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Cronaca di una morte annunciata

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Foto La Repubblica

Tempo di lettura: tre minuti.

Scrivo queste poche righe parafrasando Gabriel Garcìa Marquez, forse perché mi trovo in Colombia, patria natìa del premio Nobel autore del famosissimo romanzo.
Ieri in Italia, stando agli ultimi dati, ci sono stati 7 morti per la caduta di alberi e già mi vedo già i titoli dei giornali: “albero killer”, “Ucciso da un albero”, “La strage degli alberi” ecc., titoli che evocano quasi una volontà da parte degli alberi di uccidere qualcuno. Nessuno si interroga, invece, sulle cause che, oltre all’evento estremo, hanno determinato il ribaltamento degli alberi e la rottura di branche.
È chiaro che di fronte al lutto, un pietoso rispetto per le vittime sarebbe di dovere, ma ho ritenuto opportuno dire la mia.
La storia del libro succitato, assomiglia molto a quanto accade in Italia, dove nessuno agisce (o solo pochi lo fanno, va detto per correttezza) per prevenire questo tipo di tragedie. In parte succede per una serie di circostanze fortuite ma, soprattutto, avviene a causa dell’atavico fatalismo e della mancanza di quella necessaria prevenzione che dovrebbe stare alla base delle politiche gestionali e che il gestore pubblico (ma anche quello privato) dovrebbe avere come primo punto della sua agenda.
Manca, quasi sempre, anche un’anamnesi del singolo albero, di parte o dell’intero patrimonio arboreo, cioè la raccolta di tutte quelle informazioni, notizie e sensazioni che possono aiutare a indirizzarsi verso una diagnosi. Si preferisce trovare la soluzione facile, quella a portata di mano, abbattimenti e capitozzature, senza pensare che sono proprio quest’ultime, insieme agli scavi che distruggono l’apparato radicale, a indebolire gli alberi e a renderli meno stabili e a rendere anche problematica una valutazione della loro propensione al cedimento e al conseguente rischio più o meno elevato a seconda del target.
A tutti piace puntare il dito indice contro qualcuno, ma valutare un albero è materia difficile e ancora condizionata certa dose di soggettività, per cui, anche se sono stati fatti notevoli passi avanti, siamo ancora lontani dall’avere certezze, ma possiamo dare solo lavorare in termini di probabilità che, peraltro, tiene solo in parte conto dell’evento eccezionale. Non basta poi saper usare uno strumento o applicare una nuova tecnologia: gli alberi bisogna conoscerli e sapere che un tiglio, un platano, un pino reagiscono diversamente allo stesso evento e che la stessa specie si può comportare anche molto diversamente in funzione del sito di radicazione e degli eventi pregressi.
Quindi, come ho scritto qualche settimana fa, DOBBIAMO GESTIRE L’INEVITABILE, ED EVITARE L’INGESTIBILE. Allora cerchiamo di gestire al meglio il nostro patrimonio arboreo sapendo che possono esserci problemi con certe specie ed evitiamo in futuro di piantarle laddove potrebbero creare problemi e nelle situazioni in cui la competizione albero-manufatti potrebbe essere ingestibile. La soluzione sarebbe investire nella ricerca di nuovi approcci più oggettivi e sulla sicurezza e cominciare a studiare interventi per far sì che piante e strade possano convivere.
Il problema sta proprio nella parola “investire” che nella lingua italiana ha un significato molto diverso da “spendere” e finché le nostre amministrazioni e anche i cittadini non avranno ben chiara la differenza fra spesa e investimento non andremo da nessuna parte.
Non c’è dubbio che la crisi più pericolosa è quella ambientale con le minacce che ci pone e ci porrà il global change che, come ho detto, non credo siamo veramente pronti ad affrontare, soprattutto se lo facciamo attraverso la logica dello scontro e non del confronto. Ricordiamoci sempre che:
1) Il dialogo è fondato sulla collaborazione; due o più persone lavorano insieme verso un’intesa condivisa. Il dibattito crea opposizione: persone o gruppi si oppongono e cercano di dimostrare che la controparte è in errore.
2) Nel dialogo, l’obiettivo è trovare un terreno comune. Nel dibattito, l’obiettivo è vincere.
E ricordiamo sempre a noi stessi che solo perché gli alberi sono sempre là per noi, non significa che dobbiamo darli per scontati e ricordarci della loro presenza solo quando cadono, ma che dobbiamo gestirli adeguatamente, ricordandoci che ogni euro investito nella loro gestione, ha un ritorno minimo di 1,3-1,7 euro. Mica male come investimento in questi tempi di rischi finanziari!
(Foto “La Repubblica”)

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