Il professor Massimo Balducci, docente alla Scuola di Scienze Politiche “Cesare Alfieri” dell’Università di Firenze, da’ un’interessante lettura Dell’Unione Europea come macrosistema di compliance, cioe’ di produzione negoziale di Regole sugli standard tecnici dei prodotti e dei controlli di conformita’ con riflessi sulla competitivita’ internazionale.
Per gentile concessione della piattaforma internazionale Risk&compliance.
Qui vogliamo chiederci se l’armamentario concettuale della compliance possa aiutarci a capire che cosa sia l’Unione Europea.
Dopo una serie di decenni di grande popolarità, oggi la costruzione europea è criticata da molti. Probabilmente la critica non è altro che la sorpresa di scoprire che la UE non è quello che si credeva che fosse.
Prima di passare alla esposizione della nostra ipotesi interpretativa (la UE come una sorta di mega sistema di compliance) riassumiamo rapidamente cosa non è la UE, in che cosa la UE si discosta dalle più diffuse credenze popolari.
Che cosa non e’ la UE
La UE non è una fonte di risorse finanziarie. Il bilancio UE è di ca. 150 miliardi di Euro l’anno mentre il bilancio della sola Italia è di 800 miliardi di Euro. La UE non è nemmeno un’enorme burocrazia: se sommiamo gli agenti della Commissione, del Consiglio, del Parlamento e della Corte di Giustizia non arriviamo agli agenti che lavorano per il Comune di Parigi o di Vienna.
La UE non è nemmeno un buco nero, un mondo opaco dove le decisioni vengono prese all’oscuro dei cittadini. La realtà è esattamente l’opposto. Le leggi oggi, nei paesi democratici, vengono certamente approvate dai parlamenti ma vengono scritte da comitati di esperti di cui nessuno conosce i componenti. Questo perché le società moderne, tecnologicamente molto sviluppate, richiedono normative molto complesse che possono essere messe a punto solo da esperti. Qui si presenta un vero problema per la democrazia rappresentativa: gli eletti (i parlamentari) hanno grande difficoltà a capire i testi di legge che sono chiamati ad approvare.
Orbene, qui la UE rappresenta un’eccezione, un esempio probabilmente da imitare. Tutti i gruppi di esperti che lavorano alla messa a punto delle direttive e dei regolamenti europei sono individuati e reperibili sul web (sul web si trova l’elenco dei comitati, il nome e il cv dei loro membri, l’agenda dei lavori, l’ordine del giorno delle riunioni, il verbale di ogni riunione). Addirittura, si è affermata la prassi così detta “no meeting” secondo la quale non si possono riunire gruppi che non siano registrati nell’elenco ufficiale (cfr. Commission’s Inter-Institutional Agreement (IIA) proposal for a mandatory transparency register, e il “report” della Commissione sull’applicazione del regolamento 1049/2001 sull’accesso ai documenti).
Adesso possiamo prendere in considerazione che cosa è la UE
La costruzione europea alle sue origini fu il prodotto della politica degli Alleati che volevano impedire lo scoppio di una terza guerra mondiale che avrebbe potuto scatenarsi per la lotta per il controllo delle risorse di carbone e ferro lungo il Reno (inequivocabile in questo senso il discorso di Schuman alla firma del Trattato CECA).
Ma la qualità più significativa della UE si è affermata negli anni ’70 e ’80. Negli anni ’70 emerge un fenomeno non prevedibile dagli alleati vincitori della seconda guerra mondiale: la velocità dello sviluppo scientifico e tecnologico cresce a dismisura al punto che i mercati di UK, Italia, Germania Occidentale e Francia non sono più in grado di assorbire i costi dello sviluppo di nuovi prodotti e nuovi processi di produzione. Nel 1983, il CEO della Volvo, Pehr G. Gyllenhammar(1), prese l’iniziativa di convocare una tavola rotonda (round table) dell’ETUC (European Trade Union Committee) e dell’UNICE (Union des Industries de la Communauté européenne, oggi Business Europe), a cui, oltre ai maggiori industriali europei, parteciparono anche i Commissari UE Ortolì e Davignon. Questa Round Table diffuse nelle élites degli Stati Membri la consapevolezza che si dovesse sviluppare un mercato interno in grado di assorbire i costi dello sviluppo di nuovi prodotti e processi. Fu allora che il concetto di “mercato comune” fu sostituito da quello di “mercato interno”.
La UE oggi è sostanzialmente un grande, il più grande, mercato interno. È, quindi, un potere di creare standards tecnici relativi a quello che si può commercializzare. Oggi se una autovettura è accreditata in Italia essa può essere commercializzata in tutti i 28 Stati Membri senza bisogno di ulteriori autorizzazioni. Al punto che il Financial Times ha segnalato già da tempo che la UE attira tutti i principali uffici di lobbying americani (cfr. https://www.ft.com/content/f1435a8e-372b-11e7-bce4-9023f8c0fd2e).
La UE attualmente è regolata dai due trattati di Lisbona (il Trattato sulla UE e il Trattato sul funzionamento della UE). Questi due trattati furono preceduti dal tentativo di creare una vera e propria Costituzione dell’Europa. Giscard d’Estaign mise a punto una proposta di trattato che fu sottoscritta da tutti gli Stati Membri, ma non fu mai ratificata perché l’Olanda e la Francia non approvarono il trattato.
Si tratta qui di un passaggio fondamentale. Alla UE manca e, probabilmente, mancherà sempre il monopolio della forza e una politica militare e estera (materie queste due ultime sulle quali esistono solo meccanismi non vincolanti per favorire un qualche coordinamento).
Quindi la UE è una costruzione nella quale gli standards tecnici e scientifici sono codecisi al centro e sono validi su tutto il territorio della UE. Questo fatto ha un grande impatto sul commercio internazionale. Gli standards tecnico-scientifici nel mondo vengono imposti dalle multinazionali. Nella UE questi standards vengono decisi da tutti gli stakeholders (imprese, consumatori, Parlamento Europeo, Stati Membri, etc). Un esempio notevole sono la creazione dell’Unione Bancaria e della SEPA, N.d.E.
Quando la UE negozia i trattati commerciali con vari Stati (USA, Canada etc.), non si negoziano solo le quantità. Per la prima volta si deve garantire il rispetto dei criteri di qualità diprodotti e servizi di cui si autorizza l’importazione. Va qui segnalato che i negoziati di questi trattati commerciali vengono spesso utilizzati come escamotages per bypassare i vincoli di qualità imposti dagli standards EU.
Da questo punto di vista la UE è un potente strumento di difesa dagli impatti più selvaggi della globalizzazione.
Nel trattato di Lisbona viene recepita la Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea (art. 6.1 del TUE). Tale Carta ha un significativo impatto sul livello di “legalità democratica” degli Stati Membri. Basti pensare che il principio del giusto processo è dovuto proprio a questa Carta.
La UE è, quindi, un qualcosa che non si è mai presentata prima sulla scena della storia: una serie di regole elaborate con processi di grande trasparenza che permettono a tutti di far sentire la loro voce, regole a cui non corrisponde il monopolio della forza che resta una esclusiva degli Stati Membri.
A chi scrive queste caratteristiche richiamano alla mente la filosofia della compliance.
(1) All’epoca, come è noto, la Svezia non faceva ancora parte delle Comunità. Lo diverrà nel 1995, assieme alla Finlandia e all’Austria.