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Attimi senza fine

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Tragiche vicende di cronaca ci propongono troppe volte, nei media, immagini di giovanissime donne che, accomunate da un doloroso e violento destino, mostrano in quelle foto, con aria quasi infantile, una serena bellezza.

Ciò induce a riflettere sulla formidabile e indiscutibile forza comunicativa della fotografia.

Lo scrittore turco O. Pamuk nel volume di memorie “Istanbul”  sottolinea l’intrinseca e naturale funzione delle foto che consentono di sottrarre momenti alla vita e proteggerli contro il tempo (“attimi speciali che resistono allo scorrere del tempo e al logoramento degli uomini e delle cose”). Le immagini fotografate danno la sensazione di poter “vivere quei momenti particolari della vita come se fossero occasioni speciali” e, in quanto tali, degne di continuare ad esistere.

Insomma, le foto riescono a strappare il presente dal passato e proiettarlo in un futuro perenne che si riproduce continuamente ad ogni sguardo.

Per questo motivo, se vogliamo, possiamo immaginare ogni scatto fotografico come un magico atto d’amore. L’amore, come è risaputo, nella sua suprema accezione può trascendere ogni limite fisico e dimensione temporale; in merito Boccaccio, proprio con un verso di rara efficacia “fotografica”, ci illumina,: “Se di là si ama, in perpetuo amerò”.

Ma la fotografia non si limita a ritrarre momenti rendendoli duraturi,  si caratterizza anche per una connaturata funzione creatrice, se è vero (come ha osservato acutamente la fotografa Diane Arbus) che ci sono cose che nessuno riesce a vedere prima che vengano fotografate.

Perciò le immagini delle sfortunate ragazze consentono, a dispetto del contesto violento in cui sono maturate le loro tragiche storie, di “vedere” e fermare per sempre la giovanile innocenza in una “quarta dimensione” che non sarà mai perduta.

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