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I vetri blindati e le facciate granitiche che caratterizzano le sedi delle banche hanno rappresentato per molto tempo i segni fisici dell’intangibilità e della stabilità di queste istituzioni. La loro austera e salda immagine ha indotto, in altri periodi, una sorta di timore reverenziale nell’utenza che pure faceva fatica a comprenderne appieno le regole di funzionamento e il linguaggio, sempre per addetti ai lavori.
Ad ogni modo le banche, pur criticate per il loro atteggiamento tendenzialmente autoreferenziale, simboleggiavano nell’immaginario collettivo il porto sicuro in cui valorizzare e ricoverare senza timore i propri risparmi.
Oggi il quadro è cambiato, essendo subentrati diffidenza e disagio.
Alcuni anni fa Roberto Benigni già descriveva con un irriverente paradosso l’attivita’ di concessione del credito: a fronte di una domanda di mutuo di cento milioni di lire veniva richiesta dal Direttore della banca al cliente una garanzia di un miliardo; il cliente perplesso rispondeva “ma ….se ho bisogno di una melanzana… l’ortolano… non mi chiede, per vendermela, se a casa ho già un miliardo di melanzane?!’”.
Piu’ di recente si chiede all’utente di trasformarsi da risparmiatore in investitore, invitandolo alla esatta misurazione dei rischi degli strumenti emessi dalla sua stessa banca, pena, in caso di default, la perdita delle sue sostanze.
La reputazione delle banche si è fortemente appannata su scala mondiale con il manifestarsi di comportamenti non certo irreprensibili di diversi operatori e la profonda crisi che ha colpito il settore, tanto che una copertina dell’Economist coniava con sarcastica ironia e tono accusatorio il termine “banksters”, facile assonanza con la parola gangsters, al tempo dello scandalo sulla manipolazione del tasso Libor.
Si veda più di recente l’articolo C’e del marcio …in Olanda pubblicato su questa piattaforma, relativo alle violazioni delle norme da parte di importanti banche sistemiche e al timore che siffatti comportamenti si diffondano, acuendo le crisi di fiducia. Sanzioni di miliardi di euro potrebbero non essere sufficienti ad arginare la deriva. Allo stesso tempo dobbiamo evitare facili qualunquismi contro le banche.
Le conseguenze della crisi economica sono state nefaste; tanti risparmiatori, anche in Italia, hanno visto ridurre o azzerare i propri capitali e le banche sono state accusate di aver collocato strumenti finanziari che poi si sono rivelati “tossici” o, per usare un altro eufemismo, veri e propri “bidoni”.
Quest’ultimo termine richiama alla mente un famoso articolo dell’ economista premio Nobel George A. Akerlof, che descriveva, con riferimento al settore delle auto usate, il mercato dei “limoni”, che è il termine colloquiale con cui negli Usa ci si riferisce ai “bidoni”. In estrema sintesi l’articolo evidenziava gli effetti delle “asimmetrie informative” tra il venditore (che conosce perfettamente lo stato dell’auto che vende) e l’acquirente (guardingo ma costituzionalmente meno informato sulla qualità del bene da acquistare), asimmetrie che portano via via al fallimento del mercato. Ancor peggio accade se le asimmetrie informative vengono esasperate con deliberate politiche di contraffazione.
Nel settore bancario l’esistenza di un intermediario qualificato, avrebbe dovuto risolvere il problema. Ciò, come racconta più di recente lo stesso economista nel libro “Ci prendono per fessi”, Mondadori, 2017, scritto con un altro premio Nobel (R.J. Shiller), non è avvenuto. Gli autori illustrano le condizioni di non adeguata informazione al mercato che hanno consentito l’innesco di una crisi finanziaria globale, facendo riferimento, con un’altra metafora, al frutto dell’avocado, il cui giusto grado di maturazione non è facilmente percepibile dagli acquirenti. Le sue caratteristiche restano sempre un po’ nascoste, potendo riservare al momento in cui si apre il frutto qualche non gradita sorpresa. Un po’ come avviene con i più nostrani meloni e cocomeri.
L’esperienza dolorosa della crisi e, di conseguenza, regole più stringenti sulle condotte delle banche, nonché una maggiore divulgazione di cultura finanziaria dovrebbero consentire di attenuare le condizioni di disparità informativa e i fenomeni di non corretta valutazione dei prodotti finanziari.
I suddetti autorevoli economisti descrivono comunque un sistema economico in cui sono connaturati e quindi inevitabili i comportamenti ingannevoli e manipolatori: insomma “è l’economia moderna, bellezza”! intendono affermare. La dimensione e la diffusione globale di tali fenomeni ci aiutano a capire meglio anche la genesi di vicende nostrane che, pure con le loro non trascurabili connotazioni locali e qualche strumentalizzazione politica, hanno origini lontane e (con)cause complesse. Ma, purtroppo, anche scarse conseguenze sui responsabili a vario titolo dei disastri finanziari.
In ogni caso, è necessario mantenere sempre alta la soglia di attenzione per evitare di passare dalle melanzane, ai limoni, dagli avocados ad altri ortaggi o frutti che, apparentemente salutari, potrebbero rivelarsi ancora un volta avvelenati!
Gli sforzi per una vera educazione finanziaria richiedono trasparenza e assenza assoluta di conflitti di interesse in coloro che intendono praticarla.
Il mese dell’Educazione Finanziaria che si apre oggi sotto l’egida pubblica è chiamato a dimostrarlo senza incertezze e ambiguità, perché l’informazione di cui il consumatore ha bisogno non è certamente uno stereotipo trasferimento di nozioni, ma qualcosa che faccia percepire qualità, rischi e prezzi dei servizi bancari presenti sul mercato italiano e soprattutto l’effettivo stato di salute della banca che li offre.
Perché è in ballo la fiducia, non astratti e generici obiettivi di miglioramento delle conoscenze. Vedremo se sarà veramente così.