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Effetto Dunning Kruger ovvero la conoscenza e i suoi nemici

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Fonte Associazione osiri

Tempo di lettura sei minuti.

“Il primo passo verso l’ignoranza è presumere di sapere” (Baltasar Gracián)

Sta circolando in rete una simpatica storiella dal titolo Dialogo in aereo tra il sig. Dunning e il comandante Kruger che mi ha suscitato alcune riflessioni.

David Dunning, professore di psicologia e il suo collaboratore Justin Kruger, entrambi docenti alla Cornell University, dove ho avuto modo di trascorrere diversi periodi di studio dal 1994 fino a poche settimane fa, organizzarono un esperimento scientifico con numerosi partecipanti, i cui risultati, pubblicati nel 1999, furono:

Le persone si mostrano incapaci di riconoscere la propria incompetenza.

Tendono a non riconoscere la competenza delle altre persone.
Non sono in grado di prender coscienza di quanto siano incompetenti in un determinato ambito.
Se vengono formate per aumentare le proprie competenze, sono capaci di riconoscere e accettare quanto fossero incompetenti in precedenza.

Per questa ricerca furono insigniti nel 2000 del satirico premio Ig Nobel per la Psicologia per il saggio Unskilled and Unaware of It: How Difficulties in Recognizing One’s Own Incompetence Lead to Inflated Self-Assessments.

La loro teoria, nota come Effetto Dunning-Kruger, ormai famosissima, è una distorsione cognitiva a causa della quale individui poco esperti in un campo tendono a sopravvalutare le proprie abilità, fino a autovalutarsi esperti in materia. Come corollario di questa teoria, spesso gli incompetenti si dimostrano estremamente supponenti. Come lo sarei io se mi mettessi a parlare di come si costruiscono i ponti, di vaccini o di come si progetta una macchina. 

Insomma, abbiamo anche una spiegazione scientifica per i tanti leoni da tastiera che infestano il web con le loro stupidaggini, spesso artatamente manovrati da troll che, notizia di questi giorni, hanno manovrato anche le informazioni in occasioni dell’immane tragedia di Genova, con fake news (bufale o false notizie) provenienti da stati lontani non solo geograficamente, ma anche socialmente dal nostro come Messico, Mali e Oman.

Purtroppo, come dice Tom Nichols nel suo recente libro “La conoscenza e i suoi nemici”, il sapere di base della persona media (come lo sono io nelle materie che non mi competono) è ormai talmente basso da essere crollato prima al livello di “disinformazione”, superando di slancio la “cattiva informazione”, e ora sta sprofondando nella categoria “errore aggressivo”. La gente non solo crede alle sciocchezze, si oppone anche attivamente a imparare di più, pur di non abbandonare le proprie errate convinzioni (Nichols, 2018).

A questo proposito noto che, anche nel settore della ricerca di cui mi occupo, l’arboricoltura urbana, c’è una percentuale molto elevata di persone che non sanno di essere colpite dall’effetto Dunning-Kruger.

Un anno fa scrissi un breve articolo per una rivista on line (e del quale riprendo integralmente alcuni parti) in cui sostenevo chepur avendo facile accesso a una massa di informazioni enorme rispetto al passato, spesso non siamo capaci di saper scegliere responsabilmente e con competenza quello che realmente è necessario. Ai miei studenti dico che affidarsi a Google va bene, ma se non si usano le chiavi giuste, è come essere assetati e cercare di bere da un idrante. Si rischia di affogare per il volume d’acqua che esce dalla bocchetta senza riuscire a dissetarsi.

Mentre per la mia generazione non è stato e non è facile passare dal vecchio sistema educativo basato sulla linearità della trasmissione del sapere, veicolata dal libro scritto e da una didattica frontale, a percorsi d’apprendimento personalizzati, multidimensionali e multimediali, le nuove generazioni dei Social Network dovrebbero essere maggiormente a proprio agio in un ambiente informale come internet e nelle comunità virtuali rispetto alla maggior parte dei docenti, tutor, orientatori ed educatori entrati nel mondo digitale in un secondo momento. Ma è sempre così?

I social media, ai quali va reso anche grande merito, hanno anche scoperchiato, dal punto di vista dell’informazione, un vero vaso di Pandora: quello dell’autoreferenzialità. Un sondaggio svolto rivela che il 73% degli intervistati considera attendibili soprattutto le notizie condivise sui social media da amici e familiari. Ma, soprattutto, il 71% ha maggior fiducia nei motori di ricerca, il 69% nella tv (ma gli utenti fino a 24 anni non sono censiti), il 45% nei quotidiani.

È, quindi, sempre più la nostra visione del mondo a orientare il modo in cui ci informiamo. E la rete è uno specchio in cui vogliamo e possiamo trovare continue conferme. Una tendenza che il Censis definisce “solipsismo di Internet”: la rete diventa, in sostanza, uno strumento nel quale le persone cercano conferma a opinioni, gusti, preferenze che già possiedono, mentre tendono a rifiutare o a ritenere non vero ciò che “non piace” sia vero.

Direte, ma che c’entrano il vivaismo e l’arboricoltura in tutto questo? Purtroppo, capita sempre più spesso di leggere cose che non hanno fondamento scientifico, basate spesso sulla credulità, ma spacciate per pratiche/tecniche illusoriamente efficaci, spesso fatte pagare a caro prezzo, senza la minima prova e la minima competenza.

Si preferisce affidarsi a un’informazione veicolata attraverso il passa-parola, spesso urlata, non filtrata, non basata su alcuna ricerca replicabile, ma spesso sull’imitazione di quello che fanno altri. Un’informazione alla quale, purtroppo, i politici sono spesso (troppo) sensibili e sulla quale, talvolta, basano le loro scelte ambientali e agrarie, invece che sul supporto del mondo tecnico e scientifico (vedi questioni OGM, Gliphosate, ecc.)

Quante volte mi è capitato di vedere bottiglie di plastica attaccate agli alberi da frutto (lotta contro le gelate), compact disks appesi contro gli storni e altre bizzarre soluzioni. Che fine pensate abbiano fatto tutte quelle bottiglie o i CDs sparsi per le nostre aree di frangia e per le campagne? Sono disseminati ovunque, determinando un inquinamento peggiore di quello di molti prodotti utilizzati per la gestione delle colture!

E come si fa a non citare la questione della Xylella fastidiosa, che sta suscitando dibattiti e polemiche infiniti e sulla quale tutti, giornalisti, attori, comici, nani e ballerine, si sono permessi di dire la propria senza la minima conoscenza né del batterio, né della olivicoltura pugliese e non?

Il tutto è diventato questione politica che ha determinato solo ritardi negli interventi necessari a limitare il diffondersi della batteriosi e le probabili sanzioni da parte della tante vituperata UE, dalla quale, però, non siamo capaci di attirare i fondi messi a disposizione per la ricerca e lo sviluppo sperimentale.

Questo succede anche perché  la ricerca scientifica, così come la pratica reale, non ha la stessa capacità di posizionare le proprie informazioni rispetto a certi siti che utilizzano buoni esperti di SEO (Search Engine Optimization, cioè tutte quelle attività volte ad ottenere la migliore rilevazione, analisi e lettura del sito web da parte dei motori di ricerca) che, talvolta, veicolano informazioni del tutto errate, senza vere basi scientifiche e che, nel peggiore dei casi, possono anche creare dei danni.

Con questo non voglio dire che la ricerca abbia sempre ragione e che i suoi risultati non siano mai discutibili, ma che dovrebbe aprirsi a un nuovo modo di comunicare verso l’esterno e non solo verso gli addetti ai lavori.

Ecco perché il mondo della ricerca deve evolversi, imparare a comunicare nel modo giusto per evitare di essere “fagocitato” da mestieranti dell’ultim’ora, spesso solo apparentemente guidati da uno spirito divulgativo, ma il cui intento è in realtà solo quello di creare disinformazione e di lucrare sulla ingenuità e sulla fiducia delle persone. Ed ecco perché è fondamentale che chi opera nel nostro settore sappia veicolare la giusta informazione che è quella basata sulla ricerca indipendente e replicabile e sulla pratica giornaliera di campo creando maggiori opportunità di divulgazione tempestiva e accessibile e di interazione.

Allora perché non ricorrere ai social network e ai blog da parte di scienziati o gruppi di ricercatori per rendere pubblici, presentare e discutere le proprie ricerche e i propri risultati.

Più tempestivi e, soprattutto, più accessibili (sia come lessico che come costo) delle riviste scientifiche, i social network, le riviste online e i blog consentono di andare oltre i confini, i tempi e, perché no, oltre le logiche imposte dalla comunità scientifica, entrando direttamente in comunicazione e interazione con una comunità nuova, in buona parte inesplorata e sostanzialmente illimitata.

A tutti suggerisco dunque di Thomas Nichols La conoscenza e i suoi nemici, appena uscito presso la Luiss University Press di Roma.

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