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Il tema dell’efficienza della nostra agricoltura sta diventando sempre più cruciale. C’e’ chi autorevolmente sostiene che il rischio di sottovalutare questo aspetto come fattore di crescita economica sia frutto di policy makers poco propensi ad assumersi responsabilità, ricorrendo a sistematici rinvii e ostinandosi nella ricerca del “politicamente corretto”.
Il rinnovamento dell’agricoltura è invece tra i primi campi dell’innovazione digitale, la cui forza dirompente porterà a rivedere, migliorandoli, anche i canoni di difesa dell’ambiente.
Anticipare la comprensione degli effetti della evoluzione tecnologica può far gestire con maggiore attenzione i beni publici del paesaggio, della fertilità del suolo e delle fonti idriche, modificando alcune apodittiche difese della preservazione del territorio anche sotto il profilo paesaggistico.
Nuove coltivazioni
Il paesaggio agricolo è infatti fenomeno che muta non solo al variare delle tecniche, ma anche dei rapporti sociali e della forma proprietaria della terra. Il latifondo produce un paesaggio, la mezzadria ne produce un altro, la pastorizia un altro, la piccola proprietà contadina un altro ancora. Un’agricoltura impostata su criteri industriali fondati sulla innovazione tecnologica determina un paesaggio del tutto diverso. Non sono pensabili, se non in minima parte, sovrapposizioni tra queste differenti modalità una volta che l’una prevale sull’altra.
In altre parole, è difficilmente immaginabile che l’affermarsi di un’agricoltura digitalizzata sia compatibile con il paesaggio agricolo formatosi, ad esempio, durante la mezzadria o al tempo della riforma fondiaria.
Nel contempo, dobbiamo capire meglio come la tecnologia in agricoltura possa esplicare il suoi effetti per modellare il paesaggio, rendendolo cangiante e quindi gradevole non più nella sua statica e secolare rappresentazione, ma al contrario nella sua mutevolezza. Modifiche del paesaggio deriveranno dal diffondersi di coltivazioni biologiche.
Porto alcuni esempi visivi di come i sistemi produttivi di una moderna imprenditorialità agricola conferiscano un nuovo profilo a territori che nel tempo sono stati dediti a colture prevalentemente estensive, poco irrigue, composte di vasti incolti, ma anche climaticamente più stabili di altre zone d’Italia, evitando perdite di produzione da eventi estremi e sempre meno prevedibili.
Il territorio preso ad esempio è una parte di Maremma toscana, alle spalle delle zone bonificate dai Lorena (secoli XVIII e XIX) e dal Fascismo (secolo XX). Alcuni cambiamenti hanno alcuni anni di vita, altri si producono quasi di giorno in giorno sotto i nostri occhi.
Le trasformazioni qui mostrate riguardano un’area di non più di cinque chilometri di raggio.
Nuove architetture
Aggiungo un’immagine della vicina cantina di Frassinello progettata dall’archistar Renzo Piano. Il rinnovamento del paesaggio agricolo non può infatti andare disgiunto da quello delle sue architetture, incastonandovi nuovi e affascinanti elementi. Come nel Trecento c’erano torri e rocche ad abbellirlo, oggi bisogna pensare a nuove forme, senza sentirci colpevoli di compiere chissà quale tradimento del territorio.
Tutto scorre, diceva il grande filosofo Eraclito, anche le capacità dell’uomo. Non vediamo quindi perché al dinamismo di una nuova imprenditorialità agricola non dovrebbero anche corrispondere nuove abilità di modellare l’ambiente. La condizione dalla quale non allontanarsi in nessuna circostanza è quella di preservarne la qualità.
Nuove acque
In aree semiaride come questa, il tema delle acque è essenziale, affinché la condizione non venga ulteriormente a peggiorare a causa di pratiche non corrette di irrigazione e di concimazione. Il recupero delle acque piovane, vera risorsa illimitata a nostra disposizione, si offre in due modi. A mezzo di serre utilizzandone la copertura per la raccolta e la parte interna per la condensa, ovvero tramite invasi naturali o artificiali.
Qui invece riporto il rendering di un progetto di recupero di una vecchia cava di inerti del luogo, per l’accumulo di acque dal sottosuolo e piovane, in cui gli utilizzi agricoli e una nuova prospettiva paesaggistica emergono in tutta evidenza.
Tutto questo dovrebbe spingere i policy makers a coinvolgere maggiormente gli operatori nella progettazione di nuovi panorami, nella fase di approntamento dei periodici piani di sviluppo territoriale.
Cio’ che non è assolutamente da fare e’ di irrigidirsi con ogni mezzo nella difesa di un paesaggio immobile in nome di tradizioni appartenenti ad altri momenti storici e in forza di qualche pregiudizio contrario a ogni trasformazione.
E ancor peggio con qualche decisione incoerente di politica del territorio, per esempio autorizzando l’istallazione di infrastrutture, quali discariche o simili, in contrasto con tali nuove linee di sviluppo agro-ambientale.
Altrimenti non resta che starsene sull’albero a cantare, contemplando la natura. Ma anche il suo inevitabile degrado.
In Maremma sembra che qualcosa si stia muovendo, preparando l’avvento dell’agricoltura digitale.