispensabile cassetta degli attrezzi, utile per comprendersi, ed anche per esprimersi. La persona che sa esprimere e rappresentare le proprie percezioni e la “propria pancia” non puo’ che fornire assist alla propria sfera razionale, riducendo l’ego e la conflittualità interna ed esterna.
Fenomeni devianti
Non esistono molti modi (antidoti) per arginare fenomeni collettivi come il “tribalismo aziendale”, il conformismo, l’integralismo culturale, ovvero quell’insieme di eccessi che spesso neutralizzano “l’intelligenza individuale e collettiva”, ovvero la capacità dei gruppi ( di lavoro e sociali ) di raggiungere le proprie aspirazioni attraverso “intese” ovvero con la costruzione di veri e propri processi rivolti alla conoscenza ed alla vision di medio-lungo periodo.
Se invece in un’organizzazione domina l’egoismo individuale o quello di piccole minoranze a scapito di altri gruppi, sarà difficile che l’altruismo prevalga e quindi che il lavoro di squadra divenga un fattore distintivo; se la cooperazione riesce a essere un “modello mentale” diventa un atout da giocare sul tavolo della competizione nei mercati di riferimento ed un formidabile asset intangibile del capitale umano. L’ economia, le idee, l’imprenditività vengono generati prima di tutto dai fenomeni psichici.
L’era delle connessioni fra culture (scienze tecnologiche e scienze sociali)
La società post novecentesca dovrà essere in grado di affrontare e valutare con maggiore preparazione e consapevolezza, rispetto al passato, i rischi umani, sociali, economici e tecnologici. Se è ovvio che ogni scelta contempli dei rischi, ne consegue che si debba favorire lo sviluppo di formae mentis appropriate sul tema della creazione di un “sistema dinamico di gestione dei rischi” sia nell’ambito del sistema azienda che in quello dei singoli territori. L’auspicio è che tali pratiche si sviluppino sempre più non solo a livello istituzionale, ma anche a livello individuale: le decisioni prese risulteranno più adeguate.
Una società in trasformazione continua
Come si affronta il problema della discontinuità nel lavoro generata dalla potenza del “potere tecnologico”?
Abbiamo assistito ad una trasformazione del tessuto produttivo velocissima in termini di anni. Basti pensare che dall’inizio degli anni duemila ogni cinque anni le tecnologie unite alla concorrenza globale hanno spazzato via interi metodi produttivi e categorie di prodotti. L’effetto dell’internazionalizzazione dei capitali (finanza) ha creato mentalità politiche negli Stati che hanno mirato soprattutto a dare garanzie al funzionamento delle economie di mercato, tralasciando totalmente la “questione psichica” e la libertà di innovare. Vale a dire l’adeguamento delle mentalità e delle competenze in base ai nuovi scenari in atto, favorendo di fatto gli allarmismi, ma non l’innovazione dirompente. Le trasformazioni sono vere e proprie perturbazioni dello status quo, ma alla fine sono in grado di creare nuovo valore, operando una distruzione creativa: un esempio è rappresentato dai cellulari che hanno sconfitto la telefonia fissa dei monopoli ( Clayton M.Christensen studiando il fenomeno ha formulato la teoria della “distruptive innovation”), per poi costruire altri monopoli.
Il sentiment “libertà & democrazia”
Porta inevitabilmente al superamento della visione dell’autorità a matrice oligarco-autoritaria, modificando sostanzialmente i rapporti di potere.
L’azienda orientata alla sfida tecnologica è necessariamente piu’ democratica, crea più opportunità. Chi vi lavora trova condizioni per cui la soggettività nel lavoro è elevata a valore e quindi scompare di fatto la dimensione impersonale della prestazione. Le politiche di people caring superano la concezione della soddisfazioni meramente economica ed incidono profondamente nel soddisfacimento di bisogni mentali, emotivi, fisici, familiari, pratici della Persona.
Stiamo entrando in un’era nella quale il lavoro auspicato è strettamente connesso a forme di “felicità nel lavoro” e di“benessere organizzativo”. Diventano elementi distintivi la qualità del lavoro, le politiche di parità e di opportunità, la qualità delle relazioni, l’etica e la responsabilità, il lavoro di gruppo, la cultura lavorativa, la gestione del tempo in azienda.
Quando si parla di ambiti organizzativo-gestionale e di sviluppo del capitale umano, ci riferiamo ad ambiti propri degli psicologi delle organizzazioni e del lavoro, ma anche di team misti di economisti, giuristi, ingegneri.
Le aziende sono fatte anche di elementi intangibili (non presenti, né valorizzati nei bilanci classici),ovvero di leadership, di formazione professionale e psicologica, di dinamiche di gruppo, di motivazione al lavoro, di sistemi incentivanti e di valutazione, di sviluppo delle carriere, di brand, di know how.
Il mondo delle tecnologie ha già inglobato buona parte dei “saperi psicologici” ed esistono già tecnologie in grado di risolvere questioni umane complesse con interventi minimi degli specialisti. Di conseguenza il potere si sposta e sembra sempre più rappresentato da chi è in grado di “produrre tecno-scienza” e non più solo capitale.
Con la crescita dell’economia on demand, della sharing economy, della caring economy, dell’economia della fiducia, infatti cambia la struttura delle imprese e quindi del lavoro.
L’economia su richiesta
Attraverso la rete connette i clienti a professionisti freelance che propongono servizi in tempi rapidi e costi ragionevoli. Migliora la vita anche del prestatore d’opera, che sarà sì meno garantito, ma potrà scegliere in quali ore lavorare ed in quali no.
Il modello economico basato sulla condivisione di beni/servizi contrappone al concetto di proprietà classica quello di utilizzo e di accesso per molti. Le piattaforme tecnologiche che governano i servizi possono essere usate da molti utenti. Studi recenti (Alan Krueger) affermano che i servizi offerti consentono a molti di integrare lo stipendio con un secondo lavoro part- time, di fatto favorendo l’occupazione.
L’economia della sostenibilità, della consapevolezza, della cooperazione globale si basa su un approccio maggiormente etico verso i consumi e le produzioni, al fine di creare un capitalismo migliore. I passi culturali da compiere sono ancora molti e molte le resistenze da vincere.
Riassumendo
Leggendo gli scenari in atto con la lente di chi si occupa di lavoro viene da considerare che: 1) gli imprenditori di se stessi cresceranno con percentuali a due cifre nei prossimi anni; 2) i lavori del futuro prevedono massima flessibilità, ma anche massima incertezza, con la necessità di ripensare alle attuali forme di tutela; 3) si supererà l’orario di lavoro cosi come lo abbiamo concepito fino ad ora nelle organizzazioni classiche ; 4) la redditività di questi nuovi modi di lavorare sarà soggetta a molte variabili; 5) la gente che lavora vuole e vorrà essere più felice nel lavoro, ricercando un diverso bilanciamento tra attività professionali ed esigenze familiari; 6) occorrerà formulare nuovi contratti di lavoro (ad personam) per coloro che entreranno nel mercato del lavoro a partire dal 2025 i cosiddetti millennials. Il fenomeno è ancora poco studiato sotto il profilo dei comportamenti sociali.
Inoltre, la Platform Economy rappresenterà una grossa sfida sociale, politica, giuridica, ma avrà anche implicazioni per il capitalismo classico basato sulle grandi strutture societarie, complesse e costose. E’ un processo che sta emergendo e che si lascia alle spalle alcune nostalgie del passato e molte posizioni ideologiche e che modificando la consueta organizzazione dell’impresa (che comunque non scomparirà in molti ambiti), trasformerà la tradizione morale rispetto ai valori del lavoro.
Non va però dimenticato che il nostro cervello è anche una potente macchina di inganni adattativi e che la lettura dell’economia, di ogni orientamento, compreso il “fondamentalismo del mercato”, non puo’ sottrarsi al meccanismo mentale dell’auto-inganno.