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Lehman Brothers: ten years earlier, ten years later

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Figura 1 dalla Relazione Banca d’Italia sul 2008

Tempo di lettura quattro minuti.

Tempi di commemorazioni, di elogi funebri e di compiacimenti. Per ricordare il terribile settembre del 2008 quando tutto iniziò con il fallimento della Lehman Brothers. Accadde l’impensabile, il cigno nero si materializzo’ improvvisamente, contagiando l’intero sistema economico e finanziario americano ed europeo. E da noi cosa accadde in quei giorni ? Quasi nulla in verità!

Proviamo a ripercorrere con il Governatore dell’epoca della Banca d’Italia, Mario Draghi, i fatti economici del mondo e quelli di casa nostra. Rileggiamo alcuni passi significativi delle Considerazioni Finali del maggio del 2009 che rievocano la crisi iniziata nel 2008 e ne descrivono l’impatto sulle banche italiane. Il tema di fondo per noi che scriviamo di queste cose è l’absit iniuria verbis. Ovviamente.

La crisi e le banche

Negli anni passati il sistema bancario italiano è stato interessato da un ampio processo di trasformazione, stimolato dall’accresciuta concorrenza. Le numerose operazioni di fusione e acquisizione e il conseguente aumento della dimensione media e dell’efficienza hanno contribuito ad accrescere la resistenza alla crisi dei nostri intermediari.
La crisi ha colto il sistema bancario italiano mentre si stavano completando le riorganizzazioni, si sperimentavano nuove forme di governance, si ampliava la presenza sui mercati esteri. Il sistema resta caratterizzato dalla netta prevalenza dell’attività di intermediazione creditizia a favore di famiglie e imprese; dal forte radicamento territoriale; da una struttura di bilancio nel complesso equilibrata.
L’impatto della crisi sulle banche è stato da noi meno traumatico che in altri paesi, innanzitutto grazie a una esposizione contenuta verso i prodotti della finanza strutturata e a una minore dipendenza dalla raccolta all’ingrosso. Alla fine del 2008 gli strumenti di credito strutturati rappresentavano poco meno del 2 per cento dell’attivo dei principali gruppi bancari. Il rapporto tra raccolta all’ingrosso e provvista complessiva era per il nostro sistema del 29 per cento, contro una media del 41 nell’area dell’euro.
Un modello di intermediazione fondamentalmente sano, insieme con un quadro regolamentare e una vigilanza particolarmente prudenti, hanno tenuto le banche italiane al riparo dagli effetti più devastanti delle turbolenze dei mercati. Non sono stati addossati ai contribuenti i costi di perdite e fallimenti osservati in altri paesi.

Il patrimonio delle banche

Nonostante il peggioramento della redditività, le banche hanno mantenuto il patrimonio al di sopra degli standard minimi. Alla fine dello scorso anno il coefficiente di patrimonializzazione dei maggiori gruppi, dato dal rapporto tra il patrimonio e le attività ponderate per il rischio, si collocava in media al 10, per cento. I coefficienti più elevati osservati all’estero riflettono sovente massicce iniezioni di capitale pubblico. Nel confronto internazionale, la leva finanziaria, misurata dal rapporto tra attività totali e patrimonio di base, è in Italia più contenuta.
La Banca d’Italia valuta l’adeguatezza patrimoniale con criteri stringenti. Il peso degli strumenti di minore qualità sul patrimonio di base dei primi 5 gruppi bancari italiani è del 13 per cento, contro il 22 dei primi 15 gruppi bancari dell’area dell’euro.

Figura 2 dalla Relazione Banca d’Italia sul 2008

Egli traccia un quadro confortante delle banche italiane. Poi vi sono dei generici inviti a distribuire meno dividendi per rafforzare il patrimonio e a selezionare meglio il credito alla clientela nella fase recessiva.

Chi legge è in grado di farsi un’idea ben precisa della visione isolazionista delle nostre banche che caratterizza la lettura fattane da Draghi. Esse sono presentate avulse dal contesto internazionale e dalla pesante crisi che stava già investendo il sistema industriale: calo del PIL, degli investimenti e dell’occupazione. In figura 1 e’ ben netto il calo della produzione industriale di quei mesi.

Secondo quella lettura, le banche si erano invece messe prudentemente al riparo dai venti di tempesta che imperversavano nel mondo occidentale.

Eppure guardando il grafico della figura 2 c’era una percezione del rischio molto diversa all’interno del sistema bancario italiano. I primi cinque gruppi bancari in pochi mesi avevano fatto precipitare il tasso di variazione dei crediti in territorio negativo (linea nera) dopo aver raggiunto una punta del 12 per cento nella velocità di crescita.

Tutte le altre banche, soprattutto quelle locali e del territorio, continuavano invece a marciare baldanzosamente a tassi di crescita annui attorno dieci per cento (linee rossa, azzurra e verde tratteggiata).  Non era certo un buon segnale.

Siccome poi Finanza e Credito non sono mai distanti, la crisi finanziaria del sistema internazionale si sarebbe tradotta nella grande recessione dell’economia. Questa, da noi, avrebbe prodotto l’enorme crescita degli Npl (che affligge ancora le nostre banche molto più degli altri paesi europei), richiesto cospicui aumenti di capitale, con risorse anche pubbliche, delle grandi banche e determinato i ben noti default delle medie e piccole. E tuttora il credito alle imprese ha tassi di variazione negativi.

In fondo, da noi dieci anni prima non era accaduto niente, perchè tutto sarebbe accaduto qualche anno dopo, quasi dieci anni più tardi. Ten years later! E solo fra dieci anni potremmo anche noi commemorare la scomparsa di tante banche italiane.

E’ utile rileggere questi documenti perche’ aiutano a ricordare cio’ che altri sembrano voler dimenticare.

 

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