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C’è un consenso generale sul fatto che il clima sta cambiando in misura senza precedenti nella storia documentata dell’umanità e, conseguentemente, abbiamo bisogno di selezionare specie arboree che tollerino le condizioni previste nel prossimo futuro con un regime delle precipitazioni alterato, un aumento della frequenza e della gravità dei periodi di siccità estiva e gli eventi meteorologici estremi (tempeste, trombe d’aria, ecc.).
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La siccità è considerata il fattore più significativo, non solo nei climi di tipo mediterraneo, per come può fortemente influenzare la sopravvivenza e la crescita di alberi appena piantati e il successivo sviluppo di fattori di resistenza delle piante.
La probabile scarsità d’acqua in molte aree urbane potrà determinare divieti nel suo utilizzo, per cui piantare specie che siano più tolleranti a condizioni di siccità prolungata è la soluzione a lungo termine per un paesaggio urbano e periurbano con ridotti input gestionali.
Autoctone o esotiche?
Opinione corrente è quella di incoraggiare la messa a dimora di specie arboree autoctone, citando il loro adattamento alle locali condizioni e la necessità, se non talvolta l’obbligo, di mantenere la biodiversità e una base genetica nativa. Se la scelta di specie preferenzialmente autoctone o naturalizzate può essere un criterio condivisibile, dobbiamo sottolineare che alcune di esse potrebbero essere sempre meno in grado di adattarsi ai cambiamenti climatici previsti.
Reperire piante da regioni con clima simile a quello che prevedono gli studi sulle future condizioni climatiche può fornire una possibilità, anche se è necessario prestare attenzione, assicurandosi che le piante selezionate non abbiano caratteristiche di invasività e non presentino suscettibilità a fattori di stress biotici e abiotici.
Oltre al cambiamento climatico devono essere considerati infatti altri fattori al fine di garantire che l’impianto abbia successo. Questi fattori sono suddivisibili in tre grandi categorie: progettazione, caratteristiche del sito e gestione dei nuovi impianti.
Più in particolare, i fattori da considerare nella scelta delle specie per le alberature stradali e/o nelle aree verdi includono requisiti come la stabilità strutturale, la risposta alla potatura, la resistenza alle malattie e l’assenza di parassiti catastrofici, l’adattamento del terreno, la tolleranza alle eccessive o ridotte condizioni luminose. Infine, la selezione dovrebbe essere basata sui potenziali benefici apportati dagli alberi all’ambiente urbano.
Tuttavia, solo negli ultimi dieci anni sono stati compiuti alcuni sforzi per selezionare le piante per questo tipo d’uso e sono state adottate pratiche di gestione volte a massimizzare i benefici netti di boschi urbani sul biossido di carbonio atmosferico e sui principali inquinanti (PMx e NOx).
Nelle attuali strategie di impianto potrebbero essere adattate, comunque, le specie che pur essendo meno efficienti di altre nel sequestro di CO2, dimostrano una maggiore efficienza dell’uso dell’acqua (WUE Water Use efficiency – rapporto tra fotosintesi netta e tasso di traspirazione), cioè di quanta acqua è necessaria per fissare una mole di CO2 e, di conseguenza, per produrre biomassa ed emettere ossigeno.
Il dibattito sulla scelta fra specie esotiche e specie native è sempre piuttosto acceso ma, spesso, risulta eccessivamente semplificato (nativo “buono”, esotico “cattivo”) e, soprattutto, non sorretto da evidenze scientifiche. Il concetto di nativo stricto sensu in un ambiente alieno quale quello delle nostre città appare infatti inadeguato, per cui risulta opportuno conciliare posizioni controverse e di avere un approccio oggettivo e razionale anziché soggettivo, empatico ed emozionale come spesso accade.
Occorre precisare, innanzitutto, il significato di esotico. Nel nostro senso comune percepiamo tale vocabolo associandolo a paesi tropicali ed equatoriali, quando, in realtà, la parola deriva etimologicamente dal greco: exotikos, da exo, fuori, e oikos, casa. Va quindi riferita a qualsiasi cosa che proviene o che è importata da altre regioni, non necessariamente calde e/o equatoriali.
Sappiamo tutti che i nostri paesaggi urbani sono stati costruiti e modellati per centinaia se non migliaia di anni, con la formazione di un mix di specie autoctone e esotiche. Le specie che ora abbiamo nelle nostre città sono il risultato di scelte fatte da moltissime persone, per lo più indipendenti l’una dall’altra e sulla base delle loto preferenze. Alcune aree urbane sono state ben programmate e successivamente ben gestite, mentre altri spazi, soprattutto quelli meno centrali, sono stati colonizzate da specie opportuniste ed esotiche.
Con le trasformazione dei paesaggi agrari o pseudonaturali (nel nostro paese, antropizzato da secoli è azzardato parlare di paesaggi naturali visto che l’uomo ha praticamente modificato e modellato il paesaggio fin dalla preistoria), gli habitat indigeni sono stati distrutti, modificati e/o frammentati, e le specie che non sono native di quelle aree si sono affermate per caso o per mano dell’uomo.
È indubbio che la diversità urbana richiede un approccio differente poiché l’ambiente urbano è spesso molto eterogeneo. Molte città comprendono anche ecosistemi residui che derivano da paesaggi naturali o paesaggi rurali tradizionali inglobati nel tessuto urbano. Altri spazi verdi sono stati creati nel corso dei secoli, alcuni emergono come nuovi ecosistemi in siti ex industriali. L’adozione di una sola strategia generale per tutti gli habitat urbani è quindi irragionevole, indipendentemente che si sostenga di “usare solo native” o che “le esotiche sono migliori”.
La strategia giusta dipende quasi sempre dal contesto. La Robinia pseudoacacia, specie nordamericana altamente invasiva rappresenta un classico esempio. È noto che tende a sostituire, soprattutto nelle scarpate stradali o nelle aree marginali e in quelle urbane dismesse, le specie autoctone.
Eppure, la robinia è anche un albero urbano di grande valore, ben adattato ai cambiamenti climatici, rustico, con una bella fioritura e in grado di ospitare una buona biodiversità animale. Altre specie invasive come l’eucalipto possono, invece, disturbare le relazioni ecologiche tra le specie che si sono co-evolute nel corso dei millenni ed è il motivo per cui si dovrebbe evitare di piantare l’eucalipto soprattutto laddove esso ha potenziale invasivo (es. Italia meridionale e zone costiere dell’Italia centrale) e sostituirlo con piante autoctone come querce e altre specie dell’areale Mediterraneo che garantiscono il mantenimento della biodiversità e la preservazione del paesaggio tipico.
Riguardo alle aree urbane solo nel caso in cui gli impatti negativi sulle specie native o sugli habitat naturali siano evidenti, le specie esotiche (in questo caso invasive) devono essere gestite e limitate (tuttavia la loro gestione è spesso altamente costosa e, come l’esperienza mostra, spesso non efficace). Altrimenti, nei casi in cui non ci siano specie native adatte e in cui è accertata la non invasività è possibile, talvolta addirittura auspicabile, mettere a dimora specie esotiche.
Esse sono accettate come parte della continua evoluzione degli ecosistemi e tale differenziazione permette agli ecosistemi stessi di evolvere, anche se è necessario analizzare le diverse situazioni locali prima di agire essendo sempre pronti a bilanciare rischi e opportunità.
Differenziare anziche’ semplificare è la strategia più efficace per migliorare la biodiversità urbana in un mondo che cambia. Potremmo, infatti, pensare a certi paesaggi tipici dell’Italia meridionale e insulare tipicamente connotati da specie esotiche (palme, buganvillee, jacarande, eritrine, ecc.).
Quindi, se è indubbio che dovremmo cercare, ove possibile, di stabilire e mantenere aree soprattutto extraurbane, con specie esclusivamente autoctone, non può essere realistico pensare alla natura in città secondo una logica “purista” e con la prospettiva delle solo specie native. Perciò, come suddetto, nei nuovi impianti dovremmo dare la preferenza a quelle specie in grado di garantire performance di crescita e, conseguentemente, benefici adeguati, siano esse native o no.
Cambiamento climatico, stabilità strutturale e rinnovamento delle alberature
La sempre maggiore frequenza di eventi climatici anomali e la vetustà del patrimonio urbano hanno causato numerose cadute di alberi, portando all’attenzione non solo dei tecnici e delle municipalità, ma anche dei cittadini, il problema della gestione delle alberature presenti nelle nostre aree urbane. È questa una tematica spinosa che, in alcuni casi, è inderogabile, non solo tecnicamente, ma anche ponendo attenzione all’aspetto comunicativo per governare le aspettative e le richieste della cittadinanza.
Detto questo, è doveroso sottolineare l’importanza “storica” e ambientale di alcuni individui (gli alberi creano un “mesoambiente” molto ombreggiato che mitiga notevolmente la temperatura estiva), per cui la rimozione di interi filari o gruppi di piante e il loro successivo reimpianto non è una soluzione percorribile per alberature storiche.
In questi casi si può suggerire un rinnovo graduale di questa tipologia di alberature, garantendo la continuità visiva del viale alberato. Iniziare a sostituire oggi gli alberi in condizioni più critiche, proseguendo in modo progressivo, permetterà di garantire al tempo stesso condizioni di maggiore sicurezza e di stabile presenza di un viale alberato.
È, perciò, ragionevole provvedere alla sostituzione degli alberi che presentino problematiche (in genere nelle nostre città la loro percentuale oscilla fra il 15 e il 25%) in un arco di tempo non superiore a 25-30 anni, in modo da rimpiazzare dal 3 al 4% di alberi/anno (quindi, su base totale, dallo 0,6 all’1% max). Ciò può essere programmato in accordo mediante contratti di coltivazione con i vivaisti in modo pianificare la produzione e fornire via via piante di dimensioni progressivamente maggiori in modo da garantire uniformità anche visiva.
Laddove sono presenti problemi strutturali o patologie particolarmente gravi sulla maggior parte degli individui, si dovrebbe rimuovere interamente un’alberatura per ricrearne una con alberi di elevata qualità che, al contempo, garantiscano la sicurezza del cittadino.
È chiaro che questa scelta sottintende che alcune decisioni politicamente “forti” e, forse, impopolari, da prendere quando gli alberi sono vecchi, malati o danneggiati, ma ancora di elevato valore affettivo per i cittadini, con forte impatto emotivo causato dalla loro rimozione.
Purtroppo, talvolta è necessario compiere queste scelte per contribuire allo sviluppo di città sostenibili usando gli alberi per migliorare la qualità dell’aria e dell’acqua, ridurre i costi energetici e, allo stesso tempo, fornire habitat migliori per l’uomo e per le specie animali.