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Piano C per le BCC?

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Nella Relazione della Commissione Regionale di inchiesta sui gravi fatti riguardanti il sistema bancario in Veneto, ora all’approvazione del Consiglio Regionale (cfr. vari articoli su questa piattaforma), una parte è dedicata alle riforme del credito popolare e di quello cooperativo avviate nel 2016 e ancora con forti incertezze di prospettiva.

Quanto alle 10 popolari da trasformare ope legis in società per azioni, infatti, due si sono aggregate con la Banca risultante, BPM, classificatasi al penultimo posto dei recenti stress test Eba, tre sono uscite dal mercato in quanto fallite (Bpvi, Veneto Banca, Etruria), una necessita di robuste immissioni di capitale (Creval), due hanno proposto ricorso contro la costituzionalità della legge e si trovano tuttora nella forma originaria di società cooperative (Popolare Sondrio e Popolare di Bari).

Relativamente alle banche di credito cooperativo, organizzazioni no profit per le quali vale il criterio della mutualità prevalente a favore dei soci, le tre capogruppo bancarie (Iccrea, CCB, Raiffeisen) a cui affidare il controllo delle garanzie incrociate previste dal patto di coesione sono ancora in via di formazione. Di nessuna delle tre si conoscono i progetti industriali, ne’ a quali condizioni siano state subordinate le autorizzazioni ottenute.

Le iniziative in fieri della maggioranza di governo si indirizzano già a modificarne il caposaldo principale di quella riforma, aprendo a un sistema di protezione senza il governo della capogruppo, almeno per le BCC più patrimonializzate. Le prospettive del credito cooperativo diventano quindi ancora più nebulose.

La Relazione si indirizza dunque a un’analisi comparata con altri sistemi cooperativi europei, esprimendo valutazioni critiche sul futuro del nostro.

Il banking cooperativo in Europa

Si legge infatti, con riferimento ad una ricerca del 2015 che “il credito cooperativo in Europa negli ultimi sei anni ha dimostrato delle performance reddituali – e anche di tenuta al rischio – migliori rispetto alle banche non mutualistiche. L’eccezione è l’Italia, dove le banche popolari – grandi e medie – e le banche di credito cooperativo hanno performato in media, durante la crisi, peggio degli istituti non mutualistici”.

Queste differenze in negativo per redditività e rischiosità sono continuate anche negli anni successivi, come abbiamo mostrato in un recente nostro articolo.

Il trend invertito rispetto agli altri Paesi è attribuibile a diversi fattori, tra i quali la governance assume un peso rilevante. In Francia (Credit Agricole, Banque Populaire e Credit Mutuel), in Germania (Wgz bank e DZ Volksbank) e in Olanda (Rabobank), i sistemi mutualistici hanno caratteristiche di governance e controllo organizzati su due livelli: uno locale – regionale e/o provinciale – e uno centrale dove la banca capofila e’ una società per azioni (eventualmente quotata), di cui le banche locali cooperative sono azioniste.

La banca capofila funziona verso le singole realtà locali da organo di indirizzo, supervisione e controllo. Le caratteristiche-chiave del sistema cooperativo – voto capitario e limite di possesso azionario – si applicano alle singole banche locali che sono azioniste della banca-madre. Non si applicano alla capofila, affinché possa accedere al mercato dei capitali e avere prospettive di crescita anche autonome, per quanto da volgere a vantaggio di tutte le componenti. Credit Agricole, ad esempio, ha rapidamente fatto dell’Italia il suo secondo mercato.

Rabobank, da tempo a vocazione internazionale, ha invece compiuto nel 2016 l’ulteriore passaggio, restando l’unico soggetto a detenere la licenza bancaria, con le cooperative azioniste che hanno rinunciato a svolgere attività creditizia in proprio.

Sia in Francia che in Olanda le capofila cooperative hanno poi da sempre sviluppato strategie volte a garantire all’intero gruppo efficienze di scala e diversificazione dei rischi. Così facendo, Credit Agricole e Rabobank sono diventate solidi colossi del credito.

Breve storia di Rabobank (dal suo sito)

Il sistema tedesco, per quanto molto più frammentato e retto da uno schema di protezione istituzionale, copre quasi il 20% del mercato nazionale, trovando la propria forza in oltre mille banche e nel controllo delle fabbriche di prodotto accentrato su DZBank.

Il pendolo della governance

Ora noi siamo molto distanti da questi obiettivi strategici e organizzativi e rischiamo addirittura un passo indietro, se dovessimo tornare ad un sistema basato su un unico livello di governance, con le bcc più solide che conservano intatte le loro autonomie e quelle meno robuste che si collegano tra di loro attraverso uno schema di protezione paritario, con garanzia incrociate. Le attuali inefficienze, che già richiedono coerenti e rapidi piani di rilancio, aumenterebbero, con dispersione di risorse e minori capacità di penetrazione del mercato.

Le esperienze estere mostrano proprio la rilevanza della capofila, non solo quale entità aggregativa e di protezione delle componenti locali, ma soprattutto come motore industriale in grado di inserire nel banking cooperativo elementi di dinamismo e di ricerca di profittabilita’.

Il nostro pendolo della governance cooperativa non dovrebbe dunque oscillare all’indietro, ma procedere verso quest’ultima direzione, andando oltre la stessa funzione protettiva della banca capogruppo.

E’ necessario, a tal fine, un disegno strategico che, incardinato su due livelli di governance, come previsto dalla attuale riforma, possa evolvere, in un tempo prossimo, verso un più avanzato grado di sinergie, nel quale non si escluda di concentrare l’attivita’ bancaria cooperativa in un’unica entità, in grado di competere con le banche a proprietà privata.

In mercati bancari sempre meno frammentati, è difficile infatti pensare che possano sopravvivere specie troppo diverse in termini di capacità di sviluppo e di efficienza del business. Mentre siamo convinti che possano coesistere sistemi proprietari diversi, soprattutto se la moderna cooperazione bancaria rinnova il proprio ruolo strategico connettendosi ai valori della sostenibilità sociale e ambientale. Le denominazioni di Banque Verte per la banca francese e di Bank for Food per la olandese mostrano che cosa esse intendano per missione del credito cooperativo del XXI^ secolo.

Una bella differenza con chi come noi è ancora alle prese con la preservazione di localismi e di autonomie che hanno fatto il loro tempo.  I risultati economici, se non altro, non lo consentono più.

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